1. Il gioco e la sua importanza
Il gioco è «Qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando capacità o ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e capacità intellettive (Treccani)».
Dalla definizione, si evince il legame intrinseco tra gioco e apprendimento. Furono i primi pedagogisti moderni, come Rousseau, a dimostrare che il gioco libero e socializzato abbia un importante funzione nello sviluppo delle capacità creative, cognitive e relazionali. Infatti, il gioco può arricchire l’apprendimento e aiutare a sviluppare competenze indispensabili per la vita.
Il gioco in tutte le sue forme ha una valenza educativa; infatti, tramite questo il bambino ha la possibilità di imparare:
- a conoscere il mondo;
- a sperimentare il valore delle regole;
- la reciprocità, sviluppando così capacità relazionali e cooperative;
- a conoscere e a stare con gli altri;
- a gestire le proprie emozioni;
- l’autonomia;
- a sperimentare per tentativi ed errori la realtà, sviluppando la capacità di problem solving.
Tutto ciò è possibile tramite lo strumento della simulazione. Questa pur essendo una riproduzione approssimativa dei fenomeni, è comunque legata alla realtà sia fisica sia psicologica esistente. Inoltre, tramite essa è possibile sperimentare con la fantasia vari possibili scenari, sperimentando un mondo che non c’è ma che può diventare possibile (Anolli, 2011).
Grazie a questa, la mente ha la possibilità di riprodurre e anticipare fenomeni dell’esperienza, e quindi valutare possibili esiti e interventi, e dunque può apprendere le strategie più efficaci per raggiungere un determinato obiettivo, oppure un modo di essere o comportarsi in una data situazione. Il gioco è proprio il momento in cui si mette in atto la simulazione, e in questo «fare finta di» non solo si sperimenta la situazione ideale, ma anche tutto quel correlato emotivo che ne deriva. Infatti, il gioco scatena emozioni, stimola i sensi e l’intelletto, producendo momenti di benessere e di gioia. Giocando il bambino apprende a vivere, poiché si proietta in situazioni che potrebbe vivere da adulto (ad esempio basta pensare alle bambine che giocano a mamma e figlia, in cui si mettono in atto proprio quei comportamenti da adulti senza esserlo, e in cui i giocanti simulano le emozioni che provengono dalla relazione). Infine, creare un alter ego, un personaggio, ha la funzione di diminuire le difese psicologiche; infatti, attribuendo le azioni ad un personaggio diverso da se stessi ci si sente più autorizzati e motivati a mettere in atto alcuni comportamenti o ragionamenti o sentimenti che nella vita di tutti i giorni si avrebbe difficoltà a mostrare (Scicchitano, 2019).
Come diceva Donald Winnicott (1971) la dimensione del gioco rappresenta uno «spazio transizionale» quale dimensione psicologica intermedia fra mondo interno e mondo esterno, un’area potenziale dove poter esprimere e ristrutturare le esperienze e le emozioni ad esse correlate accedendo alle proprie risorse di creatività e immaginazione.
2. Il gioco simbolico e l’aggressività
L’aggressività fa parte del mondo sociale del bambino (Kokko, Pulkkinen, 2005), e come altri comportamenti è influenzata dalle esperienze a cui il bambino prende parte, sia in prima persona sia in forma vicaria.
La manifestazione aggressiva è un qualcosa di fisiologico e dunque deve essere considerata come elemento di sviluppo da affrontare e non da eludere o inibire. Si tratta di una tappa necessaria all’acquisizione di competenze relazionali con cui affrontare e risolvere gli inevitabili conflitti che nascono nelle quotidiane esperienze di vita, onde evitare l’interpretazione dell’aggressione come comportamento accettabile o strategia di riuscita nella soluzione dei conflitti (Vaughn et al., 2003) Mediare il naturale sviluppo dell’aggressività, attraverso i giochi di lotta, sostiene il bambino nello sviluppo delle competenze socio-relazionali, grazie al confronto con i pari e alla capacità di controllare le reazioni aggressive in una realtà accettabile e adeguata (Ceciliani, 2009).
Il gioco di combattimento e lotta è una dimensione del comportamento sociale, composto da azioni fisiche vigorose, che assomiglia a un combattimento reale eccetto per la sua componente ludica. Diversamente dal combattimento reale, infatti, si caratterizza per la presenza di effetti piacevoli evidenziati da sorrisi, reciprocità, alternanza di ruoli subordinati o sovraordinati e affiliazione continuata: il giocare insieme anche alla fine della battaglia (Smith, 1997).
Il gioco di lotta, distinto nettamente dall’aggressione fisica, assume i connotati di un’attività tendente a facilitare l’amicizia e il comportamento cooperativo pro-sociale (Scott e Pankeseep, 2003). A differenza dei giochi virtuali o dell’esposizione passiva alla violenza, il gioco di lotta permette al bambino di comprendere gli effetti dell’azione aggressiva. Mentre nel cartone animato gli eroi sono colpiti e si rialzano sempre, nel gioco reale il bambino che viene messo a terra, o che subisce un colpo, lo percepisce fisicamente, comprende che oltre certi livelli, oltre il gioco, la violenza fa male, è negativa. Da qui scaturisce la necessità del gioco reale, fisico, non virtuale, per comprendere questi costrutti.
Il gioco di lotta/combattimento, quindi, si propone come una cornice educativa complessa e completa, utile per mediare il naturale sviluppo dell’aggressività ed educare i bambini alla relazione sociale. Il forte connotato socio-relazionale di questa forma ludica si evidenzia nel fatto che, dopo una certa età, quando l’asimmetria di gioco potrebbe sfociare in litigi veri e propri, essa tende ad attenuarsi e scomparire assumendo forme di confronto indiretto.
In uno studio del 2012, sul gioco simbolico e l’aggressività nei bambini lo psicologo dell’età evolutiva Serge Tisseron (2012), rifacendosi alla teoria dell’apprendimento sociale di A. Bandura, sottolinea come l’utilizzo del gioco simbolico possa rappresentare un fattore protettivo nel mediare lo sviluppo di comportamenti aggressivi nel bambino.
Far finta di aggredire un proprio coetaneo consente al bambino di imparare a esplorare e gestire l’aggressività in una dimensione “come se” dove può sperimentare e manipolare nella fantasia e con l’immaginazione i propri impulsi senza che questi vengano agiti distruttivamente nella realtà. Inoltre, potendosi calare nei panni di diversi personaggi, il bambino può sperimentarsi, col gioco simbolico, non solo nel ruolo dell’aggressore, ma anche in quello della vittima o del salvatore ampliando i modelli intorno ai quali poter costruire la propria identità e gestire l’aggressività.
3. Il gioco e la violenza di genere: due giochi per la prevenzione e la sensibilizzazione
Sulla base di quanto esposto precedentemente, dunque, emerge una riflessione: favorendo il gioco la simulazione e l’apprendimento, è possibile inserire in un contesto ludico l’argomento della violenza di genere in modo da sensibilizzare bambini e ragazzi e prevenire l’insorgenza di comportamenti violenti.
Ma cosa è la violenza di genere? Con l’espressione “Violenza di Genere” si intende un atto di violenza fisica, psicologica e di qualsiasi altro tipo che riguarda tutte quelle persone discriminate per il proprio sesso. Secondo l’Istat, più del 31% delle donne dai 16 anni in su ha subito violenza fisica o sessuale. Uno studio condotto nel 2018, invece, ha riportato che il numero di uomini che dichiarano di aver subito molestie sessuali è pari al 18%.
Il primo e fondamentale passo per contrastare questo fenomeno è sicuramente la consapevolezza, ed è stato sviluppato un videogioco per adolescenti chiamato “Tsiunas” che si propone come obiettivo proprio quello di far conoscere maggiormente questo tema. In questo gioco, il giocatore si trova in una città i cui abitanti hanno percezioni e opinioni contrastanti sul tema della violenza di genere, creando così una situazione di disarmonia. Visitando i luoghi della città, sarà possibile imbattersi in diversi fenomeni di violenza. Il giocatore dovrà dunque risolvere queste situazioni facendo delle scelte che possono essere positive, dunque funzionali, o negative, associate a pensieri e credenze sessiste. L’aspetto interessante del gioco è che non viene fornito nessun aiuto preliminare che guidi le scelte. Tutto sta nelle conoscenze e credenze già possedute dal giocatore, formate nel corso della sua vita. Durante l’esperienza videoludica, si avrà modo di leggere alcuni messaggi e considerazioni che aiuteranno a modificare i propri schemi di pensiero, lavorando su stereotipi e atteggiamenti sessisti.
A seguito della presentazione del gioco e di uno studio condotto su un campione di studenti, sono stati analizzati: il livello di tolleranza nei confronti della violenza di genere, il radicamento di pattern di pensiero sessisti e l’atteggiamento verso la violenza sulle donne, prima e dopo aver giocato a Tsiunas. I dati riportano un generale incremento, da parte degli uomini, di sentimenti di disapprovazione verso la violenza di genere, sia fisica che verbale. Vi è stato anche un miglioramento in riferimento al pensiero disfunzionale che portava ad attribuire la colpa della manifestazione violenta alle vittime. L’uso di questo strumento ha contribuito ad aumentare la consapevolezza sul tema della violenza.
Oltre alla popolazione e agli adolescenti è fondamentale che anche i professionisti della salute siano sensibilizzati sul tema, in modo da approcciarsi nel miglior modo possibile alle vittime per fornire il sostegno adeguato. Per tale scopo è stato ideato un gioco da tavolo chiamato “Violetas” che si è rivelato un potente strumento educativo nella lotta contro la violenza di genere.
Basato su una prospettiva collaborativa e strategica, coinvolge da quattro a otto giocatori, che rappresentano personaggi della rete intersettoriale per combattere la violenza e giocano tutti insieme contro il tabellone. Ogni giocatore riceve una scheda di riferimento che indica il personaggio che interpreterà nel gioco (educatore, operatore giuridico, membro delle politiche pubbliche o professionista sanitario, cittadino del movimento delle donne) e la sua capacità di agire. Il gioco si svolge nelle varie città della plancia, con l’obiettivo di affrontare casi di violenza. Il gioco è stato sottoposto a rigorosi test di validazione, coinvolgendo specialisti e partecipanti provenienti da diverse fasce della società. Dodici specialisti e oltre cento partecipanti, tra cui studenti universitari, professionisti e ricercatori, hanno confermato l’efficacia di questo gioco nell’affrontare la violenza contro le donne. Le regole, la meccanica e il design del gioco sono stati accuratamente studiati e approvati. Ai partecipanti vengono poste domande a risposta multipla, basate su scene di film che affrontano temi come diritti sessuali e riproduttivi, diversità sessuale e razziale, stereotipi di genere, forme di violenza, politiche e pratiche per affrontare la violenza. Rispondere correttamente alle domande consente di accumulare carte per l’acquisizione di gettoni che garantiscono la vittoria, mentre le risposte errate aumentano le situazioni di violenza nelle città e possono portare alla sconfitta nel gioco.
Durante il gioco, i partecipanti hanno la possibilità di discutere e riflettere su questioni di genere cruciali come: la decostruzione di modelli sessisti, i rischi della pornografia nel proporre modelli di violenza o di superiorità della figura maschile, e il rispetto per la diversità sessuale.
Per valutare l’efficacia di Violetas, è stato condotto un workshop presso tre unità della Casa da Mulher Brasileira (CMB) che operano in Brasile, coinvolgendo un totale di 28 professionisti che lavorano presso la CMB. Questi professionisti rappresentavano diverse fasce d’età, esperienze e ruoli all’interno delle unità della CMB.
È emerso che partecipare al gioco ha incoraggiato la produzione e il consolidamento delle conoscenze necessarie per affrontare la violenza contro le donne. Questo gioco ha permesso di individuare aspetti della violenza, sia evidenti che nascosti, che influiscono sulle azioni o sulle mancanze nella pratica professionale. La difficoltà nel riconoscere queste situazioni può essere collegata a schemi di pensiero sessisti che contribuiscono a perpetuare le disuguaglianze di genere.
4. Conclusione
In conclusione, è possibile affermare che il gioco può avere un ruolo fondamentale per quanto riguarda la prevenzione nella violenza di genere, ma ancora più alla base nella modulazione e nella sperimentazione di comportamenti che possano esprimere aggressività in un modo sano e rispettoso dell’altro. Questo è possibile educando sin da piccoli i bambini all’espressione della rabbia, alla trasmissione di valori come il rispetto, i confini e l’uguaglianza. Inoltre, è possibile notare come videogiochi e giochi da tavolo sviluppati per queste tematiche possano avere un impatto anche in età adolescenziale, là dove alcuni valori, comportamenti e regole non siano state assimilati precedentemente.
Bibliografia
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2011 Come funziona la nostra mente, Bologna, Il Mulino.
Ceciliani A.
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Scicchitano M.
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Scott E., Panksepp J.
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Smith P.K.
1997 «Play fighting and real fighting: perspectives on their relationship», in A. Schmitt, K. Atzwanger, K. Grammer, K. Schäfer, New Aspects of Human Ethology, pp. 47-64.
Tisseron, S.
2012 Prevenir la violence e le harcèlement scolaire, in «Journal des psychologues», 299, pp. 28-32.
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1971 Gioco e realtà, Roma, Armando editore.
Sitografia
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2023 Violenza di genere: un gioco da tavola per formare i professionisti della salute, https://ex-health.it/violenza-di-genere-un-gioco-da-tavola-per-formare-i-professionisti-della-salute/
Buscemi A.
2022 Videogiochi e violenza di genere: analizziamo Tsiunas, https://www.horizonpsytech.com/2022/06/28/videogiochi-e-violenza-di-genere-analizziamo-tsiunas/