Bisogna avere pazienza verso le irresolutezze del cuore e cercare di amare le domande stesse come stanze chiuse a chiave e come libri che sono scritti in una lingua che non sappiamo. Si tratta di vivere ogni cosa. Quando si vivono le domande, forse piano piano si finisce senza accorgersene, col vivere dentro le risposte celate in un giorno che non sappiamo. R.M. Rilke 1903
1. Premessa
Partirei dal concetto di immaginario che cambia (G. Pellizari 2020) con una definizione volutamente ampia, come una sorta di dispositivo a cui appartengono immagini collettive consce e inconsce, che consentono all’individuo e al gruppo di dare forma alla realtà. L’immaginario fa parte della cultura e cambia nel tempo e nello spazio, nel senso che anche la realtà (l’esperienza, la cultura, ecc.) modifica l’immaginario: entrambi sono in comunicazione a livello spesso inconsapevole.
Un elemento dell’immaginario è il contesto, le famiglie hanno un immaginario, i gruppi sociali o politici e così via: le immagini sono sempre presenti, più o meno fertili, spesso inconsce, e appartengono al contesto nel senso che non sono separate da questo. Si può dire che l’immaginario cambia con l’età, con l’esperienza e certamente non è lo stesso in un genitore, in un nonno o in un bambino o in un adolescente.
Una delle fonti di cambiamento del nostro immaginario è il trauma. In quanto neuropsichiatra mi soffermerò prevalentemente in questo lavoro sulle dinamiche che hanno coinvolto i bambini, gli adolescenti e le loro famiglie nel corso della pandemia a partire dal primo lockdown del febbraio 2020, che ha rappresentato un trauma persistente e prolungato associato ad un lutto (equazione trauma+lutto=perturbazione duratura della capacità di immaginare) e dei cambiamenti del contesto di cura dei bambini in molti Servizi pubblici di neuropsichiatria infantile lombardi.
L’essere umano è sempre alle prese con il tentativo di conciliare e integrare l’immaginario (che aggiungendo un tassello è parte della realtà interna degli individui) con la realtà esterna, e nei bambini e negli adolescenti questa realtà interna è spesso perturbante e angosciosa, essendo popolata da fantasie e fantasmi che la mente infantile riesce a contenere solo con l’aiuto dell’adulto familiare, genitore, amico o educatore che sia. Se le cose vanno abbastanza bene per il bambino, che poi diventerà un adulto, la realtà interna verrà bonificata dalla realtà esterna, il mondo delle relazioni familiari e sociali, educative, economiche e formative attenuerà la portata delle fantasie aggressive, che rimarranno presenti, ma circoscritte in alcune sfere, come il gioco, la creatività, la competitività, lo studio e talora la patologia mentale o sociale o giudiziaria.
A parere di molti esperti di questa lettura psichica (Wade et al. 2021; Bentham et al. 2021), la pandemia con il suo carico traumatico di lutto ha presto creato un cortocircuito tra realtà esterna spaventosa e realtà interna. In un primo momento i bambini e gli adolescenti (con la grande eccezione dei disabili e delle loro famiglie gravemente colpite dal trauma) sembravano “fare a pari” con la realtà esterna che allora pareva più pericolosa della realtà interna, ma presto, già a partire dalla seconda emergenza dell’ottobre 2020, con la chiusura delle scuole e delle attività ricreative, il disagio, la sofferenza e i disturbi più gravi degli adolescenti hanno cominciato ad emergere: loro, i potenziali assassini delle generazioni precedenti.
Per dare alcuni numeri che riguardano il mio Servizio di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (NPIA): il totale dei ricoveri nei primi 6 mesi dell’anno 2021 corrisponde alla media dei ricoveri degli anni 2017-2019. Ci sono stati 37 ricoveri nel nostro presidio ospedaliero per acuzie psichiatriche in adolescenza, di cui solo 1/3 sono avvenuti in ambiente NPIA, dato preoccupante ed in linea con quello Nazionale (Costantino A. 2021):
• 7 su 1000 si recano al Pronto Soccorso per un disturbo psichiatrico;
• 5 su 1000 hanno bisogno di un ricovero neurologico o psichiatrico;
• Solo 1 su 1000 riesce ad essere ricoverato in un reparto di NPIA;
• 4 su 5 vengono purtroppo ricoverati in reparti non appropriati, di cui 1 in reparto psichiatrico per adulti.
Per di più, nell’arco degli ultimi 10 anni gli accessi alle NPIA sono raddoppiati, con prevalenza delle gravi patologie autolesive, disturbi del comportamento alimentare e gravi patologie della condotta. Il significato, l’origine e la portata di questa sofferenza non ci sono ancora chiare e anche questa mia ricostruzione può servire solo in parte ad illuminare alcune aree oscure.
2. Durante la prima emergenza pandemica
2.1. Alla ricerca del tempo perduto
Dato l’epicentro lombardo, pur con le differenze significative tra province nell’incidenza di casi, tutti i servizi di NPIA si sono dati uno stretto coordinamento cercando di riutilizzare, dalla propria esperienza di approccio ecologico alla rete intorno alle disabilità (disturbi del neurosviluppo, disturbi neurologici, malattie e sindromi rare) e alla psicopatologia, i mezzi e i materiali utili per mantenere aperti i servizi all’utenza e sfruttare le tecnologie informatiche disponibili per il lavoro in remoto (Rapporto ISS COVID-19 N.43 2020). Lo spiazzamento degli operatori e delle famiglie di fronte al primo improvviso lockdown e la necessità di operare un cambiamento rapido di paradigma per non lasciare sole le famiglie, le lentezze tecniche e amministrative, l’angoscia per l’incidenza della malattia e dei suoi esiti, hanno reso subito le dinamiche dei gruppi di cura molto complesse e conflittuali. La pandemia ci rendeva al tempo stesso pazienti e curanti, cosa di cui però ci siamo resi conto pienamente solo con il secondo lockdown.
Molto in sintesi la prassi operativa cambiò già dal marzo 2020 ed è contenuta nelle «Indicazioni operative per i Servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e per i servizi di riabilitazione dell’età evolutiva» (SINPIA 2020).
2.2. Cerberi e Minotauri, una digressione nell’immaginario che cambia
Durante il lockdown le attività terapeutiche di gruppo per adolescenti e giovani si sono trasferite su piattaforme come Skype o Meet e si sono riadattate a queste modalità, includendole nell’immaginario di gruppo. Non tutti i gruppi sono sopravvissuti a questa transizione tecnologica della cura, ma quelli che sono riusciti a proseguire e di cui ho fatto esperienza hanno portato materiale immaginativo e di sogno interessante. Nei gruppi terapeutici diversi membri parlavano più o meno esplicitamente e frequentemente dell’esperienza costrittiva e claustrofobica dell’essere davanti ad un computer, come metafora della “reclusione” a casa di quell’epoca e della perdita delle relazioni corporee. Si affacciavano nei sogni e nelle fantasie figure mitologiche, animali mutati simili al Cerbero o al Minotauro, figure ibride mostro-animale o animale-uomo, testimonianza dell’angoscia e pericolo incombenti di rimanere reclusi in una natura maligna o in un luogo senza fondo e senza uscita (l’inferno o il labirinto). Il Minotauro, espressione di una natura mutata, ibrida, è il frutto di un’unione innaturale e violenta di una donna con un toro che dà vita ad un mostro recluso e spietato (La ferocia della pandemia? Il tributo di morte?).
La pandemia, il contagio, hanno fatto riaprire copioni latenti all’interno di relazioni difficili e costrittive, e in molti casi la quarantena serrata, unico presidio utile in assenza di vaccini, è diventata l’occasione di altre virulenze in famiglia, di privazione per i disabili e le persone malate, di paura e solitudine.
La violenza prende forme maschili o femminili, indifferentemente, anche se soprattutto le donne e i più fragili, i malati e gli adolescenti, sono balzati ai primi posti nelle cronache. Così come Tamar nel Secondo Libro di Samuele o La Muta di Dostoevskij e persino quella di Raffaello dallo stesso nome, nascondono nell’isolamento che sembra proteggerle, sofferenza e dolore. Chi è muto, spesso, è un dolore che tace.
3. Dopo la prima emergenza
3.1. Sopravvivere al distanziamento
Nel giugno 2020, breve quiete dopo la tempesta, i servizi territoriali di NPIA hanno riaperto ai bambini mantenendo interventi in telemedicina o misti, per tutte quelle situazioni a elevata possibilità di contagio e fragili (Payne et al. 2021; MacMullin et al. 2020).
La formazione alle scuole anche da parte del personale della NPIA ha visto fiorire una stagione purtroppo breve, ma stimolante, di uso della tecnologia webinar gratuita, inclusiva e allargata alla rete dei servizi, scuole e famiglie.
Alla riapertura dei servizi e al ritorno negli ambulatori di bambini e genitori durante l’estate 2020, le famiglie dei disabili sono risultate le più sofferenti (Wade et al. 2021; Valli et al. 2020). La situazione catastrofica di lutti, sia reali che immaginati e temuti di persone care, sia per perdite di possibilità abitative, lavorative, economiche, di mobilità oltre che di relazione, hanno determinato ciò che tecnicamente chiamiamo un gravissimo trauma cumulativo.
3.2. La doppia faccia del trauma
Il trauma agisce a più livelli: un primo livello si imprime nel corpo, precisamente nel sistema neuroendocrino. L’altro livello, più complesso e tipico dell’uomo, di reazione al trauma è quello neuropsicologico: in sintesi il trauma produce una difesa che determina una caduta della capacità di ricordare, ma di una particolare forma di memoria, la memoria narrativa, ossia, tra le numerose forme di memoria, quella specificamente umana che ci consente di collegare fatti, emozioni, immagini, ricordi lontani e vicini in una narrazione interna che dia un senso all’esperienza (siamo nuovamente a contatto con l’immaginario che cambia). Questa funzione narrativa è sospesa a seguito di un grave trauma e ad essa si sostituiscono immagini ripetute, invadenti, opprimenti nel sonno come nella veglia, evocate da semplici associazioni percettive o immaginative all’evento traumatico. Di queste condizioni molti avranno sentito parlare sotto il termine di “Disturbo post-raumatico da stress”.
Nei meet con la scuola nel corso di questo anno passato si è cercato, non sempre con successo, di costruire una rete per facilitare buone prassi di lavoro di integrazione, partendo appunto dalla necessità di raccogliere e narrare su vari supporti (video, audio, libri, mail, etc.) l’esperienza attuale e passata del trauma.
Tra l’altro nel caso dei bambini, le quarantene avevano paradossalmente rinsaldato i legami di gruppo intrafamiliari consentendo spesso, dove la situazione lo permetteva tramite le tecnologie, agli operatori delle NPIA un contatto con la famiglia allargata o dispersa geograficamente prima inimmaginabile (Smith et al. 2020).
4. Prima che si ripeta
4.1. La lingua informatica: inquinamento luminoso
Stiamo sperimentando le “helpline telefoniche” o su piattaforma informatica per raggiungere più persone possibili con disturbi psicologici a bassa intensità, stiamo cercando di intercettare il più possibile la priorità dei disturbi postraumatici, di potenziare l’area dei ricoveri per le acuzie comportamentali degli adolescenti in esplosione, abbiamo cercato di ovviare ai distanziamenti fisici con la tecnologia. Dobbiamo però tener conto che questa rivoluzione ha dei prezzi: micro, mi riferisco all’uso quotidiano del lavoro da remoto in situazioni di sofferenza psichica o fisica che necessitano imprescindibilmente di un contatto diretto; macro, mi riferisco alle politiche fortemente discriminanti verso la metà del mondo in grave difficoltà economica, con possibili enormi sbilanciamenti migratori che già conosciamo. Se e quando una situazione similmente catastrofica dovesse ripetersi, avremo maturato certamente un bagaglio di esperienza organizzativa e tecnologica per evitare gli errori delle cure, avremo toccato con mano le conseguenze di un impoverimento della medicina di territorio e di prossimità al malato, di cui la NPIA è una parte, avremo compreso l’utilità della telemedicina/teleriabilitazione, ma sembra che, almeno al momento, la questione sia confinata prevalentemente a un fatto tecnico-economico-infettivologico. Non abbiamo compreso ancora i significati delle perdite e dei lutti che abbiamo subito (di nostri cari, dei corpi, del contatto, del lavoro, dell’appartenenza geografica o architettonica) e delle riparazioni possibili (Bentham et al. 2021).
Come la pillola blu in The Matrix, la tecnologia ha dato una visione falsamente confortante della realtà. Ci sono condizioni di stress per chi fa 8-10 sessioni giornaliere in remoto (non solo in sanità) obbligandosi ad un rapporto prevalentemente verbale con gli altri (Farmer et al. 2020). Ci sono situazioni di perdita di diritti acquisiti riguardanti la qualità del lavoro e quindi delle relazioni veicolate e persino della salute, quando si passa da una operatività in presenza a una in lavoro agile. Per contro, esistono ampie zone o fasce di popolazione migrante o anche italiana che non sono raggiungibili dalla reti informatiche attuali, aggiungendo così un’ulteriore discriminazione, quella tecnologica.
Quanto alla NPIA, l’emergenza e la post-emergenza COVID-19 hanno costretto i Servizi a modificare sostanzialmente e in parte permanentemente alcune delle principali modalità operative in essere e collaudate nell’incontro con famiglie e bambini. Abbiamo registrato nel corso del 2020/21 un notevole sforzo di utenti, famiglie e operatori nell’attuazione di modalità di presa in carico integrata tra presenza e remoto con mezzi e piattaforme informatiche, facendo il possibile là dove era possibile (Rapporti ISS COVID-19 N. 20,319, 2020). A più livelli, regionale, provinciale, di Servizi territoriali, la NPIA e le società scientifiche collegate, hanno promosso iniziative di rafforzamento degli interventi sulle condizioni di fragilità: emergenza urgenza in età evolutiva, Disturbi del Comportamento Alimentare, Disturbi autistici, di cui il recentissimo Piano Regionale Autismo è un esempio. Si tratta di conciliare un approccio clinico con uno necessariamente ecologico al quale la stessa pandemia ci ha riportato. Tale sforzo che interseca più livelli, clinico, organizzativo, tecnologico, socio-culturale, normativo, nonché di valutazione di efficacia, è tuttora in corso e rappresenterà una delle sfide operative dei prossimi anni.
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