«Ogni cosa acquista il valore dell’amore con cui viene compiuta». San Josemaría Escrivá de Balaguer
1. Accogliere persone, creare opportunità, costruire futuro
ELIS nasce nel 1965 su impulso di Papa Giovanni XXIII, che chiede a San Josemaría, fondatore dell’Opus Dei, di pensare e realizzare un’iniziativa capace di promuovere la condizione sociale e lavorativa dei giovani. Oggi è un ente non profit che opera in sinergia con scuole e aziende in attività di orientamento e formazione. Promuove progetti di innovazione insieme a grandi gruppi e start-up. Combatte la povertà educativa e l’emarginazione con progetti sociali in Italia e nei Paesi in via di sviluppo. Attraverso il lavoro di ogni persona che lavora in ELIS, trasmettiamo competenze, perché ciascuno e ciascuna possa realizzare il proprio progetto di vita. Insieme alle scuole orientiamo i giovani, perché scelgano il loro futuro. Lavoriamo con le aziende, per creare sviluppo e innovazione.
Guidano l’operato di ELIS tre valori fondamentali:
- Collegamento tra grandi e piccoli – «Sognate e la realtà supererà i vostri sogni». ELIS si impegna a generare relazioni di valore, promuovendo l’incontro tra persone o organizzazioni che necessitano di supporto e soggetti che possono garantire loro opportunità di crescita professionale e inclusione sociale.
- Lavoro come servizio e motore della società – «Nessun lavoro è migliore di un altro se lo spirito con cui lo si porta avanti è quello di servire». Il lavoro è uno strumento per costruire il proprio progetto di vita, ma anche un’occasione per mettersi al servizio degli altri, promuovendo la crescita della società.
- Innovazione sociale – «Sorge naturale il proposito preciso e risoluto di cambiare, di migliorare». In tutte le attività, ricerchiamo trasversalmente l’innovazione sostenibile dei metodi formativi, del lavoro e delle tecnologie, con l’obiettivo di valorizzare al meglio le risorse presenti, generando valore condiviso.
Non finiamo di sorprenderci da questo mondo che continua ad accelerare e a generare discontinuità (es. AI, guerre, cambiamenti climatici, movimenti di attivisti) che portano a cambiamenti geopolitici ed economico sociali importanti. «Credere nella rinnovata capacità dell’uomo di trasformare in meglio ciò che lo circonda è una sfida individuale e collettiva che richiede un grande sforzo. Se ci arrendiamo alle apparenti evidenze che ci circondano, conflitti insensati, come sempre lo sono le guerre, e un’eredità post covid in cui le persone sembrano sottrarsi consistentemente alle relazioni interpersonali e all’ascolto altrui, rendono la capacità di costruire un mondo migliore una scelta consapevole e intenzionale, più di quanto fosse necessario in passato»[1].
Qualsiasi trasformazione parte dalla capacità di ciascuno e ciascuno in primis di accogliere.
«Accogliere è per ELIS innanzitutto l’attitudine, il desiderio di aprirsi a tutti e a ciascuno. Implica la volontà di mettersi in gioco, condividendo con l’altro qualcosa di suo e qualcosa di nostro. È una condivisione che scommette sul futuro, perché vuole essere operosa e genera necessariamente una direzione. A quella che Papa Francesco ha definito la “globalizzazione dell’indifferenza”, ELIS contrappone la capacità di accogliere per costruire insieme.
Accogliere implica così l’impegno a unire il vicino e il lontano, il grande e il piccolo, le persone e le organizzazioni, i centri e le periferie. È lo sforzo di far incontrare ciò che spontaneamente non sempre si incontra e che, proprio per questo, ha la forza di creare il nuovo, ciò che non si pensava realizzabile. È questa attitudine generativa che ha guidato ELIS nel suo sviluppo storico, dal quartiere di Casal Bruciato a Roma, dove è nata, ai tanti e diversi territori del nostro Paese e dei Paesi in via di sviluppo, nei quali ELIS oggi fa crescere persone, ripensa il lavoro e genera sviluppo socialmente sostenibile.
Accogliere è per ELIS moltiplicare. Il nostro modello di accoglienza non punta a inglobare, ma a contagiare. Chi è accolto sente a sua volta il desiderio di accogliere e moltiplicare l’impatto del nostro agire insieme. È il potere di partecipare che fa cogliere la bellezza di sentirsi parte dell’ecosistema ELIS. Per lo stesso motivo, ELIS persegue un modello di sviluppo fondato su iniziative scalabili. Non nel senso delle economie di scala, ma nel significato di un modello che, per semplicità e flessibilità, può essere partecipato e adottato da un numero sempre maggiore di persone e organizzazioni secondo i propri bisogni e la propria identità.
Accogliere in modo partecipativo implica proporre e condividere obiettivi. Per ELIS questo significa essere fermento di risposte sempre nuove, per formare persone al lavoro, favorire l’innovazione che crea sviluppo e quindi di nuovo il lavoro, per rimuovere gli ostacoli sociali che rendono difficile alle persone realizzare il proprio progetto di vita. In tutto questo, bisogna saper intervenire laddove serve. ELIS vuole essere un’organizzazione fattiva e nel 2022 l’abbiamo visto in modo particolarmente evidente con l’emergenza provocata dalla guerra in Ucraina. Abbiamo accolto persone, le abbiamo ascoltate e abbiamo analizzato le loro competenze per supportarle nella ricerca di un lavoro. Ci siamo attivati per renderle autonome, affinché potessero superare una grande crisi con forze rinnovate. Non ci siamo limitati a dare loro una casa.
Ci siamo impegnati a dare un senso al loro tempo trascorso lontano da casa. Accogliere significa infine prossimità. Il valore dell’accoglienza ci impegna, prima di tutto, nei confronti di noi stessi, delle persone che compongono ELIS. A partire dall’accoglienza dei neo-assunti, seguiamo la crescita professionale e umana di ciascuno attraverso percorsi mirati allo sviluppo dei talenti. Cerchiamo di offrire un ambiente di lavoro sereno, con particolare attenzione alle relazioni. Stiamo progressivamente ampliando il welfare aziendale con alcune iniziative introdotte proprio nel 2022. Abbiamo dato a tutti l’opportunità di impegnare parte del proprio tempo lavorativo in attività di volontariato. Abbiamo favorito la creazione di momenti per stare insieme»[2].
2. La scuola e il lavoro come luoghi di fioritura
«Oggi è necessaria molta immaginazione per imparare a dialogare sulla fede e sulle questioni fondamentali per l’uomo. Occorrono persone che amano e che pensano, perché l’immaginazione vive di amore e di pensiero». Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!, Mondadori
L’ultimo rapporto sulle disuguaglianze di Oxfam[3] disegna un quadro sconfortante del mercato del lavoro, specialmente per ragazze e ragazzi su cui il Paese non investe. Aumentano i neet (persone che non hanno né cercano un impiego e non frequentano una scuola né un corso di formazione o di aggiornamento professionale) nella fascia 20-34 anni e i problemi per le nuove generazioni. La situazione è paradossale, se si considera la domanda di lavoro inevasa, non solo di persone con formazione universitaria ma anche con formazione tecnica e con attitudini manuali.
Ci troviamo di fronte a un problema umano, non solo economico, che richiede un intervento capace di formulare una nuova interpretazione della scuola e del lavoro. Entrambi vanno concepiti come luoghi per lo sviluppo di ogni donna e ogni uomo, luoghi di “fioritura” della personalità e non semplici luoghi di istruzione (le scuole) o di erogazione di prestazioni (il lavoro).
«I giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere» affermava Plutarco in L’educazione dei figli, ma ancora oggi è più semplice riempire di nozioni, aspettative, giudizi, che accendere, suscitare entusiasmo (che etimologicamente significa “il dio dentro”), coltivare passione, immaginare il futuro.
Dagli anni della scuola i ragazzi sono caricati, imbottiti compiti e messaggi: si chiedono loro continue prestazioni. L’ansia è l’emozione dominante. Non stupisce quindi l’aumento di richieste da parte di giovani adolescenti dello psicologo, di qualcuno che li capisca e aiuti ad affrontare i loro dubbi, domande paure.
Ci stanno chiedendo a gran voce che oltre alle metriche di giudizio, ci sia la comprensione, stimoli positivi, incoraggiamento. Quanto può fare la differenza un docente scolastico che oltre a giudicare sia in grado di dare fiducia… La warm cognition, nuovo filone di ricerca scientifica, ci dimostra che le nozioni si stabilizzano insieme alle emozioni che, a loro volta, influiscono concretamente sui processi cognitivi, come attenzione, memoria, comprensione. Se il docente, l’educatore, si pone come alleato e sostiene e incoraggia l’allievo, nella sua memoria resterà traccia dell’emozione positiva e sarà stimolato a cercare e approfondire.
E quando arrivano nel mondo del lavoro, i giovani non ci stanno e mettono in discussione il “senso” del lavoro. Preferiscono altro alla carriera stile baby boomer perché non si riconoscono nell’identità lavorativa che viene loro proposta (es. valutazione sulle sole performance, ruoli e processi rigidi) che porta ad una scelta tra lavoro e “il resto”. Il lavoro è un solo tassello delle molte cose che ognuno è: famiglia, hobby, interessi… diversi ambiti che compongono la vita e che permettono ad ogni persona di fiorire nei propri talenti e aspirazioni.
E chiedono una realtà aziendale o professionale che abbia una missione chiara “oltre il profitto”; che creda nei valori e li viva ogni giorno (il famoso walk the talk); che formi le persone e investa per realizzare spazi belli in cui lavorare; che attivi programmi di welfare e soprattutto che si preoccupi di sviluppare il capitale relazionale delle risorse umane che ne fanno parte.
Ma tutte queste “richieste” (fiducia, senso, benessere…), non sono forse ciò che desidera qualunque persona?
3. Il lavoro “in connessione” al servizio delle Persone
«Mentre lavoriamo possiamo apprendere ma anche divertirci, unendo attività in cui contemporaneamente si lavora e si crea ricchezza, si studia e si consolida l’apprendimento, ci si diverte coltivando benessere. La sfida è accompagnare ciascun lavoratore a unire insieme questi tre fattori» Domenico de Masi Professore emerito di Sociologia del Lavoro, Università “La Sapienza” Roma
Da settembre 2021 hanno preso avvio le Palestre Relazionali di Smart Alliance, uffici di co-working (a circa a 15 min da casa) in cui poter svolgere la propria attività lavorativa assieme a persone di altre aziende. La sperimentazione ha coinvolto fino ad ora oltre 900 persone, provenienti da 32 aziende diverse e ha previsto la nascita di 9 Palestre Relazionali, spazi interaziendali messi a disposizione dalle aziende del Consorzio ELIS, in cui i partecipanti all’iniziativa (i Pionieri) possono lavorare dagli spazi di co-working 5 giorni su 5 e usufruire di un palinsesto di momenti formativi brevi sui temi di benessere, creatività, produttività individuale e networking.
Questi “luoghi” sono stati costruiti seguendo 9 principi, sviluppati assieme ai direttori e direttrici Risorse Umane delle imprese del Consorzio ELIS, che costituiscono la base di un nuovo modo di lavorare con al centro la relazione tra le persone.
Le relazioni tra persone, reale valore per l’impresa
Il valore più significativo dell’attività umana nasce nella dimensione della relazione e dell’azione, nell’espressione di sé in rapporto con l’altro e nel rapporto con il nuovo e l’inaspettato. Nuovi spazi di lavoro, reali o virtuali, devono diventare “piazze” per condividere idee, passioni, emozioni.
Le idee non hanno gerarchia
Superare il concetto che chi sta in alto pensa e comanda e chi sta in basso non pensa ed esegue. Delega e responsabilizzazione delle persone sono i mezzi per creare leadership diffusa: perchè le buone idee non hanno job title.
I leader di domani: meno controllo, più guida
I nuovi leader oltre che gestire dovranno ascoltare, creare e mantenere connessioni, saper comunicare e responsabilizzare. Dovranno essere guidati dai principi di fiducia, rispetto e scopo.
Il lavoro, occasione di “fioritura’ delle persone
Il lavoro come sviluppo dei talenti e del potenziale. Un luogo in cui passione, competenza e possibilità di contribuire al bene comune si incontrano. Quando il lavoro è occasione di “fioritura” di benessere, la produttività e l’innovazione aumentano esponenzialmente.
Dalla conoscenza individuale a quella collettiva
Trasformare “la conoscenza tacita” in nuove consapevolezze, raccogliere il sapere e renderlo patrimonio comune; occorre far emergere i “maestri del sapere” per trasmettere i fondamentali alle nuove generazioni.
Il lavoratore, uno studente per sempre
No al vecchio modello lineare ove si studia da giovani, si lavora da adulti e si coltivano gli hobby da pensionati. Sì a un modello circolare-generativo ove conoscenza e azione si alimentano costantemente. Le organizzazioni possono contrastare l’obsolescenza delle competenze per assicurarne l‘employability nel tempo.
L’inclusione parte del nuovo modo di essere impresa
La diversità è motore di sostenibilità: aprirsi ad essa è indice di vitalità organizzativa e finanziaria. L’ascolto, il dissenso costruttivo e la centralità delle azioni creano i presupposti ideali per minimizzare i bias individuali ed organizzativi e innovare.
Lo scopo, unica via per una vita lavorativa appagante
Aggregare le persone intorno ad uno stesso Scopo che vada oltre il profitto. Le aziende possono creare valore per la comunità e le generazioni future, rafforzando il senso di appartenenza e donando di significato l’agire quotidiano. Lo Scopo rende più appagante l’identità che si costruisce attorno al proprio lavoro.
La creatività, ingrediente umano necessario
Quando il lavoro è partecipazione i comportamenti sono orientati alla proattività e alla valorizzazione di sé, accrescendo soddisfazione e prestazione lavorativa. Il primo anno di sperimentazione di questo modello ha dimostrato come le persone coinvolte nel progetto hanno migliorato la propria produttività individuale, la capacità di costruire relazioni di fiducia, la propensione al rischio e apertura all’innovazione, e più in generale un senso di benessere[4].
4. Essere in grado di vedere in ogni persona “portatrice di bisogno” una risorsa
Paradosso del nostro tempo: nonostante i tanti progressi economici, l’incremento della ricchezza favorisce l’aumento del divario tra persone e gruppi sociali, ove un gruppo di privilegiati esclude (ex-claude: chiude fuori) gli altri soggetti. Essere inclusi significa soprattutto sentirsi accolti: appartenere a un gruppo di persone, a una società, godere pienamente dei diritti e poter ambire a tutte le opportunità che l’appartenenza comporta. Diritto e accesso a tutti, opportunità a chi se le merita.
Pensiamo ad esempio allo slogan “prima gli italiani” che presuppone che tutte le persone immigrate o rifugiate debbano essere messe in secondo piano, o al fatto che quasi l’80% della ricchezza mondiale è in mano al 10% della popolazione o ancora la lenta e inesorabile esclusione dal lavoro dei giovani (neet), donne, persone con disabilità.
L’inclusione è un tema sociale, ma è anche un tema macroeconomico, perché favorisce l’impiego delle risorse inutilizzate (o sottoutilizzate) e, nel far ciò, genera un circolo virtuoso di cui beneficiano tutti: imprese, cittadini, istituzioni.
Le istituzioni pubbliche (Stato, regioni, comuni) non possono essere lasciate sole a risolvere i problemi sociali. Se è vero che sono chiamate a misurare l’efficacia delle loro iniziative, è altrettanto vero che lo Stato non può essere l’unico interlocutore o delegato a occuparsene. I corpi intermedi della società (enti di terzo settore) sono chiamati ad accompagnarlo nel trovare soluzioni “misurabili” che affianchino il welfare redistributivo.
Ma perché l’impresa dovrebbe occuparsi di inclusione? Oggi non si chiede più alle imprese soltanto di produrre beni di qualità a basso costo, di rispettare le leggi e di non inquinare. Si chiede loro di farsi carico di compiti che fino a pochi anni fa erano ritenuti prerogativa dello Stato. Ne sono prova la crescente attenzione rivolta all’impatto sociale dell’attività imprenditoriale e la nascita di nuove forme di imprese quali, ad esempio, le società benefit. La richiesta di dare un valore sociale all’attività di impresa arriva da tutti coloro che hanno a cuore la prosperità dell’impresa. L’azionista paziente (non speculatore) sa quanto è importante la reputazione dell’impresa ai fini della creazione di valore. Basti pensare alla lettera scritta nel 2018 da Larry Fink, Amministratore delegato di BlackRock, uno dei più grandi fondi di investimento, che afferma come la percezione dell’impatto sociale dell’attività d’impresa da parte dei lavoratori sviluppi le loro motivazioni intrinseche e il loro “ingaggio”. Tra il volontario che dà senza chiedere una remunerazione perché convinto della motivazione ideale dell’organizzazione e il quite quitter, che fa il minimo per non essere licenziato, c’è uno spazio enorme per aumentare la produttività dei lavoratori attraverso motivazioni intrinseche. Il rischio che corriamo è quello di un neo-fordismo digitale: strumenti nuovi ma organizzazione del lavoro vecchia. È inutile fare innovazione sul fronte tecnologico se non accompagniamo questa innovazione con l’innovazione sociale e la trasformazione delle relazioni. Il nuovo programma del Semestre di Presidenza ELIS guidato da Elena Goitini, Amministratore Delegato BNL e Responsabile BNP Paripas per l’Italia, vuole attivare un cambio mindset nelle imprese: verso un welfare “generativo” che veda nei portatori di bisogni (cc.dd. fasce soggetti deboli) dei portatori di risorse e valore per le imprese e faccia leva sull’impiegabilità come driver per generare inclusione. Per attuarlo, le Consorziate hanno deciso di costruire un “motore di inclusione”, che permetta alle imprese e ai soggetti interessati un percorso di accoglienza e accompagnamento al lavoro. Un motore di tipo ibrido, che comprende uno strumento per l’inclusione lavorativa diretta e uno per l’inclusione lavorativa indiretta, ovvero per il tramite della rete di fornitura.
Per diventare imprese “inclusive” occorre un processo di trasformazione che riesca a superare le resistenze al cambiamento che ogni organizzazione possiede (la c.d. immunity to change). Affrontare insieme la trasformazione consente alle imprese di ridurre costi (grazie alle economie di scala) e rischi (grazie alla condivisione): il progetto “Includere per Crescere” nasce come alleanza tra imprese che vogliono affrontare insieme il viaggio verso la cultura della inclusione attraverso tre sotto-progetti:
- Formazione alla cultura dell’inclusione: percorso di formazione per CEO e Board, HR recruiter, Manager e Capi Procurement;
- Bacino di recruiting di Persone Impact: sono persone portatrici di competenze maturate oltre all’ambito scolastico (prevalentemente diplomati e laureati) ovvero in ambiente informale (maternità, persecuzione politica, detenzione);
- Albo consortile Fornitori Impact: sono imprese portatrici di servizi concorrenziali per rapporto qualità/prezzo ma anche di creazione di valore sociale (grazie al fatto che includono già persone cc.dd. “fragili”).
Il successo dell’intero progetto passa attraverso un cambio di “paradigma” ovvero la capacità di vedere il valore nascosto dei portatori di bisogni e di comprendere che ogni persona va valorizzata, anche se può dare poco, e mai considerarlo incapace di tutto.
Note
[1] A. Zanardi, Report Mindset Revolution.
[2] P. Cum, ELIS, Report Sociale 2023
[3] Oxfam, Disuguitalia. Ridare valore, potere e dignità al lavoro, maggio 2022.
[4] Cfr. L. Solari, Il lavoro come occasione di fioritura delle persone.