Lucio Fumagalli era il quarto di cinque fratelli e figlio di due insegnanti. Nato nel 1957, partecipò da adolescente al dibattito politico studentesco, decidendo, anche per fedeltà alla propria storia familiare, di non omologarsi allo schieramento dominante. Suo padre, Cesare Fumagalli, era infatti un reduce della campagna di Russia, era stato segretario dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra, era dovuto emigrare in Svizzera nel Dopoguerra per poter svolgere la propria professione, e, preside di un liceo milanese, negli anni ’70 si era trovato a fronteggiare la contestazione studentesca.
Lucio svolse il servizio militare negli Alpini, come ufficiale e, durante gli studi universitari in Giurisprudenza, fece l’assistente alla cattedra di Diritto Romano. Decise di iniziare a costruire una famiglia propria ancor prima di laurearsi, lavorando e studiando contemporaneamente. Partendo dal centro di calcolo di una banca, con un veloce percorso di carriera attraverso la gestione del personale e le relazioni sindacali, nel 1990, a 33 anni, approdò in Andersen Consulting (oggi Accenture), dove trovò finalmente ampi orizzonti e la possibilità di spingersi fin dove la sua curiosità, la sua intraprendenza, il suo impegno gli consentivano di arrivare.
La famiglia era per mio padre una dimensione imprescindibile dell’esistenza. Quella di origine era stata un luogo piuttosto complesso, per numerosità e varietà caratteriale dei suoi membri, per l’essere posto costantemente a confronto con i fratelli maggiori, ben educati e con un buon profitto scolastico, per lo sforzo di essere all’altezza dei valori morali incarnati dai genitori, quali il senso del dovere e del sacrificio e la fedeltà alle idee. Crescere a contatto con tanti modelli e stimoli diversi fu, tuttavia, anche ciò che gli permise di sviluppare un’apertura mentale fuori del comune, l’abitudine a spaziare in ogni ambito del sapere e la capacità di relazionarsi in maniera sincera ed interessata con chiunque, superando differenze di ceto, di ruolo, di età, di nazionalità, di appartenenza politica. All’interno della famiglia, partecipe anche delle difficoltà e dei problemi dei suoi fratelli, imparò a prendersi cura degli altri. D’altro canto, l’essere poco seguito dai genitori lo abituò da subito all’indipendenza, ad una certa libertà d’azione, ad essere protagonista della propria vita assumendosene le responsabilità.
Pensando alla famiglia composta da mio padre, mia madre, me e mia sorella, mi vengono in mente delle immagini che forse lui stesso apprezzerebbe: il basamento di un tempio (e penso al Partenone che visitammo quando lui lavorava ad Atene) o la casa costruita sulla roccia nel Vangelo. Era il suo regno ed il suo laboratorio, un luogo dove prendere decisioni, organizzare, costruire qualcosa per sé e per gli altri, uno spazio sicuro dal quale potersi aprire verso il mondo e nel quale poter ospitare, oltre agli amici e ai parenti, anche le persone meritevoli che incontrava nella sua vita professionale e sociale.
In prima o seconda elementare mi chiesero che lavoro faceva ed io risposi “il consulente”, senza però saper descrivere quali fossero le sue attività. Le cose si fecero un po’ più chiare quando incominciai ad afferrare espressioni come “change management” e “operazioni di M&A” e ad interessarmi all’organizzazione aziendale, disciplina di cui lui per diversi anni fu docente alla Sapienza, a Tor Vergata e in altre istituzioni formative.
Sarebbe stato impossibile conoscerlo senza conoscere il suo lavoro, talmente l’attività professionale era intrecciata alla vita privata. Portarci con sé ogni volta che poteva era la sua chiave personale al work family balance, la sua istintiva strategia di conciliazione o forse l’unica possibile. Per un appassionato di geografia come lui, svolgere trasferte di lavoro in Italia e all’estero era un’occasione imperdibile di conoscere il mondo insieme alla propria famiglia e per noi l’occasione di vivere quei luoghi non come semplici turiste, tanto da sentire ancora oggi un certo legame affettivo per città come Bruxelles o Istanbul.
Altre volte invece capitava che il suo lavoro venisse da noi: con le conference call in Inglese durante i viaggi in macchina, o tramite colleghi e collaboratori che da Milano, Bergamo, Roma, perfino Palermo, venivano a trascorrere qualche giorno di vacanza nella nostra casa in montagna in Carnia. Forse per le dinamiche della consulenza, diverse da quelle delle aziende tradizionali, ma probabilmente anche per attitudine personale, mio padre era con i suoi collaboratori un capo squadra, un primus inter pares; si interessava a loro non solamente in riferimento alle questioni lavorative, aveva a cuore la loro formazione ed il loro sviluppo professionale, ma anche la loro dimensione familiare, ben conscio di quanto fosse importante nella realizzazione di una persona.
Tali attenzioni dipendevano dal concepire l’attività professionale predominante come uno degli aspetti dell’impegno generale nei confronti della società, inteso come il contributo di ogni essere umano al bene comune, a seconda delle capacità e possibilità. Interessarsi delle tematiche di conciliazione in una società dove sono plurime le minacce alla formazione e al mantenimento di un nucleo familiare, contrastare l’impoverimento culturale aiutando eccellenze del settore agroalimentare a farsi conoscere, perché non vengano erose dalla tendenza alla globalizzazione ed uniformazione in essere, partecipare con attività di ricerca alle celebrazioni di Dante, alimentando la persistenza di uno dei maggiori modelli culturali italiani, preoccuparsi del recupero e della valorizzazione di zone urbane o montane che risentono di un progressivo abbandono, con la tensione a rendere il nostro paese un luogo fertile in cui vivere, e l’elenco potrebbe proseguire ancora a lungo, era per mio padre qualcosa di inevitabile, una missione identitaria.
Onestamente non credo che ci sia qualcuno che possa raccogliere la sua eredità allo stesso modo, con la stessa visionarietà, trasversalità, audacia e resistenza, ma sono convinta che abbia lasciato un piccolo seme nelle persone che ha conosciuto davvero. Spero che questo seme continui ad essere coltivato da ognuno, fino a formare un grandissimo giardino, traboccante delle specie e varietà botaniche più disparate, arboree, erbacee, da fiore, da frutto, abbastanza ma non troppo organizzato, pronto a cambiare, come una learning organization.