Vai al contenuto

Caregiver e cura dell’anziano: aspetti clinici, sociali ed economici

1. Dati epidemiologici

L’aumento dell’età media della popolazione a livello mondiale, soprattutto nei paesi più ricchi, è un fenomeno noto. L’Italia è tra i paesi in cui questo aumento è più evidente: il numero di persone con età > 65 anni è aumentato del 136% nei 50 anni dal 1970 al 2020; nello stesso arco di tempo l’aumento è stato del 107% in Francia e del 71% in Germania e del 73% nel Regno Unito (United Nations 2022).

Questa transizione demografica si accompagna purtroppo ad un aumento della prevalenza di patologie croniche e di disabilità. Dati ISTAT del 2022 mostrano che il 47% delle persone tra i 65 ed i 74 anni riporta almeno due patologie croniche, e questa percentuale sale al 66% nelle persone con età ≥ 75 anni (https://esploradati.istat.it). Alla prevalenza di patologie croniche si associa la prevalenza di disabilità: il 37% delle persone con età tra 65 e 74 anni ha una limitazione nelle attività usuali, e di queste il 7% ha una limitazione grave. Se saliamo alla fascia di età successiva, la percentuale sale al 57.4% per qualsiasi limitazione, e al 19.2% per le limitazioni gravi. In termini assoluti, si tratta di 6.6 milioni di persone con difficoltà, di cui 1.8 milioni con limitazioni gravi. I numeri sono ancora più impressionanti se invece di guardare alla difficoltà nelle specifiche attività guardiamo genericamente alle gravi difficoltà motorie, sensoriali oppure nella memoria e concentrazione: il rapport ISTAT sullo stato di salute della popolazione anziana riporta che si trovano in questa situazione 3.9 milioni di persone con età ≥ 65 anni (ISTAT 2021).

Utilizzando i dati dello “European Health Interview Study” è possibile avere informazioni aggiuntive sul tipo di limitazioni gravi. Nella fascia di età sopra i 65 anni, vediamo che il 9.8% ha difficoltà gravi nelle attività più complesse (cucinare, attività domestiche etc.) e il 2.5% ha difficoltà anche nelle attività che riguardano la cura personale. Nelle persone con età ≥ 75 anni, il 26% ha difficoltà nelle attività complesse ed il 17.6% anche nelle attività più semplici (https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/explore/all/all_themes).

Queste difficoltà si traducono quasi invariabilmente in una necessità di assistenza, che molto spesso è fornita da familiari della persona disabile. Il rapporto ISTAT su “Conciliazione tra lavoro e famiglia” (ISTAT 2019) riporta che poco meno di tre milioni di persone con età compresa tra i 18 ed i 65 anni si prendono cura di familiari non autosufficienti di età superiore ai 15 anni (a questi numeri vanno aggiunti quelli dei caregiver con età superiore a 64 anni, che sono stimate in circa 600.000 persone). Confrontando questo dato con quello riportato prima di 3.9 milioni di persone non autosufficienti, vediamo che la risposta al bisogno di assistenza è fornita in 7 casi su dieci da caregiver informali, ovvero persone non formate specificamente per fornire assistenza e non retribuite. Questo dato in realtà si discosta di poco dalla media dell’Unione Europea, che è del 60%. Il dato, tuttavia, potrebbe essere sottostimato perché l’identificazione con il ruolo di care-giver dipende da influenze culturali, ed alcune persone possono considerare normale fornire cure per un congiunto non autosufficiente (Rocard 2022).

2. Presenza di caregiver e stato di salute dell’anziano disabile

La presenza di un caregiver e la sua capacità di fornire cure ha una importanza fondamentale per la persona anziana disabile, incidendo in maniera significativa sullo stato di salute e sulla probabilità di poter rimanere al proprio domicilio senza essere istituzionalizzati. In pazienti anziani con caregiver informali, lo stress del caregiver è associato ad un aumento del 50% circa del rischio di mortalità e di ospedalizzazione (Kuzuya 2011). Questo dato si conferma in pazienti con specifiche patologie croniche. In uno studio su persone effettuato in Canada su 326 persone affette da demenza di Alzheimer, i fattori che aumentavano il rischio di istituzionalizzazione (oltre naturalmente alla gravità della malattia e della disabilità) erano legati al caregiver: età avanzata, mancanza di un rapporto stretto di parentela con la persona malata e la presenza di stress (Hebert 2001). Tra i soggetti affetti da malattia di Parkinson, quelli che hanno un caregiver sono affetti in genere da una malattia più avanzata con disabilità più grave, ciononostante hanno una migliore qualità della vita e minor distress spirituale (Prizer 2020). Un dato analogo si riscontra nei pazienti affetti da bronchite cronica ostruttiva: la presenza di caregiver si associa a maggior disabilità ma a migliore qualità della vita (Wakabayashi 2011).

La presenza di un caregiver, quindi, non riveste solo un ruolo sociale ma ha anche una valenza clinica. È interessante notare come questa relazione di cura non si esaurisca nella “diade” paziente/caregiver, ma coinvolga anche tutto il contesto familiare e sociale in cui la relazione si svolge, come attestato dal fatto che il supporto sociale da parte di altri familiari o amici percepito dal caregiver ha un’influenza positiva sulla qualità della vita del paziente (De Maria 2020). L’importanza delle relazioni nell’effetto della presenza del caregiver si evidenzia anche dal fatto che avere un caregiver “informale” (quindi un familiare) ha un effetto nel mantenere gli effetti di un intervento formale di assistenza a domicilio. Uno studio statunitense (Cho 2013) ha mostrato che in pazienti che erano assistiti da servizi formali di assistenza a domicilio (Home health care, HCC), a 60 giorni dal termine dell’intervento di assistenza lo stato funzionale (e quindi lo stato di dipendenza) era significativemente migliore in coloro che avevano un caregiver informale, sia che fosse il coniuge, i figli o parenti. Un aspetto spesso sottovalutato è il ruolo che il caregiver può avere in setting assistenziali diversi dal domicilio, anche dove il livello di cure fornite è elevato come in un reparto ospedaliero per pazienti con patologie acute. Uno studio italiano (Quattrin 2009) ha mostrato che in un reparto per acuti il 16% dei pazienti riceveva assistenza anche da un caregiver informale, la maggior parte dei quali erano parenti. In questo setting, la presenza di un caregiver informale può essere un fattore facilitante la gestione delle attività basilari (es., mangiare) e si traduce in un supporto ai caregiver formali (personale infermieristico) che si traduce, tra le altre cose, in un considerevole risparmio di risorse.

3. Impatto sullo stato di salute del caregiver

A fronte dell’impatto positivo che la presenza del caregiver ha sulle persone anziane con patologie croniche e disabilità, il caregiver è sottoposto ad una condizione di difficoltà legata allo stress ed alla difficoltà di conciliare questa attività con l’attività lavorativa, e questa situazione ha un impatto potenziale sullo stato di salute del caregiver stesso.

A questo va aggiunta la difficoltà di elaborazione di un cambiamento dei rapporti con il proprio congiunto, che nel caso di figli che si prendono cura di un genitore è particolarmente complesso e non può essere affrontato semplicemente come una “inversione dei ruoli”, soprattutto in considerazione del fatto che sono cure che non hanno come prospettiva un miglioramento delle condizioni del paziente.

Un’ampia revisione della letteratura (Bom 2019) mostra che la responsabilità di caregiver informale ha ripercussioni sulla salute mentale, con aumentata prevalenza di sintomi depressivi e punteggi inferiori nelle scale di valutazione della salute mentale. I risultati relativi agli effetti sullo stato di salute fisico sono meno univoci: la maggior parte degli studi indica un impatto negativo sullo stato di salute, specialmente per quanto riguarda il numero di farmaci assunti e la presenza di dolore osteoarticolare. Un dato interessante che emerge è che l’eterogeneità dei risultati ottenuti dipende anche dagli strumenti misurati: quando si utilizza lo stato di salute percepito, l’impatto della responsabilità di cura sembra essere positivo, mentre si ottengono risultati contrari quando si usano indicatori oggettivi dello stato di salute. Questa discrepanza non è facile da spiegare, ma un’ipotesi è che coloro che trascorrono molto tempo a contatto con persone malate hanno una percezione migliore del proprio stato di salute perché lo comparano a quello del paziente (Di Novi 2015).

Per quanto riguarda l’incidenza di singole patologie, non ci sono studi sistematici, ma abbiamo informazioni derivanti da studi epidemiologici sulle patologie cardiovascolari che mostrano come predersi cura del coniuge disabile aumenta il rischio di ipertensione e di malattie cardiovascolari (Capistrant 2012). È possibile che alla base di questo impatto sullo stato di salute ci siano dei comportamenti correlati alla responsabilità di cure. Lo stress sociale ed emozionale del caregiver è stato correlato ad abuso di alcol (Rospenda 2010) ed ad altri comportamenti negativi per lo stato di salute, come fumo di sigaretta o cattiva alimentazione (Hoffman 2012).

Che lo stress possa essere uno determinanti del peggior stato di salute dei caregiver è confermato anche dalla dimostrazione che i caregiver informali tendono ad avere più elevati livelli di cortisolo, ormone tipicamente legato allo stress (Stalder 2014). Questo aumento di cortisolo può avere un effetto positivo nel breve termine, come indicato dal fatto che nei momenti in cui questa risposta viene meno aumentano i sintomi depressivi (Leggett 2015), ma sul lungo periodo l’effetto è negativo. Esistono inoltre evidenze che lo stress cronico a cui sono sottoposti i caregiver si associ ad un aumento dei mediatori dell’infiammazione con accelerazione dei processi di invecchiamento (Kielcot-Glaser 2003).

4. Impatto sociale ed economico

I caregiver forniscono un contributo sostanziale alla società nella misura in cui si sostuiscono alle misure di assistenza che dovrebbero essere sostenute dai vari sistemi di welfare. Pur essendo vero che i caregiver possono beneficiare di supporti in termini economici e di benefit, il costo della presa in carico da parte dei servizi di welfare sarebbe sicuramente superiore, almeno in Italia: basti pensare che la spesa pubblica per le cure a lungo termine è costituito per il 52% da trasferimenti in denaro, che coprono solo una parte della spesa effettiva. I dati della Commissione Europea indicano che in termini economici il contributo dei caregiver informali che si prendono cura di persone anziane disabili si può stimare intorno al 2.5% del prodotto interno lordo europeo, mentre la spesa pubblica per le cure a lungo termine di queste persone si aggira intorno all’1.7% del prodotto interno lordo (European Commission, 2021).

Questo trasferimento di valore alla società ha un prezzo pagato dai singoli caregiver non solo sul piano del benessere psicologico e fisico, come visto prima, ma anche sul piano sociale ed economico. I dati dell’European Health Interview Survey mostrano che tra i caregiver informali si osserva un impatto sulla situazione lavorativa a cominciare da coloro che prestano assistenza per 20 ore a settimana. In Italia, la percentuale di caregiver informali è più alta tra le persone che hanno un lavoro part-time o sono pensionate. Questo impatto sull’attività lavorativa si ripercuote soprattutto sulle donne, che sostengono il peso maggiore delle cure informali. In Italia, le donne rappresentano il 65% di coloro che prestano cure quotidianamente, questa percentuale è maggiore nella fascia di età tra i 50 ed i 65 anni mentre si riduce nella fascia di età oltre i 65 anni (Rocard 2022). Le donne sopportano quindi anche le conseguenze negative del tempo dedicato a questa attività, in particolare maggior difficoltà alla partecipazione al mercato del lavoro che peggiora il gender gap già esistente in questo ambito, le prospettive di carriera, i salari e l’abbandono del posto di lavoro (OECD 2017). Questo stato di cose non solo genera un circolo vizioso perché si ripercuote sul trattamento pensionistico, perpetuando quindi le diseguaglianze di genere anche nelle fascie di età più avanzata, ma verosimilmente si manterrà negli anni a venire perché l’esposizione a comportamenti con stereotipi di genere nell’età dello sviluppo può influenzare i comportamenti nelle età più avanzate ed esiste quindi una tendenza dei figli a replicare il comportamento dei genitori (OECD 2017).

5. Conclusioni

La necessità di fornire assistenza ad una persona anziana ha un impatto personale, sociale ed economico di enorme rilevanza. Per i caregiver informali cambia la relazione con il proprio congiunto, con ruoli che si invertono nel caso della relazione genitori-figli o che non sono più paritari nel caso della relazione coniugale. Il caregiver informale deve spesso ridefinire le proprie priorità sacrificando in parte o in tutto la carriera lavorativa con conseguente riduzione del salario e riducendo la partecipazione alla vita sociale; non raramente il peggioramento della situazione socio-economica unito con lo stress derivato dal caregiving porta ad un peggioramento dello stato di salute.

La necessità di alleviare il carico dei caregiver informali va contemperata con l’obiettivo di evitare l’istituzionalizzazione della persona anziana non autosufficiente; misure di supporto strutturate (es., assistenza domiciliare) possono essere d’aiuto ma difficilmente possono avere un impatto sostanziale a fronte di situazioni che molto spesso richiedono un’assistenza continuativa. D’altra parte, il ricorso a caregiver formali (e la conseguente richiesta di supporto economico) è una soluzione che spesso non è accettata dal paziente o non è percorribile stante la scarsità di risorse attualmente disponibili per questo tipo di supporto sociale. La legge delega 33/2023 sulla non autosufficienza affronta queste problematiche con una razionalizzazione e riorganizzazione dei servizi e prevede misure concrete di supporto dei caregiver. Stante però l’attuale trend demografico, che prospetta una progressiva riduzione delle persone in età lavorativa a fronte di un aumento delle persone disabili, è improbabile che un intervento “settoriale” possa rappresentare una soluzione a lungo termine: la sfida che abbiamo davanti coinvolge tutta la società e va affrontata in maniera sistemica associando agli interventi specifici per le persone anziane politiche demografiche e del lavoro che permettano di sostenere i caregiver in tutti gli ambiti della loro vita.

Bibliografia

Bom, J. et al.
2019 The Impact of Informal Caregiving for Older Adults on the Health of Various Types of Caregivers: A Systematic Review, in «The Gerontologist» 59(5), pp. 629-642 (doi:10.1093/geront/gny137).

Capistrant, B. et al.
2012 Current and Long-Term Spousal Caregiving and Onset of Cardiovascular Disease, in «Journal of Epidemiology and Community Health» 66(10), pp. 951-956 (doi:10.1136/jech-2011-200040).

Cho, E. et al.
2013 Effects of Informal Caregivers on Function of Older Adults in Home Health Care, in «Western Journal of Nursing Research» 35(1), pp. 57-75 (doi:10.1177/0193945911402847).

De Maria, M. et al.
2020 Perceived social support and health-related quality of life in older adults who have multiple chronic conditions and their caregivers: a dyadic analysis, in «Social Science & Medicine» 262:113193 (doi: 10.1016/j.socscimed.2020.113193).

Di Novi, C. et al.
2015 The Quality of Life of Female Informal Caregivers: From Scandinavia to the Mediterranean Sea, in «European Journal of Population» 31(3), pp. 309-333 (doi:10.1007/s10680-014-9336-7).

Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion (European Commission) and ECORYS
2021 Study on Exploring the Incidence and Costs of Informal Long-Term Care in the EU. Publications Office of the European Union. https://data.europa.eu/doi/10.2767/06382 (May 31, 2024).

Hébert, R. et al.
2001 Factors Associated With Long-Term Institutionalization of Older People With Dementia: Data From the Canadian Study of Health and Aging, in «The Journals of Gerontology», Series A” 56(11), pp. 693-699 (doi:10.1093/gerona/56.11.M693).

Hoffman, G. et al.
2012 Health Behaviors among Baby Boomer Informal Caregivers, in «The Gerontologist» 52(2), pp. 219–30 (doi:10.1093/geront/gns003).

Kiecolt-Glaser, J. et al.
2003 Chronic Stress and Age-Related Increases in the Proinflammatory Cytokine IL-6, in «Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America» 100(15), pp. 9090-9095 (doi:10.1073/pnas.1531903100).

Kuzuya, M. et al.
2011 Impact of Caregiver Burden on Adverse Health Outcomes in Community-Dwelling Dependent Older Care Recipients, in «The American Journal of Geriatric Psychiatry» 19(4), pp. 382-391 (doi:10.1097/JGP.0b013e3181e9b98d).

ISTAT
2019 Conciliazione tra lavoro e famiglia, anno 2018 (https://www.istat.it/it/archivio/235619).

2021 Le condizioni di salute della popolazione anziana in Italia (https://www.istat.it/it/archivio/259588).

Leggett, A.N. et al.
2015 Depressive Mood, Anger, and Daily Cortisol of Caregivers on High- and Low-Stress Days, in «The Journals of Gerontology. Series B, Psychological Sciences and Social Sciences» 70(6), pp. 820-829 (doi:10.1093/geronb/gbu070).

OECD
2017 The Pursuit of Gender Equality: An Uphill Battle. Paris: Organisation for Economic Co-operation and Development (https://www.oecd-ilibrary.org/social-issues-migration-health/the-pursuit-of-gender-equality_9789264281318-en).

Prizer, L.P. et al.
2020 The Presence of a Caregiver Is Associated with Patient Outcomes in Patients with Parkinson’s Disease and Atypical Parkinsonisms, in «Parkinsonism & Related Disorders» 78, pp. 61-65 (doi:10.1016/j.parkreldis.2020.07.003).

Quattrin, R. et al.
2009 Study on the impact of caregivers in an Italian high specialization hospital: presence, costs and nurse’s perception, in «Scandinavian Journal of Caring Sciences» 23(2), pp. 328-333.

Rocard, E. and Llena-Nozal, A.
2022 Supporting Informal Carers of Older People (https://www.oecd-ilibrary.org/content/paper/0f0c0d52-en).

Rospenda, K.M. et al.
2010 Caregiver Burden and Alcohol Use in a Community Sample, in «Journal of Addictive Diseases» 29(3), pp. 314-324 (doi:10.1080/10550887.2010.489450).

Stalder, T. et al.
2014 Elevated Hair Cortisol Levels in Chronically Stressed Dementia Caregivers, in «Psychoneuroendocrinology» 47, pp. 26-30 (doi:10.1016/j.psyneuen.2014.04.021).

Wakabayashi, R. et al.
2011 Presence of In-Home Caregiver and Health Outcomes of Older Adults with Chronic Obstructive Pulmonary Disease, in «Journal of the American Geriatrics Society» 59(1), pp. 44-49 (doi:10.1111/j.1532-5415.2010.03222.x).

United Nations
2024 World Population Prospects (https://population.un.org/wpp/).

Autore

  • Ha conseguito la laurea in Medicina e Chirurgia nel 1994 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, proseguendo poi l’attività di formazione in ambito geriatrico sia per quanto riguarda l’attività assistenziale, con una specializzazione in Geriatria conseguita nel 2001 sempre presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sia per quanto riguarda l’attività di ricerca, conseguendo un Dottorato di Ricerca in Medicina Preventiva in Età Geriatrica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 2000 ed un Master in Public Health presso la Brown University. Attualmente ricopre l’incarico di Professore Ordinario di Geriatria presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, dove è anche Direttore della Scuola di Specializzazione in Geriatria e Responsabile dell’UOC di Geriatria della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.