1. Cambia la coppia. Le ripercussioni in famiglia
Negli ultimi decenni stiamo assistendo ad una mutazione repentina di quella che era la famiglia, nel contesto europeo, ma ancor di più in quello italiano, sino al secondo dopoguerra[1]. Illustreremo in questo articolo alcuni dettagli e talune motivazioni che hanno innescato questa transizione che verte sulla modifica strutturale del nucleo domestico con conseguenze sul singolo e i suoi bisogni. Difatti la concezione moderna di padre e madre[2] è conseguenza di un processo che inizia dalla persona e i suoi desideri[3] e che di riflesso si ripercuote in famiglia. La coppia è scissa non solo quando ufficialmente separata o divorziata, ma ogni volta che i suoi componenti, nei processi decisionali, smarriscono il partner ed effettuano una differenziazione tra i propri desideri, ambizioni, obiettivi e le priorità che permettono la sussistenza di un nucleo familiare tradizionale[4]. I dati ci dimostrano le conseguenze che tali modificazioni hanno su donne, uomini, anziani, figli e sull’individuo stesso[5]. Nel particolare svilupperemo in questa circostanza alcune questioni concernenti la denatalità e le conseguenze che questa sta apportando sullo stile di vita, sulla cultura e sulla società del terzo millennio[6].
Gli atti educativi e procreativi hanno da sempre ricoperto un ruolo centrale nel dibattito pubblico e privato perché nella prole vi è racchiuso il futuro stesso non solo della coppia, ma dell’intera popolazione afferente ad un certo territorio[7]. Possiamo vedere ad esempio come nel contesto socioculturale precedente era presente comunque un controllo delle nascite, ma regolato dall’alta percentuale di morti pre/neonatali e infantili, difatti una madre concepiva normalmente il doppio dei figli rispetto a quelli che sopravvivevano come conviventi da accudire per garantire alla parentela un apporto di forza lavoro utile e proficuo per la sopravvivenza dei suoi membri[8]. Al contrario oggi nei paesi europei riscontriamo una continua e graduale diminuzione dei componenti medi dei nuclei familiari[9] nonostante si registri un drastico calo della mortalità infantile grazie all’efficacia di interventi e scoperte volti al miglioramento della salute pubblica e all’aumento del benessere economico. Avere un figlio non è più conveniente come in precedenza perché «implica una notevole perdita di reddito e, al tempo stesso, un notevole aumento della spesa familiare»[10] perché il figlio è passato dall’essere considerato come forza lavoro e supporto per i vari lavori domestici a «puro e semplice consumatore»[11] dunque la coppia necessita di differenti motivazioni trainanti per accettare una o più gravidanze altrimenti considerate addirittura dannose perché limitano la coppia, e in particolar modo l’individuo, economicamente e soprattutto nelle possibilità di autorealizzazione[12]. Negli ultimi decenni riscontriamo pertanto un cambiamento socioculturale che ha provocato una modificazione di quelli che sono i parametri di pianificazione del disegno di vita più comuni andando ad influire attraverso una netta inversione nella classifica delle priorità e portando la carriera lavorativa tra i primi posti a discapito del formare una famiglia, in special modo sé numerosa[13].
2. La società educante
La società, la comunità e la famiglia, così come ogni individuo hanno funzione educante[14], risulta così che le scelte che vengono intraprese a livello istituzionale hanno ripercussioni sulla struttura valoriale degli individui.
Nella società romana era molto importante l’abito inteso per definire lo stato o la condizione di una persona. In particolare poniamo in risalto come dall’infanzia sino all’adolescenza i giovani latini indossassero la toga praetexta, per passare poi alla toga virilis che indicava il passaggio alla fase adulta, verso i 16 anni. I giovani dopo un rito familiare erano consegnati dal padre ad un anziano di fiducia che avrebbe introdotto, dopo un anno di tirocinium fori, il giovane nella politica e nella società, portandolo così a divenire cittadino con diritti e doveri da assolvere in favore della famiglia e della comunità[15].
In una società che aiuta a porre confini e dove l’individuo vive supportato dalla comunità[16] la famiglia assume il suo ruolo di nucleo[17], un ruolo nevralgico, nel quale ogni individuo nella relazione con l’altro pone dei limiti, i propri, che definiscono ed aiutano l’essere a sviluppare strategie utili alla sopravvivenza ed all’immersione in società.
Il limite è concepito dalla cultura moderna come qualcosa di negativo. Tutto punta al soddisfacimento del sé, così ciò che si frappone tra l’individuo ed il suo scopo diviene un ostacolo da arginare[18].
Crescono la dispersione scolastica, i comportamenti problematici ed a rischio tra gli adolescenti[19] e la disoccupazione giovanile, ma allo stesso tempo molte industrie denunciano di non trovare operai[20]. Ci imbattiamo in “giovani liquidi”, come direbbe Bauman, divenuti incapaci di stare nella difficoltà. Giovani indefiniti, educati ad un ascolto egocentrico dei bisogni. Definire, dal latino significa limitare. Definire/delimitare dal greco horizein (sostantivo: confine, limite dal greco horos) Con horos venivano chiamate anche le pietre di confine dei terreni, i limiti. Horos ha la stessa radice di horìzon (orizzonte). Il limite come orizzonte, l’orizzonte che delimita e contiene il panorama, che pur essendo chiaro e racchiuso non è statico ed immutabile.
L’individuo si sta abituando a progettare in maniera egocentrica e, pensando di saltare o eliminare tutti gli ostacoli alla definitiva realizzazione, si aggroviglia in idee ed aspettative.
La separazione, il divorzio e la denatalità minano non solo l’esistenza della famiglia presente[21], ma creano difficoltà nei figli nel generare a loro volta un proprio nido[22]. Questo fa sì che la più grande “malattia” del nostro tempo sia la solitudine e l’individualismo[23].
Dalla fine del XIX secolo l’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno apportato un nuovo modo di vivere in comunità ed in società con effetti sul modo di agire dei singoli[24].
Nel passaggio dalla società produttivista alla società dei consumi è mutata la concezione culturale e la rilevanza sociale della corporeità: il corpo ha convertito la sua funzione passando dall’essere uno strumento utile per giungere ad un obiettivo a risultare lui stesso l’obiettivo. Il corpo ha così assunto una centralità tutta nuova dalla quale consegue l’inversione della classifica dei bisogni considerati come primari e fondanti per l’essere[25]. Il cambiamento sociale ha apportato una trasformazione nei singoli perché «la sindrome consumista è incentrata su un netto rifiuto del valore della dilazione, del rinvio della soddisfazione, su cui si fondava la società dei produttori»[26]. Dunque l’essere umano, che è portato ad eliminare ciò che risulta frustrante nell’immediato e perciò non più in grado di procrastinare la possibilità di ricevere benessere, a breve termine ed individuale a vantaggio di benefici a lungo termine che possano risultare positivi per la comunità, non considera un vantaggio tutto ciò che funge da elemento di intralcio per i suoi scopi e perdendo, in questa maniera, totalmente di vista la pazienza che contraddistingue l’artigiano, ovvero l’impossibilità di valorizzare il limite momentaneo per conseguire un risultato maggiormente auspicabile[27].
3. Educazione in famiglia
La letteratura sottolinea come la famiglia da nucleo psicologico “etico normativo” sia divenuta nel periodo post-sessantotto una famiglia “affettivo-relazionale”[28]. Se nella prima la responsabilità della quale i genitori si sentivano incaricati era un passaggio alla prole di norme, regole sociali, principi e valori che permettessero al bambino di vivere in una comunità, nella quale gli adulti ricoprivano un ruolo di guide educative; oggi i neo genitori si sentono investiti del compito di dover trasmettere affetto, accudimento e attenzione che spesso si manifesta attraverso un soddisfacimento dei bisogni manifestati dal figlio con lo scopo di eliminare o ridurre la frustrazione[29].
Prima degli anni ‘70 la preoccupazione dei genitori era principalmente quella di fornire principi ed indicazioni alla prole per prepararla ad affrontare la vita, nella quale il rifiuto, il disagio e l’insoddisfazione dei bisogni e desideri assumevano aspetti etici ed educativi. L’educazione era indirizzata verso la responsabilizzazione dei figli verso i propri compiti e doveri anche nei confronti del proprio nucleo familiare. Dopo gli anni ‘70 la coppia genitoriale comincia ad assumere una funzione supportiva verso la prole, ponendosi come scopo la valorizzazione dei figli non tanto per prepararli ad affrontare la crescita e le nuove sfide e difficoltà che incontreranno, ma per renderli felici e realizzati. In essa l’educazione dei figli è direzionata essenzialmente verso l’autorealizzazione dell’individuo[30].
Se l’asse educativo familiare risiede nell’autorealizzazione di ogni componente, il controllo delle nascite diviene un utile e funzionale strumento. Un ulteriore figlio aumenta la difficoltà della coppia genitoriale di offrire attenzione e affetto al proprio bambino, diminuendo anche le possibilità economiche attraverso le quali questo spesso si realizza[31]. In questo contesto la fecondità è regolata e gestita per poter contenere il numero di nascite e decidere i tempi delle gravidanze: il neonato viene desiderato e caricato di aspettative e la procreazione diviene una scelta “affettiva ed intimistica”[32].
Tutto ciò ha ripercussioni a livello di gestione dei comportamenti problematici dei giovani. Al riguardo Asha Phillips[33] sostiene che i genitori hanno molte difficoltà a porre divieti e regole ai propri figli proprio per la difficoltà emotiva che sperimentano nel trattare con fermezza un bambino che si è atteso e desiderato per anni. In questo nuovo modello di famiglia emergono sempre più spesso figure quali il “genitore-amico”, che spesso manifesta atteggiamenti e comportamenti accondiscendenti, con cui è possibile parlare, confrontarsi, fare esperienze, a scapito però della responsabilità genitoriale della cura e della funzione educativa del divieto[34].
Le famiglie nelle quali si registra un livello più alto di benessere psicologico tra adolescenti, tradotto in maggior autostima, ottimismo e soddisfazione di vita, risultano essere i nuclei nei quali sia il polo etico-normativo che affettivo-relazionale sono entrambi elevati, con una forte diminuzione di un tono dell’umore depresso e irritabile[35].
Prendendo in considerazione questi dati emerge l’importanza di considerare come la prevalenza di un polo educativo a discapito dell’altro aumenti il disagio psicologico negli adolescenti, suggerendo di riesaminare anche la scelta della coppia di assumere un ruolo di esclusivo accudimento e appagamento dei bisogni del figlio a fronte di una maggiore libertà di poter scegliere e desiderare un maggior numero di figli.
4. Conseguenze psico-pedagoche della denatalità
Il ridotto numero di figli genera conseguenze tangibili dal punto di vista della capacità relazionale causato in particolare dal depauperamento del confronto intergenerazionale. A causa del calo delle nascite oggi si vive una maggiore povertà relazionale nella fase della crescita; troviamo effettivamente un maggior numero di figli unici i quali, rispetto ai bambini con più fratelli, riceveranno meno stimoli, principalmente di carattere frustrante, e saranno sottoposti ad un minor numero di interazioni oltre a ricevere minor supporto un domani per accudire i genitori anziani ed avranno loro stessi scarsità di accudenti nella vecchiaia[36]. Questo contesto genera un annuale incremento dei ricoverati presso case di cura che si ritrovano a trascorrere, al di fuori del loro nucleo originario, la loro vecchiaia e morte[37].
Secondo Villanova[38]: «Il bambino non è lo specchio dell’adulto: egli è un interlocutore privilegiato che ci costringe a crescere, se noi lo accettiamo». La separazione, il divorzio e la denatalità minano non solo l’esistenza della famiglia presente[39], ma creano difficoltà nei figli nel crescere e generare a loro volta un proprio nido[40]. Se manca l’educazione al limite, ovvero l’esempio di qualcuno che riveli la bellezza dell’attesa, della privazione momentanea, dell’accettazione della malattia e della sofferenza, l’individuo avrà serie difficoltà nel riuscire a condurre la sua esistenza verso l’“altro”[41], riconducendo tutto ciò che lo circonda alla mera soddisfazione personale[42].
Nel fenomeno dell’adultescenza si descrivono adulti che non riescono ad avere un rapporto definito con i genitori, schiavi dei propri bisogni e incapaci nel gestire i comportamenti problema dei propri figli non avendo posto chiari confini. Sono adulti che hanno rinunciato alla responsabilità, non essendo più in grado di riconoscere nella maturità una cifra identitaria e desiderabile[43]. Eppure «porre limiti ai propri figli genera sicurezza»[44]. La società è caratterizzata da individui sempre più soli, ma più socialmente connessi[45], tuttavia rimane necessario il continuo contatto con l’“altro”. La costruzione dell’identità personale in psico-pedagogia non può essere ritenuto un fatto privato, ma pone inequivocabilmente il tema dell’intersoggettività, della continua oscillazione dell’individuo tra originalità e identificazione: «non c’è verso di sfuggire alla dipendenza strutturale dell’Altro»[46].
In questo quadro psicoeducativo la natalità può essere una risposta proficua ed efficace per risanare l’individuo, la società e la famiglia, intervenendo trasversalmente su problematiche di coppia, giovanili e riguardanti la terza età. Avere un figlio è necessario che ritorni ad essere percepito come un valore e una risorsa sociale ed individuale.
Note
[1] P. Gambini, Psicologia della famiglia. La prospettiva sistemico-relazionale, Franco Angeli, Milano 2007.
[2] A.L. Zanatta, Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 75-97.
[3] Z. Bauman, Liquid Life, trad. it. Vita Liquida, Laterza, Bari 2008.
[4] Zanatta, Le nuove famiglie, cit.
[5] Istat, Istituto Nazionale di Statistica, 2022, Censimento permanente della popolazione: le famiglie in Italia negli anni 2018-2019, Roma.
[6] Ibidem.
[7] A. Vegetti, F. Papi, Educazione e filosofie nella storia delle società, Zanichelli Editore, Bologna 1976.
[8] Gambini, Psicologia della famiglia, cit.
[9] Istat, Censimento permanente della popolazione: le famiglie in Italia negli anni 2018-2019, cit.
[10] Bauman, Vita Liquida, cit., p. 114.
[11] Ibidem.
[12] Ivi, p. 128.
[13] D. Del Boca, A. Rosina, Famiglie sole. Sopravvivere con un welfare inefficiente, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 11-13.
[14] A. Trecca, La famiglia educante. Vivere la crisi adolescenziale nel contesto familiare. I figli, la coppia, i nonni, Armando Editore, Roma 2022.
[15] Vegetti, Papi, Educazione e filosofie nella storia delle società, cit., p. 275.
[16] Z. Bauman, Missing Community, trad. it. Voglia di Comunità, Laterza, Bari 2001.
[17] J. Juul, Din kompetente familie, trad. it. La famiglia è competente, Feltrinelli, Milano 2010.
[18] A. Scicchitano, La ricchezza del limite. Riflessioni sul senso della vita, Cantagalli, 2019.
[19] Trecca, La famiglia educante, cit., p. 69.
[20] Istat, Censimento permanente della popolazione: le famiglie in Italia negli anni 2018-2019, cit.
[21] Zanatta, Le nuove famiglie, cit.
[22] Trecca, La famiglia educante, cit.
[23] Bauman, Voglia di Comunità, cit.
[24] Ibidem.
[25] Bauman, Vita Liquida, cit., pp. 96-100.
[26] Ivi, p. 61.
[27] Ibidem.
[28] Cfr. G. Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, Laterza, Bari 2010; G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte a una sfida, Raffaello Cortina, Milano 2000; E. Scabini, V. Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Raffaello Cortina, Milano 2000; E. Scabini, V. Cigoli, Alla ricerca del famigliare. Il modello relazionale-simbolico, Raffaello Cortina, Milano 2012; S. Alfieri, E. Marta, M. Lanz, M. Pozzi, S. Tagliabue, Famiglia delle regole e famiglia degli affetti: quali conseguenze su benessere e disagio nei figli adolescenti?, in «Psicologia della salute», 2 (2014), pp. 61-78.
[29] Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo, cit. e Bauman, Vita Liquida, cit.
[30] M. Claes, D. Mirand, M. Benoit, M. Lanz, E. Marta, F. Bariaud, C. Perchec, Parenting and culture in adolescence, in M.J. Kane, Contemporary Issues in Parenting, Nova Science Publishers, New York 2005, pp. 15-46.
[31] Del Boca, Rosina, Famiglie sole, cit.
[32] Gambini, Psicologia della famiglia, cit.
[33] A. Philipps, Saying no. Why it’s important for you and your child, trad. it. I no che aiutano a crescere, Feltrinelli, Milano 1999.
[34] Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo, cit.
[35] S. Alfieri, E. Marta, M. Lanz, M. Pozzi, S. Tagliabue, Famiglia delle regole e famiglia degli affetti: quali conseguenze su benessere e disagio nei figli adolescenti?, cit.
[36] Gambini, Psicologia della famiglia, cit.
[37] Istat, Censimento permanente della popolazione: le famiglie in Italia negli anni 2018-2019, cit.
[38] M. Villanova, Introduzione alle scienze della prevenzione primaria e formativo-forensi in età evolutiva e nell’adolescenza, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2006, pp. 197-218.
[39] Zanatta, Le nuove famiglie, cit.
[40] Trecca, La famiglia educante, cit.
[41] Scicchitano, La ricchezza del limite, cit.
[42] Bauman, Vita Liquida, cit.
[43] E. Marescotti, Adultescenza e dintorni. Il valore dell’adultità, il senso dell’educazione, Franco Angeli, Milano 2020.
[44] Philipps, I no che aiutano a crescere, cit., p. 72.
[45] T. Cantelmi, Tecnoliquidità. La psicologia ai tempi di Internet: la mente tecnoliquida, Edizioni San Paolo, Milano 2013.
[46] M. Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina, Milano 2011.
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