Alzi la mano chi pensa che l’essere umano debba migliorare in un utilizzo più saggio delle proprie emozioni al fine di vivere una vita più equilibrata e soddisfacente. Alzi la mano chi pensa che nel mondo serva maggiore empatia e cura. Alzi la mano chi ritiene che la nostra motivazione intrinseca, ottimismo e senso di scopo possano essere la chiave per impattare la società in cui stiamo vivendo costruendo un mondo più sostenibile per noi e per i/le nostri/e figli/e.
Se la vostra mano si è alzata per uno o più stimoli sopra riportati, allora state valorizzando il ruolo di una competenza ritenuta chiave oggi: l’Intelligenza Emotiva (IE). Un insieme di skill allenabili, che ci permettono di unire logica ed emozione per diventare persone sempre più consapevoli, intenzionali e orientate a creare valore per il sistema in cui siamo inseriti, sia esso una famiglia, un’organizzazione o il mondo intero. E per fugare ogni maldestra interpretazione ci tengo a sottolineare che Intelligenza Emotiva non significa “libero sfogo alle emozioni” e nemmeno “essere buoni”. Intelligenza Emotiva significa essere sempre più intelligenti con le nostre emozioni dal momento che facendolo diventiamo più consapevoli, equilibrati, intenzionali e strategici.
Nonostante molti di noi ritengano fondamentale questa dimensione, nonostante anche le ricerche ci continuino a dimostrare come essere più emotivamente intelligenti significhi avere livelli più elevati di benessere, qualità di vita, efficacia, influenza, relazioni, nonostante l’IE abbia un impatto decisivo nei ruoli di leadership distinguendo i leader efficaci da quelli tossici tanto da essere ritenuta oggi la dimensione a più alto impatto sulla performance organizzativa, ebbene, nonostante tutto questo, dal 2019 ad oggi l’Intelligenza Emotiva è diminuita drasticamente a livello mondiale e la tendenza persiste nell’era post-pandemica. Come è possibile? Siamo davanti ad un paradosso dove l’importanza dell’IE è chiara, gli strumenti di allenamento ci sono, ma questa competenza è diminuita per 4 anni consecutivi a livello globale, scendendo del 5,54% dal 2019 ai giorni nostri. Un paradosso però spiegabile attraverso un parallelismo con il mondo dello sport: quando l’agonismo e la caratura dell’avversario sale, o si è allenati adeguatamente oppure si crolla. È troppo tardi cercare di porvi rimedio a partita in corso! E noi, quanto ci siamo preparati alle sfide emozionali che la vita ci ha posto davanti con la pandemia e ci sta continuando a presentare?

Purtroppo la risposta è “poco”. Ci siamo trovati a gestire dinamiche molto complesse senza aver prima acquisito competenze specifiche per affrontare sfide così complicate. Ci siamo trovati in performance senza i necessari strumenti, utili a mantenere la stabilità della nostra barca in un mare in tempesta. Il buon senso non è stato suffciente: forse un tempo bastava ma oggi non più. In un mondo sempre più frenetico che spinge verso una socialità tecnologica ignorando però i livelli sempre maggiori di isolamento, sofferenza e stress, occorre formarsi e mantenere l’allenamento delle competenze socio emotive vivo nel quotidiano, quelle dell’Intelligenza Emotiva appunto. Occorre che le persone ne vedano l’importanza e ancora di più che la riconoscano i sistemi in cui queste stesse persone sono inserite, come ad esempio le organizzazioni.
Oggi il mondo è definito attraverso l’acronimo BANI, cioè fragile (“brittle” in inglese), ansioso, non lineare ed incerto. È un mondo che colpisce duro e quando il singolo si trova in una situazione particolarmente sfidante la sua reazione istintiva è quella di chiudere i canali emozionali in un’ottica di “contenimento”. Considerando infatti i dati riportati dallo “State of the Heart 2023”, ricerca sull’IE condotta annualmente da Six Seconds a livello internazionale, e confrontando l’era pre pandemica ad oggi, emergono tre trend in maniera chiara:
- competenze come “comprendere le emozioni” e “navigare le emozioni” hanno subito una significativa battuta d’arresto evidenziando uno schema “difensivo” al carico emozionale. Sembra proprio che, quando le cose si complicano, provare a ignorare le nostre emozioni e metterci un tappo sopra, sia la strategia più frequentemente messa in atto;
- la strategia appena descritta, teoricamente applicata per risparmiare le forze, risulta essere inefficace. Il secondo trend che si evidenzia è infatti un calo delle energie dei singoli, rappresentato da un abbassamento dei livelli di motivazione intrinseca e ottimismo. Disconnettendoci dalle nostre emozioni, ne perdiamo la saggezza informativa e l’energia, diventando così sempre più passivi e routinari nell’affrontare le sfide. Abbandonando l’intenzionalità in nome della reattività;
- l’ultimo trend invece mostra un decremento nei punteggi di una competenza strategica quale il Perseguimento del proprio Purpose, del proprio Obiettivo Nobile. La complessità emozionale, se gestita senza una preparazione adeguata, rischia di farci rinunciare a quanto abbiamo di più prezioso: impattare sul mondo attraverso scelte sostenibili e a valore aggiunto per noi e per le persone che ci stanno attorno. Ci allontaniamo dal nostro Purpose, richiedendolo però sempre più spesso alle aziende.
Tre tendenze che ci mostrano come può innescarsi un circolo vizioso nel quale continuiamo a rinchiuderci in noi stessi anche dopo una “normale” reazione di shock provocato da un evento imprevisto e spiacevole. Un meccanismo che ci fa avvolgere su noi stessi proseguendo anche quando sarebbe fondamentale accedere alle informazioni che le emozioni custodiscono, sfruttarne l’energia al fine di navigare l’incertezza, prenderci cura dei nostri e altrui bisogni emotivi per creare valore attraverso nostre decisioni coraggiosamente equilibrate. Il mondo è complesso, lo sappiamo. Ed è proprio per questo che oggi abbiamo tremendamente bisogno di mettere in campo competenze nuove e seguire role model capaci di esercitare una leadership emotivamente intelligente. La domanda sorge spontanea: ne esistono?
La risposta è sì e risiedono nella figura femminile. In un periodo caratterizzato da sfide senza precedenti a livello globale, le competenze di IE delle donne, al contrario di quelle degli uomini, hanno registrato un’inversione di tendenza sorprendente ponendosi come guida efficace per la ripresa emotiva e professionale post-pandemia. Dopo un primo momento di “difficoltà” a inizio pandemia, tra il 2021 e il 2022 le donne hanno saputo trasformare le loro competenze relazionali in strumenti efficaci per la leadership. Questo fattore ha stabilito nuovi paradigmi nel gestire le dinamiche lavorative, mostrando l’efficacia di una leadership più inclusiva e umana, sancendo finalmente l’inadeguatezza di una leadership “comando e controllo”, tipicamente maschile.
Mentre l’IE degli uomini ha continuato il suo declino, non è stato così per le donne. Questo contrasto non solo sottolinea la resilienza unica delle donne ma anche la loro capacità di utilizzare competenze emotive per superare le avversità. Da Gennaio 2021 e Dicembre 2022, il gap tra uomini e donne si manifesta attraverso un miglioramento in competenze chiave come la consapevolezza di sé, l’empatia, e la motivazione intrinseca. Competenze che sono state, e rimangono tuttora, capaci di dare risposta alle esigenze dei collaboratori con sensibilità e comprensione, riducendo i conflitti e migliorando la collaborazione. In quella fase, queste abilità hanno anche permesso alle donne di incidere su outcome di performance quali decision making, influenza, qualità di vita ed efficacia relazionale, risorse preziose in tempi di crisi e forte valore aggiunto per le performance al lavoro. Nello stesso periodo i maschi, in linea con il decremento del livello di IE, hanno invece registrato un abbassamento in tutti questi outcome.
Se è vero che l’Intelligenza Emotiva delle donne abbia rappresentato una risposta efficace ai bisogni emozionali di organizzazioni in difficoltà, non è tutto oro quello che luccica. Purtroppo, focalizzandosi sui dati 2023, ci sono due grandi punti di attenzione da tenere in considerazione.

Il primo è che, al contrario di tutti gli altri outcome prima citati, il livello di benessere delle donne è diminuito, rivelando così il peso di essere in prima linea nel processo di ripresa. Un carico di lavoro “emotivo” spesso eccessivo che può portare al burnout. Questo declino del benessere sottolinea la necessità di strategie aziendali che promuovano una reale parità di genere, con focus specifico sull’equilibrio tra vita professionale e personale. Riconoscendo le sfide uniche affrontate dalle donne e implementando politiche di supporto è possibile mitigare il rischio di burnout, sostenendo al contempo una “leadership femminile”, vitale per la moderna economia. Ora è il turno delle organizzazioni: esse hanno l’opportunità e la responsabilità di supportare questo cambiamento, promuovendo pratiche che riconoscano e valorizzino le competenze emotive come centrali alla leadership e al benessere organizzativo.
E da qui deriva il secondo punto di attenzione. Sempre prendendo come riferimento l’ultimo “State of the Heart” di Six Seconds, si nota come il 2023 abbia registrato un decremento dei punteggi di Empatia delle donne, siano esse Senior Executive, Manager o dipendenti.
Non sarà che il sistema azienda si stia cercando di riappropriare delle caratteristiche che lo definivano prima del covid, tentando di reinserire meccanismi oramai obsoleti ma tanto cari all’universo manageriale maschile? Considerando che il numero di uomini che ricoprono posizioni apicali in azienda è nettamente superiore al numero di donne negli stessi posti, penso che la domanda sopra riportata nasconda un’interpretazione dei dati più che plausibile. Questo processo non è detto che sia figlio di un disegno intenzionale ma è bene prenderne consapevolezza per porvi rimedio. Non possiamo tornare indietro, non ce lo possiamo permettere. Abbiamo bisogno di rendere nobile il lavoro, riempiendolo di significato perché capace di impattare virtuosamente il mondo attraverso la relazione con gli altri. La difficoltà vissuta negli anni passati ci ha mostrato i veri bisogni delle persone all’interno delle organizzazioni e le donne ci hanno mostrato come rispondere emotivamente a quei bisogni sia possibile, e impatti positivamente la performance.

E allora perché tornare indietro? Ora è il momento di investire in una formazione che punti all’Intelligenza Emotiva come skill manageriale imprescindibile, rifuggendo dalla trappola di una gestione di “buon senso” delle situazioni. Una volta la bella grafia era una competenza importante, oggi non lo è più, oggi è basilare avere competenze emotivo relazionali verticalizzate sul mondo organizzativo. Aggiungo che non si tratta di valorizzare competenze maschili o femminili ma di capire che le competenze più funzionali a rispondere agli attuali bisogni organizzativi sono cambiate e vanno imparate ed allenate, seguendo nuovi modelli di ruolo.
Allargando la visione, nell’era dell’Intelligenza Artificiale e dell’industria 5.0, è vitale porci una domanda: a che stadio evolutivo siamo noi come essere umani? Le caratteristiche di Intelligenza Emotiva possono rappresentare una soluzione per fare un passo decisivo in avanti come persone? A mio avviso sì, ed è necessario oltre che possibile. Sono fermamente convinto che sia inutile procedere tecnologicamente se non siamo in grado di guidare i processi in maniera sostenibile, in direzione del mondo che vogliamo per le generazioni future. L’Intelligenza Emotiva è la chiave per ripensare i sistemi restituendo all’essere umano la sua centralità. Seguiamo chi ci sta indicando la strada, ne beneficeremo tutti e tutte.