Negli ultimi decenni, il concetto di povertà ha subito una profonda trasformazione. Non si tratta più soltanto di una condizione materiale legata all’assenza di reddito, ma sempre più di una realtà multidimensionale, che intreccia precarietà lavorativa, fragilità educative, difficoltà abitative, isolamento relazionale e impossibilità di accedere a servizi essenziali. In questa prospettiva, le cosiddette “nuove povertà” non sostituiscono le forme tradizionali di deprivazione, ma le amplificano e le articolano in modi inediti, richiedendo risposte altrettanto articolate e integrate.
1. Le nuove povertà in Italia: una fotografia d’insieme
In Italia la povertà che colpisce le famiglie si è intensificata e trasformata, assumendo forme sempre più complesse e multidimensionali. Alcuni dati recenti aiutano a comprendere l’ampiezza e la gravità del fenomeno.
Secondo l’ISTAT, nel 2023 oltre 2,2 milioni di famiglie (circa l’8,5%) vivevano in povertà assoluta, per un totale di più di 5,6 milioni di persone, con un’incidenza particolarmente elevata tra le famiglie con figli minori, in particolare se monogenitoriali o numerose. L’Italia, con oltre 1,3 milioni di bambini/e e ragazze/i che vivono in famiglie in povertà assoluta, è tra i paesi europei con i più alti tassi di povertà infantile, che si traduce non solo in deprivazione materiale, ma anche in un accesso diseguale all’istruzione, alla salute, alla cultura. Continua a crescere il numero dei working poor: nel 2023, il 12% dei lavoratori viveva in una famiglia con reddito sotto la soglia di povertà relativa. Il fenomeno colpisce in modo particolare le donne, i giovani e coloro che svolgono lavori part-time o discontinui. Le famiglie del Mezzogiorno continuano a registrare i più alti livelli di povertà, ma anche nel Centro-Nord crescono i segnali di fragilità con forti disparità tra territori e classi sociali, alimentando una condizione che limita la piena cittadinanza e si tramanda spesso di generazione in generazione. In questa situazione la povertà femminile continua a essere significativamente sottostimata nei dati ufficiali, in gran parte a causa dell’adozione di misure aggregate basate sul reddito familiare. Tale approccio tende infatti a celare le disuguaglianze intra-familiari, oscurando la condizione di vulnerabilità economica specifica di molte donne, in particolare di coloro che svolgono funzioni di cura. Queste ultime incontrano frequentemente ostacoli nell’accesso stabile al mercato del lavoro e, quando vi accedono, vi rimangono spesso in condizioni di sotto-occupazione o precarietà. Il persistente divario di genere nei tassi di occupazione, con punte particolarmente marcate al Sud, è strettamente connesso alla carenza di servizi pubblici e infrastrutture sociali che favoriscano una reale conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. A ciò si aggiunge la persistente concentrazione femminile in settori occupazionali a bassa remunerazione e la diseguale distribuzione dei carichi familiari, che continuano a limitare l’autonomia economica delle donne.
Questa fotografia impone un cambio di sguardo: la povertà contemporanea non può più essere affrontata con risposte settoriali e frammentate. È necessario un approccio integrato e intergenerazionale, che tenga conto dei legami tra individui, famiglie e comunità e guardi alle politiche di conciliazione vita-lavoro come una delle risposte.
2. I contributi del Quaderno
È proprio da questa consapevolezza che prende avvio il presente Quaderno, dedicato a esplorare in modo articolato le intersezioni tra nuove povertà nel contesto familiare. Quaderno che si propone di esplorare tali dinamiche attraverso una lente specifica: quella del nesso tra povertà, famiglia e conciliazione. In un contesto sociale ed economico in continua evoluzione, la famiglia rappresenta da un lato un possibile argine alle vulnerabilità, dall’altro un nodo critico in cui esse si concentrano e si trasmettono tra generazioni. La crescente difficoltà nel conciliare vita familiare e lavorativa, la scarsità di servizi di cura accessibili e la segmentazione del mercato del lavoro rendono alcune famiglie – in particolare quelle monogenitoriali, numerose o con minori a carico – più esposte al rischio di esclusione sociale. Le politiche pubbliche, se non sostenute da un adeguato sistema di welfare e da una governance collaborativa tra attori pubblici, privati e del Terzo settore, rischiano di rivelarsi inefficaci o frammentarie.
Il Quaderno si apre con tre contributi di taglio analitico, che offrono una cornice interpretativa del fenomeno delle nuove povertà. Il contributo di Ilaria Madama analizza l’evoluzione delle politiche italiane di contrasto alla povertà e di conciliazione vita-lavoro, evidenziando limiti storici, recenti riforme e prospettive. A partire dagli anni Novanta, l’Italia ha mostrato una “sindrome” sociale caratterizzata da bassa natalità, scarsa occupazione femminile e alta povertà minorile, legata a un welfare familista e inadeguato. Le riforme più significative dell’ultimo decennio includono l’introduzione del Reddito di cittadinanza (poi sostituito da ADI e SFL), dell’Assegno unico e universale per i figli e investimenti nei servizi per l’infanzia e nei congedi parentali. Nonostante alcuni progressi, persistono criticità strutturali: la copertura dei servizi resta disomogenea, l’occupazione femminile è tra le più basse d’Europa, la povertà minorile elevata e i divari territoriali marcati. Le riforme hanno migliorato alcuni aspetti, ma non hanno ancora colmato i divari rispetto agli standard europei avanzati.
Il saggio di Orazio Giancola mette a fuoco il concetto di povertà educativa come forma strutturale e intergenerazionale di disuguaglianza, che si radica nel capitale culturale familiare, nei contesti territoriali e nei meccanismi selettivi del sistema scolastico. Una scarsa conciliazione tra vita familiare e lavoro ostacola l’equilibrio tra impegni professionali e responsabilità genitoriali, soprattutto nelle famiglie con redditi bassi o lavori precari, spesso prive di accesso a servizi di supporto. In questi contesti, la mancanza di tempo e risorse può limitare la presenza e il coinvolgimento dei genitori, riducendo il sostegno emotivo, educativo e relazionale necessario ai figli. I bambini rischiano così di accumulare svantaggi: difficoltà scolastiche, minore accesso ad attività formative, sviluppo limitato di competenze sociali. Ne deriva una povertà educativa che si riproduce nel tempo, rafforzando le disuguaglianze legate all’ambiente socio-economico e familiare.
Il terzo contributo, a cura di Chiara Agostini, analizza le interconnessioni tra povertà e conciliazione, evidenziando come l’inadeguatezza delle politiche di supporto alla genitorialità e alla cura rappresenti uno dei fattori chiave nella produzione della vulnerabilità economica. Il lavoro povero, la segmentazione del mercato occupazionale e l’assenza di servizi educativi di qualità penalizzano in particolare le donne, aggravando le disuguaglianze di genere e producendo effetti negativi anche sul benessere e sulle opportunità di sviluppo dei minori. L’approccio dell’investimento sociale, richiamato dall’autrice, invita a leggere la conciliazione vita-lavoro non come una misura compensativa, ma come una leva strategica per promuovere inclusione, coesione e crescita sostenibile.
La seconda parte del Quaderno raccoglie l’intervista a Maria Elena Bonetti, Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto, e due esperienze significative che testimoniano come sia possibile agire sulle nuove povertà con strumenti innovativi e approcci integrati.
Elena Bonetti individua come priorità l’elaborazione di politiche capaci di rispondere agli effetti della transizione demografica, tra invecchiamento della popolazione e denatalità. La Commissione d’inchiesta da lei presieduta intende indagare l’impatto di tali dinamiche su povertà, lavoro e sostenibilità dei sistemi di welfare. Sul piano economico, Bonetti evidenzia la pressione crescente sulla spesa sociale e la necessità di sostenere la produttività attraverso investimenti in capitale umano. A questo si aggiunge l’isolamento degli anziani e la fragilità delle reti familiari. Le sfide future richiedono una visione integrata tra politiche familiari, giovanili e per la parità di genere. La cultura della conciliazione è vista come leva chiave per invertire i trend demografici, promuovere l’occupazione femminile e sostenere la natalità.
La testimonianza di Maria Cristina Alfieri documenta l’impegno della Fondazione Conad ETS con il progetto “Accompagna una famiglia”, che coniuga la responsabilità sociale d’impresa con la promozione dell’inclusione sociale nei territori. L’iniziativa coinvolge diocesi, enti filantropici e aziende in un percorso che affronta in modo sistemico quattro ambiti di fragilità – alimentare, energetica, finanziaria e lavorativa – promuovendo conoscenze, autonomia e competenze all’interno delle famiglie. Si tratta di un modello di intervento che valorizza la prossimità, la sussidiarietà e la costruzione di reti locali, e che mostra come l’impresa possa giocare un ruolo attivo nel generare impatto sociale.
Il programma “Traguardi” della Fondazione Ufficio Pio, presentato da Claudia Maria Arcabascio e Irene Rubino, si distingue per la sua capacità di intervenire precocemente sulle traiettorie di esclusione educativa, sostenendo famiglie con bambini in età 0-2 anni attraverso percorsi personalizzati di accesso ai servizi, empowerment genitoriale, formazione linguistica e professionale. L’approccio fondato sui tre “diritti guida” a migliorare, a imparare, a incontrare mette al centro il nucleo familiare come soggetto attivo del cambiamento, e dimostra come la conciliazione possa essere non solo un obiettivo, ma anche uno strumento per spezzare il ciclo della povertà intergenerazionale.
3. Politiche di conciliazione: costruire alleanze per contrastare le nuove povertà
Nel loro insieme, i contributi raccolti in questo Quaderno restituiscono un quadro complesso e articolato delle nuove povertà, mettendo in luce l’importanza di politiche integrate, capaci di tenere insieme la dimensione educativa, quella lavorativa e quella relazionale grazie alla conciliazione vita-lavoro. Ma soprattutto evidenziano una comune consapevolezza: per affrontare le sfide della povertà contemporanea, non serve moltiplicare gli interventi settoriali. Occorre un cambio di paradigma che riconosca nella famiglia – nella sua pluralità di forme e di bisogni – un attore cruciale delle politiche sociali e che investa nella costruzione di alleanze tra istituzioni, imprese e società civile.
In questa cornice, alcune leve si rivelano particolarmente efficaci, tra cui la promozione di un approccio di investimento sociale che valorizza le politiche per la prima infanzia, il sostegno alla genitorialità e la conciliazione tra vita familiare e lavorativa. Servizi educativi accessibili e di qualità, percorsi di accompagnamento per le famiglie fragili, strumenti di flessibilità lavorativa equamente distribuiti rappresentano non solo misure di contrasto alla povertà, ma anche politiche per l’equità di genere, la mobilità sociale e la coesione territoriale.
Contrastare le nuove povertà familiari, in definitiva, significa costruire un welfare che non si limiti a riparare, ma che sia capacitante. Perché solo attraverso un’azione collettiva, fondata sulla responsabilità condivisa, sarà possibile rispondere alle fragilità contemporanee con politiche giuste, inclusive e sostenibili. Questo Quaderno vuole essere un contributo in tale direzione: un’occasione di riflessione, ma anche uno strumento per orientare l’azione.