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Gli anziani-nonni come risorsa tra conciliazione famiglia-lavoro e invecchiamento

1. Introduzione: denatalità, invecchiamento e conciliazione

Denatalità e invecchiamento rappresentano, in Italia, un problema trascurato in relazione alle crescenti trasformazioni demografiche e una sfida per quanto riguarda le ricadute a livello sociale, economico e territoriale. Com’è noto da tempo, bassi tassi di natalità e un’elevata speranza di vita fanno del Paese, in prospettiva comparata, uno dei più longevi al mondo. La pandemia da Covid-19 ha accentuato ulteriormente il calo demografico mentre ha rallentato – sebbene in modo contenuto e solo per il breve periodo – il processo di invecchiamento della popolazione.

Il calo demografico, dovuto ad un numero di nascite inferiore al livello di sostituzione (pari a 2 figli per coppia), non è un fenomeno recente e non riguarda solo l’Italia: oggi in Europa non c’è un solo paese al di sopra di tale livello. La Francia, con un valore pari a 1,86 figli, è il paese europeo con il tasso di fertilità più alto mentre l’Italia si ferma a 1,27 (sale a 1,29 se si considerano i figli di madri straniere). Inoltre, il nostro è anche il paese europeo con l’età media (31,3) più alta per le madri alla nascita del primo figlio (Database Eurostat 2021, dati riferiti al 2019). Precarietà lavorativa, retribuzioni modeste, politiche di conciliazione vita-lavoro assenti o inadeguate e mancanza di servizi pubblici gratuiti e semi-gratuiti non costituiscono un incentivo per la natalità. Disponibilità e qualità dei servizi, sostegni monetari alle famiglie, livelli di reddito e strumenti legislativi e contrattuali per la conciliazione vita-lavoro hanno invece un impatto positivo – generalmente – sulla fertilità. Nel dibattito e nelle analisi, il tema della scarsa natalità viene inoltre messo in relazione con la sostenibilità dei sistemi pensionistici e più in generale di welfare: il calo delle nascite diminuisce il rapporto tra lavoratori attivi e inattivi rischiando di mettere in discussione il diritto alla pensione e l’accesso ai programmi di welfare che sono finanziati con i contributi dei lavoratori e/o le imposte pagate dai cittadini.

Un quadro complesso quello qui richiamato, composto da cambiamenti demografici, familiari e sociali che si condizionano a vicenda, e dalle molteplici conseguenze che stanno trasformando i bisogni di conciliazione di individui e famiglie tra esigenze personali e lavorative e tra carichi di cura dei figli e dei genitori anziani. Proprio questi ultimi sono al centro di questo articolo nella veste di nonni e nonne. Anziani nonni che, oltre che destinatari di cure e assistenza, possono anche diventare risorsa per bilanciare in modo sostenibile famiglia e lavoro.

2. Anziani-nonni: generatori di bisogni di conciliazione

In questa cornice gli anziani che invecchiano, non necessariamente in buona salute e sempre più soli (come mette in evidenza il contributo di Federico Razetti in questo Quaderno), generano bisogni di conciliazione per le famiglie, per le imprese e per il welfare locale.

La risposta dell’Italia alla sfida dell’invecchiamento è stata ed è inadeguata, poiché caratterizzata da una mancanza di progettualità, sia da parte del settore pubblico (a tutti i livelli di governo) sia del settore privato, che evidenzia per entrambi lo stesso tipo di criticità (Crescenti, Maino e Tafaro 2018; Da Roit 2020): la netta preferenza per le erogazioni di carattere monetario, senza controllo ex-post circa l’utilizzo delle risorse; la frammentazione e la differenziazione degli interventi con il conseguente rischio di inappropriatezza delle prestazioni e la dispersione delle risorse.

Il presupposto è che assistere quotidianamente e a tempo pieno un genitore anziano e con problemi di non autosufficienza genera bisogni di conciliazione. Lavoratori e lavoratrici, per adempiere a compiti di cura, chiedono un part-time, si licenziano, oppure optano per un pensionamento anticipato (che determina a sua volta una prestazione previdenziale più bassa). Decurtazioni sul piano economico che si sommano agli alti costi per l’assistenza fornita da badanti e altro personale, costi che – sul piano fiscale – non sono ancora pienamente deducibili/detraibili. Dopo tutto, conciliare impegni professionali e di cura resta difficile sia che si tratti dei figli sia dell’assistenza agli anziani. In particolare, con riferimento ai secondi, in assenza di misure di sostegno e di un’adeguata strategia, le famiglie si trovano costrette a farsi totalmente carico non solo dell’onere organizzativo dell’assistenza, ma anche in gran parte di quello economico. La scelta prevalente è in genere quella della domiciliarità, fondata essenzialmente sull’aiuto informale, prestato dai familiari1, e sulla figura del(la) badante, accompagnata da un ricorso contenuto alla residenzialità (Fosti et al. 2021).

Il primo presidio pubblico per importanza è rappresentato dall’Indennità di Accompagnamento, misura nazionale, a carattere monetario ed erogata senza condizioni di reddito, il cui utilizzo da parte dei beneficiari è completamente libero, circostanza che in molti casi ne determina un uso improprio o inadeguato. Le altre prestazioni dedicate alla non autosufficienza sono fornite a livello regionale o comunale. Nell’ambito delle prestazioni a carattere monetario rientrano i voucher, gli assegni di cura e i buoni socio-sanitari. Stabiliti a livello comunale, essi sono finalizzate a garantire l’assistenza e la cura a domicilio di persone non autosufficienti che hanno bisogno di una presenza continua, tramite l’acquisto di prestazioni domiciliari socio-sanitarie integrate fornite da operatori professionali accreditati (voucher) o come mero sostegno ai caregiver “informali” (familiari, vicini, volontari). In questo caso le prestazioni variano, oltre che in relazione alle scelte del territorio, anche con riferimento al reddito, al bisogno assistenziale, alla presenza o meno di caregiver formali (assistenti familiari). Alle prestazioni in servizi appartengono invece l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e i Servizi di Assistenza Domiciliare (SAD). Questi ultimi, forniti dai comuni in relazione all’ISEE, hanno carattere essenzialmente socio-assistenziale e perseguono l’obiettivo di aiutare la persona nel disbrigo delle attività quotidiane (aiuto domestico, preparazione dei pasti, igiene della persona, commissioni, trasporto, ecc.), sollevando in parte la famiglia dal carico assistenziale.

In relazione all’intervento privato, negli ultimi anni hanno avuto un impulso significativo le coperture a livello aziendale, con particolare riferimento all’utilizzo del premio di risultato, modalità per la quale – dal 2016 – è stato definito un apposito regime fiscale agevolato, la cui organizzazione può realizzarsi nelle forme più diverse (voucher, contributi a fondi sanitari, rimborso delle spese sostenute, ecc.). Caratteristica di queste misure è di essere riservate ai lavoratori dipendenti durante il periodo di attività, il che rappresenta un ulteriore fattore di criticità poiché la copertura si interrompe con il pensionamento e la vecchiaia, ovvero nel momento in cui il bisogno inizia a farsi più rilevante.

3. Anziani-nonni: risorsa per la conciliazione

Gli anziani-nonni, soprattutto nella fascia d’età tra i 65 e i 75-80 anni e se in buona salute, possono rappresentare anche una risorsa rispetto ai bisogni di conciliazione delle famiglie, oltre che per la comunità, come è evidenziato nel contributo di Valentino Santoni e nelle interviste della seconda parte di questo Quaderno.

Proprio i cambiamenti nella società, richiamati nell’introduzione, e i nuovi bisogni delle famiglie stanno contribuendo a ridefinire il ruolo degli anziani-nonni. L’aumento della speranza di vita e il crescente investimento nell’invecchiamento attivo consentono ai più anziani una qualità di vita sempre migliore lasciando loro sempre più tempo ed energie da dedicare alla cura dei nipoti e più in generale da mettere a disposizione dei propri figli quale risposta alle esigenze di conciliazione della vita lavorativa e personale. Questo è tanto più possibile quanto aumenta la speranza di vita in buona salute.

Ma non è solo la disponibilità degli anziani a farne dei nonni pronti ad aiutare i loro figli. Spesso sono le difficoltà economiche che molte famiglie si trovano ad affrontare (a maggior ragione in periodi di crisi economico-sociale come è successo dopo il 2008 e poi con la pandemia da Covid-19) a determinare il ricorso ai nonni come “baby-sitter”. Quando i genitori non possono permettersi di pagare direttamente l’accesso ai servizi per l’infanzia e in assenza di servizi pubblici, i nonni rappresentano un’alternativa economicamente vantaggiosa che, in molti casi, si rivela anche flessibile e non vincolante in termini di orari (i nonni in genere non impongono un limite di ore né hanno un “orario di chiusura”, come invece succede per gli asili nido e le scuole materne). Una soluzione che permette alle madri di mantenere un’occupazione (e/o di reinserirsi nel mercato del lavoro dopo la maternità) favorendo la crescita delle famiglie a doppio reddito che sono meno a rischio vulnerabilità e povertà. Essere occupati aumenta le difficoltà di conciliare la vita lavorativa e familiare e porta a ricorrere ai nonni come alternativa per la cura dei figli.

Infatti, sul fronte dell’occupazione femminile, tra le trasformazioni più rilevanti degli ultimi decenni c’è l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Tuttavia, nei Paesi dove gli aiuti pubblici alle famiglie per la cura dei bambini sono scarsi, come l’Italia, la partecipazione femminile al mercato del lavoro va di pari passo con bassi tassi di fecondità, anche per via degli ostacoli che le donne si trovano ad affrontare per riuscire a conciliare il desiderio di avere figli con quello di lavorare. Nei Paesi avanzati i figli sono più numerosi dove si è affermato un modello di welfare che investe su famiglie con due redditi (in letteratura, le cosiddette famiglie dual earner), così scardinando il tradizionale modello malebreadwinner2 (Lewis 2001), e incentivando un’accentuata condivisione del lavoro di cura all’interno della coppia, favoriti da generosi congedi parentali per padri e madri e dall’accesso ad una solida rete di servizi sociali (cfr. Rosselli 2021). Un lavoro retribuito per entrambi i genitori, l’assunzione da parte degli uomini della propria parte del lavoro di cura dei figli e della casa, servizi sociali accessibili e di buona qualità: tre componenti che generano un circolo virtuoso in grado di alimentare la crescita della natalità e che – per tornare al tema di questo Quaderno – evitano di sovraccaricare gli anziani-nonni di oneri di cura e di una funzione di sostegno della famiglia. Quando questo circolo virtuoso non si innesca, i nonni diventano una risorsa indispensabile, che in molti casi finisce per alimentare un welfare fai-da-te.

Quindi, se occupazione e maternità necessitano di servizi, quando non ci sono o non rispondono alle esigenze delle famiglie o non sono economicamente sostenibili, entrano in gioco gli anziani-nonni. La disponibilità a prendersi cura dei nipoti registra notevoli differenze tra i Paesi europei con riferimento alla frequenza del coinvolgimento dei nonni. I nonni che si prendono cura dei nipoti nei Paesi del Sud Europa tendono a farlo tutti i giorni o quasi; nei Paesi scandinavi, invece, i nonni aiutano più sporadicamente (Bordone e Arpino 2019). Alcuni studi recenti hanno mostrato che la disponibilità dei nonni (e in particolare delle nonne) aiuta la realizzazione dei desideri di maternità da parte delle giovani coppie e la partecipazione al mercato del lavoro delle madri. Nonni e nonne, infatti, sono spesso una soluzione di cura informale per i bambini3.

L’assistenza all’infanzia può essere informale o formale e, in questo caso, pubblica o privata. L’accessibilità, anche economica, di tale assistenza è un fattore determinante per permettere ai genitori (e in particolare alle madri) di entrare o rimanere nel mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio. Quale tipo di cura viene scelta dipenderà da diversi fattori relativi ai genitori, alle loro preferenze, al grado di flessibilità prevista tra contratti full-time e contratti part-time per incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Ma anche dal sistema di welfare del paese in cui vivono, da quali e quanti servizi vengono offerti e a quale costo: ampiezza, generosità e qualità dei servizi e delle prestazioni fanno la differenza.

Si può immaginare che, soprattutto in contesti dove i servizi di cura privati sono costosi e l’assistenza pubblica è scarsa, i nonni entrino in campo da protagonisti. Come accennato precedentemente, grazie a loro le madri possono partecipare al mercato del lavoro. In Italia, la probabilità di partecipare al mercato del lavoro per una madre è di 30 punti percentuali più alta se riceve aiuto dai nonni (Bordone e Arpino 2019). Inoltre, questo effetto positivo dei nonni sulla partecipazione delle madri al mercato del lavoro è particolarmente forte per le donne con un basso livello di istruzione, che più probabilmente avranno bisogno di un aiuto gratis e flessibile, e più evidente al Centro-Nord che al Sud, per il più alto tasso di occupazione femminile nelle regioni settentrionali dove, tuttavia, i servizi pubblici di cura all’infanzia non sono comunque sufficientemente sviluppati.

L’invecchiamento demografico e la trasformazione della struttura familiare che sta portando ad un numero sempre più alto di famiglie di piccole dimensioni – perché il numero dei componenti continua a diminuire – mettono tuttavia in guardia sul fatto che quella che Naldini e Saraceno (2011) avevano chiamato la generazione sandwich (madri che si trovano a sostenere carichi di cura verso i figli e al contempo verso i genitori) sembra allungarsi fino ad inglobare i nonni (ancora giovani o comunque attivi), che hanno sempre più compiti di cura verso i nipoti, i figli e i genitori molto anziani, quei “grandi vecchi” il cui numero è in aumento anche nel nostro Paese. Una generazione che, nonostante l’età, si vede e vedrà costretta ad occuparsi della casa, della cura dei nipoti per alcune ore e dell’assistenza ai genitori, i bis-nonni, non più autosufficienti. Oggi sta quindi crescendo una variante della generazione sandwich che coinvolge un’ampia fetta di popolazione tra i 55 e i 75 anni con nipoti, figli e genitori, intorno a cui finisce per ruotare la capacità di conciliazione delle famiglie.

Una generazione che è risorsa intergenerazionale e di conciliazione rispetto ai bisogni che si manifestano nelle diverse fasi del ciclo di vita, su cui il welfare state nazionale e locale dovrebbe investire per prevenirne il decadimento della salute, la perdita di autonomia e la fragilità, per ritardarne l’invecchiamento così che si trasformi il più tardi possibile da aiuto e sostegno per la famiglia e le comunità in fonte di bisogni e assistenza. Insomma, si tratterebbe di creare ambienti di lavoro e di vita più flessibili, servizi più personalizzati, un welfare strutturato in modo diverso, con un coinvolgimento maggiore anche di imprese e di enti del terzo settore. In realtà, alcuni dei provvedimenti degli ultimi anni hanno già introdotto i primi tasselli di un nuovo sistema: la normativa sul lavoro agile (ampiamente rafforzato durante la pandemia), gli sgravi per incentivare il welfare aziendale, la riforma del terzo settore, la ridefinizione dei livelli essenziali di assistenza, l’Assegno Unico per i Figli sono misure che vanno in questa direzione. E anche lo sguardo del giurista aggiunge nuove prospettive a questo panorama, come Maria Novella Bugetti chiarisce in maniera approfondita nel contributo che segue. La sfida per gli enti locali, gli enti del terzo settore, le imprese e le parti sociali è e sarà quella di darne attuazione e possibilmente valutarne sostenibilità e impatto.

Note

1 Secondo l’ISTAT in Italia ci sono circa 3,3 milioni di caregiver familiari, l’8,6% della popolazione italiana adulta, che si prende cura di altri adulti, anziani, malati e disabili.

2 Tipico delle politiche di welfare paternaliste, il malebreadwinner model è un modello di sostentamento familiare in cui l’onere economico di sostentamento della famiglia si riconduce ad un solo membro, solitamente l’uomo.

3 Bordone e Arpino (2019) ci ricordano, tuttavia, che l’aumento delle donne nel mercato del lavoro anche in età più avanzata potrebbe ridurre la disponibilità delle nonne per la cura dei nipoti. Infatti, l’età media in cui le madri europee diventano nonne è oggi in media pari a 51 anni, ben sotto l’età pensionabile. Prendersi cura dei nipoti può quindi entrare in conflitto con la partecipazione dei nonni al mercato del lavoro (alcuni studi mostrano che la nascita di un nipote può accelerare il pensionamento per le donne che preferiscono uscire dal mercato del lavoro per aiutare i propri figli nella cura della prole).

Bibliografia

Bordone V., Arpino B.
2019 Nonne d’Europa, ingenere.it, 13 maggio 2019.

Da Roit B.
2020 Traiettorie delle politiche di long-term care in Europa: protezione, familizzazione e lavoro di cura, in «Salute e Società», n. 3, pp. 32-48.

Crescentini L., Maino F., Tafaro T.
2018 Non autosufficienza: analisi e proposte per un nuovo modello di tutela, Working Paper 2WEL 3/2018, Torino, Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi.

Lewis J.
2001 The decline of the Male Breadwinner Model: Implications for Work and Care, in «Social Politics: International Studies in Gender, State & Society», Vol. 8, Issue 2, pp. 152-169.

Fosti G., Notarnicola E., Perobelli E. (a cura di)
2021 Le prospettive per il settore socio-sanitario oltre la pandemia, 3° Rapporto Osservatorio Long Term Care, Milano, Egea.

Naldini M., Saraceno C.
2011 Conciliare famiglia e lavoro, Bologna, il Mulino.

Rosselli A.
2021 Da ricordare quando si parla di denatalità, ingenere.it, 17 maggio.

Autore

  • È Professoressa Associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e Direttrice scientifica del Laboratorio Percorsi di secondo welfare. È Presidente della Fondazione Ufficio Pio di Torino. Fa parte del Comitato di direzione della Rivista Stato e mercato e dei Quaderni della Fondazione Marco Vigorelli. Fa parte del Comitato scientifico dell’Alleanza contro la povertà, e della Cabina di regia del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza. Ha curato – con Maurizio Ferrera – i primi quattro rapporti biennali sul secondo welfare in Italia. Nel 2023 ha scritto (con S. Sacchi, A. Ciarini, G. Gallo, R. Lodigiani e M. Raitano) Sostegno ai poveri: quale riforma? Dal reddito di cittadinanza all'assegno di inclusione (Egea) e curato Agire insieme. Coprogettazione e coprogrammazione per cambiare il welfare (Percorsi di secondo welfare).