Intervista a Biagio di Isernia
Lei si occupa di Diritto di famiglia. Possiamo dire che in Italia manchi un “tribunale della famiglia”, dei magistrati esperti su questo tema?
La risposta, fortunatamente, è negativa. Molti tribunali si sono dotati di sezioni specializzate nella materia e, in generale, viene prestata la massima attenzione nel perseguire il preminente interesse dei figli minori, oggi tutelati senza distinzione alcuna, tra quelli nati in costanza di matrimonio e quelli nati al di fuori. Un po’ più scarsa, invece, appare l’attenzione rivolta ai coniugi e alla tutela dei loro diritti, talvolta trascurati, quando non disattesi del tutto.
L’idea che traspare da alcune pronunce, purtroppo, è quella che adire il tribunale, per ottenere soddisfazione dei torti subiti in costanza di matrimonio, sia inutile e poco gradito. Ciò facendo, la magistratura tradisce la sua naturale funzione e rende di fatto inefficiente un buon numero di istituti giuridici, tra i quali l’addebito della separazione e il ristoro dell’illecito endofamiliare. Ciò genera, nella migliore delle ipotesi, enormi frustrazioni in chi ha subito angherie e soprusi. Nella peggiore, la vittima subisce l’ennesima ingiustizia, perpetrata proprio da chi dovrebbe tutelarla con tutti gli strumenti a disposizione dell’ordinamento. In casi estremi, ciò sfocia in episodi di giustizia privata (sempre deprecabili e da scongiurare).
Uno dei temi che probabilmente affronta di più è quello delle separazioni, in cui siamo di fronte ad una sorta di “preferenza giurisprudenziale” rispetto alla figura materna. È così secondo lei?
È così e non solo secondo me. Vi sono pronunce giurisprudenziali, anche autorevoli, che parlano espressamente di “maternal preference”, ma ciò rappresenta, a mio giudizio, una visione ristretta e miope della responsabilità genitoriale. Le leggi, come le pronunce giurisprudenziali, devono fondarsi su principi di diritto aventi la valenza più ampia possibile e non su statistiche, ondate emotive e/o pregiudizi sulle capacità e sulle attitudini a essere dei buoni genitori, fondate unicamente sul sesso di appartenenza. Ci sono ottime madri e madri degeneri, così come ci sono padri snaturati e padri meravigliosi. Di base, i genitori dovrebbero essere considerati su una base paritaria, salvo poi spostare l’ago della bilancia, in conseguenza delle particolarità del singolo caso.
Quali sono i diritti più generali che possiamo attribuire alla figura del padre nell’ambito della separazione?
Sulla carta, la figura paterna e quella materna sono equiparate anche nella fase della separazione. Nei fatti, ciò non si verifica quasi mai.
Non è infatti raro assistere al completo tracollo (emotivo, sociale ed economico) del padre, a seguito di una separazione, magari conflittuale.
Si parte tipicamente con l’estromissione dall’habitat familiare e dalla stessa casa, per la quale magari continua a pagare il mutuo. Si passa poi per l’impoverimento dovuto al generale aumento delle spese per il sostentamento proprio e per quello dei figli (quando non anche del coniuge), cui vanno aggiunte le spese legali. Il tutto si arricchisce con l’inevitabile frattura emotiva, anch’essa difficile da superare, caratterizzata anche dal significativo ridimensionamento del tempo trascorso con i figli, spesso al di fuori dell’ambiente domestico e contingentato in orari fissi. In molti casi, poi, i padri arrivano a sentirsi come dei “bancomat”, ai quali rivolgersi solo per attingere denaro. La sensazione che ne scaturisce non può che essere pessima.
Ciò che nelle separazioni spesso non viene considerato è che la “rottura” non riguarda solo la coppia, ma l’intero nucleo famigliare. Come può il giudice intervenire in tal senso?
Come dicevo poc’anzi, si crea inevitabilmente una frattura affettiva ed emotiva, di dimensioni variabili, non solo tra i coniugi, ma anche tra gli stessi e i figli, che cominciano a vivere una serie di problematiche strettamente connesse a questa nuova condizione. In molti soggetti nascono infatti sensi di colpa, sindromi dell’abbandono, ribellioni e malesseri caratteriali, che a volte sfociano in veri e propri disturbi comportamentali, soprattutto in età delicate, quali l’adolescenza. È un vero e proprio lutto da elaborare.
Il giudice interviene in una fase già patologica e, comunque, si limita a fornire una tutela generica, quando non sussistano particolari esigenze di protezione e tutela. Quello che manca, a monte, è un supporto psicologico che traghetti l’interno nucleo familiare verso un nuovo equilibrio, salvaguardando almeno gli affetti e i rapporti tra figli e genitori, creando altresì un nuovo assetto tra questi ultimi, che rimarranno sempre e comunque tali.
Sappiamo che da poco ha ottenuto una sentenza che è quasi considerata un “caso raro” per la giurisprudenza…
Sì, ancora una volta, in un giudizio di separazione molto conflittuale, sono riuscito a ottenere il collocamento dei figli minori presso il padre, mio assistito, come pure l’assegnazione a questi della casa familiare, oltre alla condanna della moglie/madre al versamento di un assegno mensile di mantenimento per i figli.
Quali sono le soddisfazioni più importanti che come avvocato sente di aver raggiunto in questa sentenza?
Professionalmente, quella di essere riuscito a vincere la ritrosia dei tribunali italiani a collocare i figli minori presso il padre, anche quando questi si dimostri la figura genitoriale più idonea. Ho infatti notato una grande “sofferenza decisionale”, nel superare la naturale propensione a favorire la donna, quasi come se ciò comportasse una forte assunzione di responsabilità.
Umanamente, quella di essere riuscito a dimostrare che un padre possa essere una figura attenta e idonea, al pari di una madre, vincendo il pregiudizio opposto. Questo pregiudizio, invero frequentissimo, pur comprensibile, dovrebbe rimanere sempre al di fuori delle aule di giustizia e delle elaborazioni decisionali di un magistrato, il quale dovrebbe concentrarsi nella valutazione del caso concreto, a prescindere da retaggi sociali, culturali e geografici. Inoltre, bisognerebbe sempre evitare che i figli diventino terreno di conquista e che vengano utilizzati come strumenti di offesa contro l’altro genitore.