1. Introduzione
Nell’ultimo anno e mezzo segnato dalla crisi pandemica il tema delle persone anziane, dei loro bisogni, della loro assistenza, è emerso nel dibattito pubblico italiano con una forza inedita. Paradossalmente, in un Paese la cui spesa sociale pubblica è ancora sbilanciata sulle pensioni e la cui popolazione è sempre più anziana, l’invecchiamento e la sua gestione sostenibile hanno a lungo faticato a trovare spazio nell’agenda pubblica e decisionale. La pandemia da Covid-19, operando drammaticamente come focusing event (Razetti 2020), ha contribuito a richiamare l’attenzione sul tema: non solo sui limiti dell’assistenza (formale e informale) alle persone non autosufficienti, ma anche sui rischi – di isolamento e solitudine – che il confinamento forzato ha reso ancora più attuali e cui sono esposte molte persone anziane autosufficienti. La maggiore consapevolezza di questi rischi e dei relativi bisogni sociali può essere la base per ragionare su come valorizzare il potenziale, ancora poco sfruttato, che le persone anziane possono dare alla società con il proprio contributo attivo. Ri-tematizzare l’anzianità da fase della vita passiva a fase della vita attiva e le persone anziane da peso a risorsa per la collettività è il cuore dell’approccio dell’“invecchiamento attivo”, che si propone di rispondere al contempo ai bisogni degli anziani (favorendone la partecipazione alla vita economica e sociale e l’adozione di comportamenti volti a ritardare l’insorgenza dei bisogni stessi) e alla necessità di assicurare sostenibilità a sistemi economici e di welfare sfidati dall’invecchiamento. Su questo sfondo, l’articolo si sviluppa in quattro sezioni. Dopo aver descritto le principali dinamiche demografiche in Italia e in altri Paesi europei (§2), nella terza sezione sono illustrati alcuni dati relativi agli effetti di tali trasformazioni sulle strutture familiari e al loro impatto sui problemi dell’isolamento e della solitudine in età anziana (§3). Come le persone anziane possano essere a tutti gli effetti una risorsa per la società è argomentato nella quarta parte, che – sulla base dell’Active Ageing Index – tratteggia l’attuale coinvolgimento degli anziani nel volontariato e nell’accudimento di familiari (§4). La quinta sezione conclude, sottolineando la necessità per l’Italia di trovare un punto di equilibrio, attento alle disuguaglianze, tra de-familizzazione dei servizi di cura e valorizzazione degli anziani (§5).
2. L’invecchiamento della popolazione italiana: uno sguardo d’insieme
L’Italia è uno dei Paesi in cui il processo di invecchiamento demografico si sta manifestando con maggiore rapidità e intensità, per effetto di una doppia dinamica che incide sulla struttura per età della popolazione: da un lato l’aumento della longevità, dall’altro il contestuale calo della natalità. La prima tendenza è catturata dall’andamento di indicatori quali la speranza di vita alla nascita (cresciuta da 80 anni nel 2002 a 82 anni nel 2020, nonostante il sensibile calo nell’ultimo anno dovuto agli effetti della pandemia), mentre la denatalità è documentata da un tasso di fecondità bassissimo, tornato nel 2019 allo stesso valore del 2002, pari ad appena 1,27 figli per donna e a 1,18 – il dato più basso di sempre – se si considerano solo le donne italiane. Nell’Ue, solo Spagna (1,23) e Malta (1,14) registrano valori più bassi1.
Si spiega così che una quota sempre più ampia della popolazione sia costituita da persone “anziane”, convenzionalmente intese come quelle con almeno 65 anni, che oggi sono quasi un quarto del totale (il 23,5; erano il 18,7% nel 2002), e che l’età mediana italiana (47,2 anni nel 2020) sia la più alta nell’Ue (dove in media si attesta a 43,9 anni). Ancora più sorprendente è la quota di persone con almeno 80 anni, che in Italia costituiscono ormai il 7,4% della popolazione (erano il 6,2% nel 2002), a fronte di una media europea consistente e in crescita, ma comunque più contenuta (5,9%).
Alcuni indicatori e il loro andamento nel tempo consentono poi di mettere meglio a fuoco lo squilibrio generazionale determinato dal processo di invecchiamento. L’indice di vecchiaia, dato dal rapporto tra la popolazione giovane (meno di 15 anni) e quella anziana (almeno 65 anni), segnala infatti che in Italia vi sono più di 184 anziani ogni 100 giovani (erano poco meno di 132 nel 2002); a sua volta, l’indice di dipendenza strutturale, che cattura il rapporto tra popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e popolazione in età attiva (15-64 anni), è cresciuto in vent’anni di quasi 8 punti percentuali, dal 49,1 del 2002 a quasi 57 del 2021. Infine, il rapporto tra popolazione anziana e popolazione attiva – l’indice di dipendenza degli anziani – è cresciuto dal valore di 27,9 del 2002 a 36,9 del 2021. Anche se in termini approssimativi, l’indicatore segnala quante persone anziane gravano ogni 100 persone nella fascia 15-64 anni, ovvero quelle potenzialmente attive nel mercato del lavoro, fornendo così una misura utile a comprendere l’impatto dell’invecchiamento sulla sostenibilità del sistema economico e di welfare, soprattutto nelle sue componenti più direttamente sollecitate (previdenziale, sanitaria e socio-sanitaria).
Per comprendere meglio la portata di tali mutamenti è inoltre utile leggere i dati italiani in chiave comparata fra Paesi e in chiave prospettica nel tempo. La tabella 1 illustra i valori dei principali indicatori demografici mettendo a confronto la situazione italiana con la media europea e con i valori registrati in un gruppo selezionato di altri Paesi membri, appartenenti a diversi “mondi” del capitalismo welfarista. La figura 1 rappresenta invece le previsioni di Eurostat circa l’andamento di tre indicatori nel corso del prossimo trentennio (2020-2050), mettendo di nuovo a confronto l’Italia con lo stesso gruppo di Paesi. Entrambi gli esercizi mettono in evidenza non solo che l’invecchiamento demografico sta investendo e investirà i diversi Paesi europei, ma anche che tale fenomeno vede e vedrà l’Italia in una condizione di particolare criticità.
Tabella 1. Principali indicatori demografici: l’invecchiamento dell’Italia in prospettiva comparata. Fonte: rielaborazione da dataset Eurostat “demo_pjanind” e “demo_frate” (ultimo accesso: 01.06.2021). Nota: ultimo anno disponibile per ogni Paese.
Figura 1. Previsioni 2020-2050 di età mediana, indice di dipendenza degli anziani e quota di popolazione con almeno 80 anni. Fonte: rielaborazione da dataset Eurostat “proj_19ndbi” (ultimo accesso: 01.06.2021). Nota: scenario baseline.
3. La trasformazione delle strutture familiari: sempre più nuclei, sempre più piccoli
Prima di considerare quanto sia urgente adottare politiche di “invecchiamento attivo” per affrontare tali sfide (§4), appare utile focalizzare l’attenzione su un’altra importante dimensione, strettamente connessa con il quadro delineato e legata al mutamento dei bisogni degli anziani: il radicale mutamento delle strutture familiari. Negli ultimi decenni, il crollo della natalità e l’aumento delle separazioni e dei divorzi hanno determinato un aumento del numero di famiglie e la contemporanea riduzione della loro numerosità. Questo si riverbera in parte su quella che l’Istat (2018) definisce la “rete di sostegno familiare potenziale”, ovvero l’insieme di parenti stretti (conviventi e non) per i quali si assume un vincolo connotato da legami di tipo normativo-affettivo (genitori, nonni, figli, figli di figli, fratelli/sorelle), e di altri parenti (zii, cugini, cognati, suoceri, figli di fratelli, etc.) su cui l’individuo ritiene di poter contare. Il confronto tra l’anno 1998 e l’anno 2016 (cfr. figura 2) evidenzia un aumento del numero di parenti stretti su cui possono contare le coorti più giovani (che si giovano di nonni che vivono più a lungo), ma documenta al contempo l’assottigliarsi della rete di parenti stretti su cui le persone più anziane possono fare affidamento (che, per la fascia con almeno 75 anni, scende da 7,1 parenti a 6,3; cfr. anche Ongaro 2018).
Figura 2. Persone di 18+ anni per numero medio di parenti stretti e di altri parenti su cui contare per classi d’età (1998 e 2016). Fonte: elaborazione da Istat (2018).
Si consideri inoltre che se una quota consistente di anziani vive in coppia (senza figli; 42%), un’ampia fascia di popolazione con almeno 65 anni vive da sola (il 29,3%; 2019; dati EU-SILC), tanto da costituire quasi la metà delle famiglie mononucleari complessivamente presenti in Italia. Il fenomeno della famiglia monocomponente in età avanzata riguarda con maggiore frequenza le donne, per via di un’aspettativa di vita più favorevole di quella degli uomini: le donne anziane vivono da sole nel 37,8% dei casi e costituiscono oltre il 60% delle persone sole, mentre i coetanei uomini vivono da soli nel 18,2% dei casi e rappresentano circa il 30% delle famiglie mononucleari (2019; dati EU-SILC/ ilc_lvps30 e I.Stat). In generale, a seguito dell’affermazione di nuovi modelli familiari e di un’accresciuta instabilità dei nuclei, appare inoltre ragionevole prevedere un incremento nel tempo delle persone che invecchieranno da sole.
Per quanto qui solo accennate, queste considerazioni gettano luce sui (nuovi) bisogni – relazionali e di assistenza – che le persone anziane di oggi e di domani sperimentano e sperimenteranno sempre più: bisogni legati ai rischi crescenti di isolamento e solitudine, destinati oltretutto a essere percepiti più intensamente proprio in quei Paesi come l’Italia in cui – per ragioni culturali e di policy – le aspettative che si nutrono verso le reti familiari sono storicamente maggiori (cfr. Cerea 2021). Se a ciò si aggiunge una più complessiva rarefazione delle relazioni sociali, si colgono facilmente le possibili conseguenze per gli anziani in termini di accresciuta vulnerabilità.
4. Le persone anziane come risorsa per la società: volontariato e caregiving familiare in una prospettiva di invecchiamento attivo
Di fronte a tali sfide la prospettiva del cosiddetto invecchiamento attivo intende offrire direttrici di policy capaci di riconciliare le trasformazioni demografiche in corso con la tenuta complessiva del sistema, valorizzando quanto più possibile il contributo positivo che le persone più anziane possono offrire alla società e all’economia. Invecchiare in modo attivo e sano significa invecchiare in buona salute, continuando a operare quali membri a pieno titolo della società, sentendosi più realizzati nel proprio lavoro e negli impegni sociali, più indipendenti nella propria vita quotidiana e più impegnati come cittadini (Barslund et al. 2019). Idealmente, l’adozione di tale approccio dovrebbe dunque consentire di ottenere un doppio risultato: aumentare il benessere delle persone anziane ancorandole maggiormente e più attivamente al proprio contesto di riferimento, contribuendo così alla sostenibilità complessiva del sistema e facendo coincidere i vantaggi a livello individuale con le esternalità positive per la società (Istat 2020).
L’approccio è multidimensionale: chiama in causa non solo l’indipendenza delle persone anziane, ma anche la loro partecipazione al mercato del lavoro e alla vita sociale, grazie a una mobilitazione di tutti gli stakeholder rilevanti (pubblici e privati), all’impiego delle nuove tecnologie e al ricorso all’innovazione sociale. Nel quadro dell’Anno Europeo dell’Invecchiamento Attivo e della Solidarietà Intergenerazionale (2012) è stato elaborato l’Active Ageing Index (AAI), inteso quale strumento di analisi, ma anche di policymaking, a disposizione dei decisori per realizzare l’«active potential of older people» (UNECE e EC 2019, X). L’indice, grazie all’impiego di ventidue indicatori relativi a quattro dimensioni, prova a cogliere per ogni Paese il grado di sviluppo dell’invecchiamento attivo (cfr. tab. 2).
Tabella 2. L’Active Ageing Index (AAI): dimensioni e indicatori. Fonte: elaborazione da UNECE e EC (2019, X).
In questa sede pare interessante concentrare l’attenzione sulla seconda dimensione dell’indice – la partecipazione alla vita sociale (peraltro indicata dall’AAI 2018 come la più critica per il “cluster” cui appartiene l’Italia) – che a sua volta si compone di indicatori relativi alle attività di volontariato, alle diverse forme di assistenza familiare (a bambini e disabili adulti) e alla partecipazione politica.
Lasciando quest’ultima sullo sfondo, i dati sul volontariato e l’assistenza informale catturano aspetti interessanti della vita in età anziana in quanto ambiti di azione capaci di produrre benessere individuale e collettivo. Oltre ai vantaggi per chi usufruisce dei servizi realizzati dai volontari, infatti, le attività di volontariato contribuiscono a promuovere la cooperazione intergenerazionale e a ridurre il senso di isolamento dei volontari anziani, accrescendone così il senso di legame a reti sociali extra familiari, che – come visto – diventeranno probabilmente sempre più rilevanti. In Italia, nel 2018 le persone anziane impegnate a vario titolo in attività di volontariato erano il 9,8% del totale, con un differenziale di genere a favore degli uomini (11,4%) rispetto alle donne (8,5%) e un’evidente differenziazione del Nord (13%) rispetto al Centro (9,3%) e al Mezzogiorno (5,7%) (Istat 2020). Anche se in crescita, si tratta di un dato piuttosto contenuto, soprattutto se letto alla luce dei valori registrati in molti altri Paesi Ue.
A loro volta, le attività di assistenza informale possono essere lette sia come un vantaggio individuale in termini di accresciuta percezione del valore personale e di risparmio complessivo per la famiglia, sia come vantaggio collettivo, per la conseguente riduzione della pressione sul welfare pubblico, l’effetto di sostegno all’occupazione femminile (Istat 2020, 78), oltreché per la promozione di un senso di solidarietà intergenerazionale. Da questo punto di vista, i dati Istat relativi al 2018 segnalano che gli anziani che dichiaravano di avere fornito assistenza a bambini e nipoti come aiuto principale erano il 26,8% del totale (il 28% tra le donne e il 25% tra gli uomini), mentre quelli che dichiaravano di aver fornito assistenza ad adulti non conviventi erano il 13,2% (il 15,3% tra le donne e il 10,4% tra i coetanei maschi). Dal punto di vista territoriale, si registra un maggior impegno dei nonni residenti nelle regioni del Nord (probabilmente per i maggiori tassi di occupazione femminile) e un maggior impegno degli anziani del Mezzogiorno nella cura delle persone adulte con disabilità.
5. Osservazioni conclusive: promuovere l’invecchiamento attivo considerando le disuguaglianze
Il punteggio dell’AAI italiano – sia totale, sia disaggregato sulle singole dimensioni – segnala una performance del nostro Paese inferiore alla media europea. L’Italia è diciassettesima nella graduatoria Ue e ottava quanto ad ampiezza del divario di genere a svantaggio delle donne. Rispetto alla specifica dimensione qui considerata (la partecipazione sociale), il punteggio italiano è solo di poco inferiore alla media Ue (17,3 vs. 17,9) e, come in molti altri Stati, registra invece un divario di genere “a favore” delle donne, ma soprattutto perché su di esse più che sugli uomini continuano a gravare – anche in età anziana – le attività di accudimento familiare. Sulla base di questi dati, l’Italia sembra chiamata a trovare una propria via all’invecchiamento attivo, nella consapevolezza che – per quanto sottile – occorrerà percorrere un crinale capace di conciliare un auspicabile processo di “de-familizzazione” di tanti servizi di cura che ancora ricadono sulle famiglie (e in particolare sulla componente femminile, con le negative conseguenze in termini di partecipazione al mercato del lavoro, anche in età avanzata) con la contestuale, necessaria valorizzazione delle persone anziane – uomini e donne, al Nord come al Sud – quali soggetti chiamati a partecipare attivamente alla società con le proprie preziose attività di accudimento familiare e di volontariato. È insomma necessario preparare oggi l’invecchiamento attivo degli anziani di oggi e di domani, prestando la necessaria attenzione a evitare che le disuguaglianze socio-economiche e dei sistemi territoriali di welfare esistenti determinino a cascata una differenziazione anche nell’accesso all’active ageing (cfr. Barslund et al. 2019).
Nota
1 Se non specificato, i dati comparati sono sempre tratti dai database Eurostat, mentre quelli italiani dai database Istat.
Bibliografia
UNECE/European Commission, a cura di G. Lamura e A. Principi
2019 2018 Active Ageing Index: Analytical Report.
Barslund, M., Von Werder, M. e Zaidi, A.
2019 Inequality in active ageing: evidence from a new individual-level index for European countries, Cambridge, Cambridge University Press.
Cerea, S.
2021 Le reti familiari e il senso di solitudine degli anziani, in «I luoghi della cura rivista online», 12 gennaio.
Istat
2018 Rapporto annuale 2018 – La situazione del Paese, Roma. 2020 Invecchiamento attivo e condizioni di vita degli anziani in Italia, Roma.
Ongaro, F.
2018 La rete di sostegno sociale degli individui secondo il Rapporto ISTAT 2018, in «welforum.it», 26 luglio.
Razetti, F.
2020 Il Coronavirus e i nervi scoperti del welfare italiano, in «secondowelfare.it», 20 marzo.