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I limiti e i diritti nel “lavoro agile” o smart working: conciliazione del lavoro con la vita famigliare

1. Introduzione

Si discute molto del cosiddetto “lavoro agile” o “lavoro da remoto”, chi a favore senza alcuna remora, chi contro, sulla base delle argomentazioni più varie. Certamente e questa è una nota critica, come è fino ad oggi impostato il lavoro appare più che altro come una delocalizzazione del luogo ove viene svolto. Tranne i casi di aziende di rilevanza, per lo più si tratta di telelavoro o, meglio, capita spesso che il dipendente debba comunque osservare precisi orari e abbia limitata autonomia quanto alla scelta delle attività o tempistiche.

Ad ogni modo, il presente contributo si prefigge di delineare alcuni profili che, se non specificatamente disciplinati, potrebbero andare ad incidere profondamente sulla conciliazione del lavoro con la famiglia, con riflessi inevitabili sui diritti dei singoli. Si tratta della questione dei limiti alla intromissione delle nuove tecnologie che rendono possibile organizzare l’esecuzione del lavoro da remoto, tenuto conto che la maggior parte delle risorse umane svolge compiti di medio livello e, spesso, ripetitivi che ben potrebbe comunque essere svolto in ufficio.

Siamo ormai a pieno titolo nella Digital Age in cui sempre più si parla di nuovi ecosistemi: guardando, ad esempio, “all’Ecosistema azienda” diventa primario individuare la soluzione migliore per consentire la miglior agilità e sicurezza lavorativa, come anche incentivare la collaborazione “smart” o “agile” in ufficio e da remoto, il tutto nella prospettiva di dare concretezza al benessere dei dipendenti e dei collaboratori in genere al lavoro, con lo scopo di aumentarne la produttività.

Un tema complesso che, davanti ad una nuova era connotata da nuove modalità di prestazione dell’attività lavorativa, assume notevole rilevanza e richiede la massima attenzione in modo che la riorganizzazione aziendale digitale non vada a ostacolare il rispetto dei diritti già da tempo acquisiti dai lavoratori, diritti che hanno una diretta incidenza sulla conciliazione tra famiglia e lavoro laddove la prestazione del dipendente o del collaboratore venga svolta nel suo domicilio o, comunque, nel suo ambito privato.

Quindi, non è solo una questione di limiti ma è soprattutto una questione di tutela dei diritti.

2. Normativa attuale: breve panoramica

Con la L. 81/2017, che ha introdotto la disciplina del lavoro agile, il Legislatore ha cercato di rispondere alla richiesta di maggiore flessibilità e miglior bilanciamento tra vita privata e attività lavorativa, e lo ha fatto prevedendo la possibilità di un accordo scritto tra datore di lavoro e singolo lavoratore che ne disciplinasse le modalità esplicative quali, per esempio, le modalità di esercizio dei poteri direttivo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro, i tempi di riposo del lavoratore e le misure organizzative necessarie a garantire la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche.

Con la prima emergenza pandemica, sono state introdotte nuove disposizioni che hanno portato al 31 dicembre 2021 la disciplina del lavoro agile in forma semplificata (Decreto Cura Italia D.L. 17.3.2020 n. 18, Decreto Riaperture D.L. 22.4.2021 n. 52, circolare 2.8.2021 Ministero del Lavoro). In breve, tramite i numerosi provvedimenti via via adottati, detta modalità di svolgimento dell’attività lavorativa poteva essere applicata dai datori di lavoro pubblici e privati a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla normativa vigente e senza dover assolvere particolari adempimenti di comunicazione.

In un tale quadro, il favore verso il lavoro agile diminuisce con il cosiddetto Decreto Brunetta (DPCM 24.09.2021) che ha previsto per il 15 ottobre il ritorno in presenza dei dipendenti pubblici. Per completezza, si rileva che per particolari categorie di lavoratori, sia per la P.A. sia per le aziende private, è stabilito il diritto ad accedere allo smart working (ad esempio, i genitori di disabili, madri con figli fino a tre anni dopo il congedo di maternità, lavoratori fragili, …).

Dopo il 31.12.2021, fatte salve ulteriori proroghe dello smart working semplificato, per poter accedere alla modalità di lavoro agile, il datore di lavoro privato dovrà seguire la procedura ordinaria, quindi dovrà procedere a tutti gli adempimenti previsti dalla legge, compreso quello di stipulare un accordo individuale con il singolo lavoratore (così come per il settore pubblico).

3. Tutela dello spazio privato e del patrimonio aziendale: gli aspetti di salute e sicurezza nel lavoro agile e da remoto

Come si è già osservato, la questione che si pone davanti all’utilizzo della modalità del lavoro agile è certamente quella di garantire che l’orario di lavoro sia quello previsto dalla contrattazione collettiva e che non vi siano intromissioni nella vita privata del lavoratore.

Tutti abbiamo saputo di collegamenti o video chiamate ad orari assurdi oppure con tale frequenza per cui il lavoratore sostanzialmente era di reperibilità continua. L’intromissione nella vita familiare era pregiudizievole perché veniva richiesta sostanzialmente la reperibilità quotidiana e senza limiti del lavoratore, più che altro nel settore privato.

Corollario a tale diritto è quello della tutela della privacy del lavoratore.

E che dire poi della proprietà degli strumenti necessari per realizzare il lavoro da remoto? Chi li deve fornire? A chi competono i relativi costi? A chi le responsabilità di manutenzione?

In un tal contesto, si innestano anche i temi della sicurezza sul lavoro (svolto per lo più da una dimora) e degli obblighi del lavoratore come anche quello dei requisiti minimi degli ambienti di lavoro. Tante domande cui le linee guida, non ancora approvate, relative al DPCM 24.09.2021 (cd. Decreto Brunetta) dovrebbero quantomeno in parte rispondere (ed è assai probabile che le disposizioni che verranno adottate per il settore pubblico andranno ad impattare su quello privato).

Attualmente, esplica ancora i suoi effetti il documento dell’Inail sulla «Informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile ai sensi dell’art. 22, comma 1 e comma 2, L. 81/2017» che fornisce le direttive e le linee guida per assolvere gli obblighi relativi alla sicurezza sul lavoro pur svolgendo le proprie mansioni da casa.

Da una parte (comma 1), «Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore, che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile, e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta, nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro», dall’altra (comma 2), «Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali».

Sino ad oggi, le direttive Inail si occupano più che altro di imporre requisiti per i locali ove i lavoratori debbono prestare l’attività, sostanzialmente trattandosi di raccomandazioni generali per i locali e indicazioni per l’illuminazione e l’aerazione naturale ed artificiale. Nell’immediato futuro, è rilevante anche pensare alla predisposizione di un arredo idoneo, che non comporti conseguenze fisiche sul lavoratore: anche in questo caso, come individuare le rispettive responsabilità a seconda del profilo pregiudizievole di volta in volta verificatosi potrebbe essere foriero di contrapposizioni. In sintesi, occorre ripensare gli spazi di lavoro perché verrà presto in esame l’idoneità delle postazioni di lavoro. E ciò potrà avere impatto anche sull’architettura delle nostre abitazioni.

La questione ha anche rilevanza sul piano fiscale. In assenza di una disciplina specifica, l’Agenzia delle Entrate (risposta n. 371 del 24.05.2021) ha affermato che, ai sensi dell’art. 51 del TUIR, anche le somme erogate dal datore di lavoro a titolo di rimborso spese per la connessione internet costituiscono per il lavoratore reddito di lavoro dipendente. Per il datore di lavoro, invece, vi è l’onere di dimostrare che la connessione dati costituisce conditio sine qua non per lo svolgimento dell’attività lavorativa e solo a tale condizione i rimborsi possono considerarsi deducibili ai sensi dell’art. 95, comma 1 del TUIR.

Salvo che i contratti collettivi nazionali non prevedano espressamente tale rimborso, si ribadisce che è esso rimesso all’autonomia delle parti.

Anche con riguardo ai buoni pasto, non esiste un diritto del lavoratore agile ad averli e, sempre salva una previsione nei contratti collettivi nazionali, il tutto compete ancora una volta all’autonomia contrattuale.

Non vi è obbligo normativo e ciò in quanto, come anche sottolineato dalla Suprema Corte (ordinanza n. 16135/2020) la natura dei buoni pasto è assistenziale e non retributiva (vedi anche Cass. sent. 31137/2019). Tale natura è ripresa dalla giurisprudenza di merito (rif. Tribunale di Venezia sent.n. 1069/2020; n. 3463/2020): a causa dell’emergenza pandemica i dipendenti in smart working non hanno diritto ai buoni pasto poichè il lavoro agile è da ritenersi incompatibile con questi in quanto i lavoratori sono liberi di organizzare temporalmente il proprio lavoro.

Come detto, è sempre fatto salvo quanto previsto dal contratto collettivo nazionale perché in tal caso il servizio mensa viene considerato come una retribuzione aggiuntiva in quanto anche in smart working non è possibile ricevere una retribuzione differente da quella stabilita nel contratto di lavoro, come stabilito dalla L. 81/2017.

4. La questione della tutela della privacy del lavoratore

Conciliare lo smart working con la privacy dei dipendenti è un problema, soprattutto se si pensa al fatto che i dati sono sempre aziendali e gli strumenti utilizzati a volte lo sono altre volte no. Poter verificare il rispetto degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore non è cosa facile poiché la normativa sulla sicurezza dei dati e della privacy, nonché la disciplina dello Statuto dei Lavoratori, è piuttosto stringente.

Il Codice per la protezione dei dati personali come modificato dal D.lgs. n. 101/2018, all’art. 115 stabilisce che il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e libertà morale, mentre il lavoratore è tenuto alla riservatezza quanto alla sua vita familiare.

L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori vieta l’utilizzo di strumenti che possano consentire il controllo a distanza dei lavoratori, con l’eccezione degli «strumenti di lavoro» (nozione introdotta dal Jobs Act e molto controversa) e delle apparecchiature che servano a svolgere sine dubio l’attività lavorativa, oppure nel caso in cui detto controllo non sia autorizzato da un accordo sindacale o, in mancanza, da un provvedimento dell’Ispettorato del Lavoro.

E se questo è il panorama normativo, si palesa il rischio di un conflitto in una realtà che esige l’uso di strumenti per svolgere l’attività lavorativa da remoto (es. videochiamata) nell’ambito, spesso, delle abitazioni, e la necessità per il datore di lavoro di verificare se e quali tra i propri dipendenti “in smart working” adempiono o meno agli obblighi contrattuali.

Si inserisce a questo punto un altro aspetto, quello della responsabilità nel trattamento e gestione dei dati aziendali, dati che possono avere ad oggetto profili particolari e sensibili delle persone. Compete al datore di lavoro adottare condotte e pretendere dai propri dipendenti condotte per essere conformi al GDPR. In tale ottica, deve valutare se predisporre uno studio ex art. 35 GDPR (DPIA-Data Protection Impact Assesment).

Quindi, se vengono usati sistemi di log che possano tracciare l’attività del lavoratore, il datore di lavoro dovrà predisporre lo studio e, verificati i rischi, adottare sistemi per ridurli o eliminarli. Se ciò non fosse possibile, dovrà fare una richiesta consultiva al Garante ai sensi dell’art. 36 del GDPR.

Alla luce di quanto sopra, è necessario che le imprese adottino una policy aziendale chiara, comprensibile rispetto a ciascun trattamento effettuato, e forniscano un’informativa concisa, trasparente e intellegibile indicante le finalità, i tempi di conservazione dei dati e le misure di sicurezza adottate per garantire che la vita privata dei dipendenti non sia violata.

E che dire poi della tutela dei dati aziendali? Lo smart working comporta l’utilizzo dei dispostivi all’esterno dell’azienda, anche in un bar ove magari ci si collega al wi-fi, con rischi di attacchi o perdita di dati. In questo caso, la responsabilità è anzitutto del datore di lavoro che dovrà fornire direttive precise ai propri dipendenti e adottare ancora una volta specifiche policy aziendali.

5. Il diritto alla disconnessione nel lavoro agile

È questa un’altra questione che ha impatto diretto sulla conciliazione del lavoro con la vita familiare e che ha anche effetto diretto sulla salute e sicurezza del lavoratore che presta l’attività in modalità remota. Corollario è il diritto al riposo; elementi che insieme concretizzano il principio del diritto alla salute.

Il “diritto alla disconnessione” è stato tutelato anzitutto dall’art. 19, c. 1 della L. n. 81/2017: l’accordo individua i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Ciò per evitare i rischi di un superamento costante e non controllato dell’orario di lavoro e, quindi, il sovraccarico di lavoro con indubbie conseguenze sulla vita privata.

Dopo alcuni interventi del Garante della privacy (Commissione Lavoro del Senato 13.5.2020 sulle ricadute occupazionali dell’epidemia da Covid-19) e del Parlamento Europeo (risoluzione 21.1.2021-2019/2181) riferiti alle raccomandazioni alla Commissione sul diritto alla disconnessione, la L. 6.5.2021 n. 61 (conv. D.L. 13.3.2021 n. 30, «Misure urgenti per fronteggiare la diffusione del COVID-19 e interventi di sostegno per lavoratori con figli minori in didattica a distanza o in quarantena») ha riconosciuto il diritto a potersi disconnettere, fuori da determinati orari, da tutti i dispositivi che permettono l’accesso al proprio account aziendale.

In particolare, l’art. 2 comma 1-ter di tale Legge prevede che: «Ferma restando, per il pubblico impiego, la disciplina degli istituti del lavoro agile stabilita dai contratti collettivi nazionali, è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi». Viene così disciplinato da una legge uno dei diritti principali della modalità di lavoro da remoto e ciò ha chiare incidenze sull’istituto del cosiddetto “lavoro agile” introdotto con il precedente D. lgs. 81/2017 che affidava la regolamentazione dello stesso unicamente all’accordo tra datore di lavoro e lavoratore, senza una vera e propria copertura del diritto alla disconnessione da parte di una legge dello Stato: si pensi al fatto che il citato art.2 comma -ter afferma che l’esercizio del diritto alla disconnessione non può avere conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore.

Tale diritto permane anche a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro per la Pubblica Amministrazione e firmato il 23 settembre, in base al quale a decorrere dal 15 ottobre 2021 si è tornati alla modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa che nelle pubbliche amministrazioni deve essere svolta in presenza. Sul punto è in corso la trattativa tra ARAN (agenzia che funge da datore di lavoro per la P.A.) e i sindacati per la formazione di linee guida per i dipendenti del settore pubblico. Per quanto qui rileva, sono previste tre fasce temporali, fermi i limiti massimi di legge per il lavoro giornaliero e settimanale: di operatività ove il dipendente riceve direttive e deve svolgere l’attività lavorativa, anche coordinandosi con i colleghi; di contattabilità ove può essere contattato; di inoperabilità (ossia disconnessione che coincide con le 11 ore consecutive di riposo), ove il dipendente non può lavorare, né leggere email o rispondere a messaggi o al telefono.

Sembra che al lavoratore in remoto possa essere riconosciuta una indennità a forfait per i costi di collegamento (su piattaforma fornita dal datore di lavoro) e di elettricità.

Tali linee guida saranno la base per il nuovo contratto collettivo nazionale del settore pubblico che avrà concrete ripercussioni anche sul settore privato. Prevedono la stipula di accordi individuali che regolamentino il diritto in esame.

6. Per concludere

In genere, nel settore pubblico e nel settore privato si sta andando verso un sistema ibrido il che significa che il lavoratore effettuerà la sua attività in parte in ufficio e in parte da remoto.

Nonostante il sicuro positivo impatto, tale quadro normativo non soddisfa pienamente le aspettative perché non è stata riorganizzata la materia in una disciplina organica, innestandosi il D. L. 30/2021 sul precedente D. lgs. 81/2017. Anche nel caso dello smart working, emerge con estrema chiarezza che, da un lato, il fattore tecnologico sia solo il fattore abilitante di questa radicale evoluzione delle complesse modalità esecutive di molte forme di lavoro e che, dall’altro, sarà sempre più richiesta una adeguata formazione: in tutto ciò, le persone mantengono la centralità nel processo di trasformazione.

Le tecnologie oggi utilizzate evolveranno ulteriormente sotto la spinta di esigenze applicative molto chiare (Full Mobility, Unified Communication & Collaboration, Social Computing) e l’Intelligenza Artificiale apporterà il suo contributo nell’estrazione di valore dai dati scambiati, ma si rivelerà decisivo, per arrivare a un equilibrio che aiuti le persone a favorire la crescita della propria produttività e, al contempo, a conciliare i tempi di vita e lavoro, ripensare e regolare in modo anche giuridicamente coerente i nuovi modelli organizzativi aziendali.

Riferimenti normativi

L. 22 maggio 2017 n. 81; Dlgs 101/2018; Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 (Pdf 1 Mb) – Convertito con modificazioni nella Legge 24 aprile 2020, n. 27; L.13 marzo 2021 n. 20; Decreto Legge 22 aprile 2021, n. 52; circ. 02 agosto 2021 Ministero del Lavoro; DPCM 24 settembre 2021.

Autore

  • Laureata in diritto tributario all’Università degli Studi di Milano, è avvocato dal 1993. Ha maturato esperienza nel settore del diritto civile, commerciale, giuslavoristico, tributario. Si occupa di gestioni patrimoniali, personali e aziendali, con particolare riguardo al diritto immobiliare e successorio. È anche specializzata nel diritto di famiglia e nel diritto penale minorile. Ha partnership con studi commerciali, tributari e notarili. È curatore presso la sezione fallimenti del Tribunale di Milano e ha maturato esperienza nella trattazione delle crisi aziendali. Quale consulente di impresa, affronta negoziazioni in ogni campo (tra cui contratti di appalto, fornitura, affitto e acquisizioni) con particolare accento sulle metodologie proprie della risoluzione alternativa delle controversie.