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Dalla teoria della regressività sociale a un ripensamento del lavoro agile, tra stereotipi di genere ed esigenze di conciliazione

1. Introduzione

Durante la prima fase di confinamento domestico dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19 la popolazione ha trascorso un tempo in casa che in precedenza non aveva mai sperimentato. Chi ha immaginato che questo avrebbe condotto a un miglioramento generalizzato e a una più equa gestione del lavoro domestico e di cura, e dunque alla conciliazione tra lavoro retribuito e non, ha dovuto in seguito riconsiderare l’esperienza in ragione del costo sociale della sperimentazione di un lavoro agile deregolamentato in un ambiente ancora fortemente permeato da stereotipi di genere. Di fatto, nel 2020 si ipotizzarono ottimisticamente molte tendenze. Tra queste anche un aumento delle nascite, ormai in netto declino da tempo (ISTAT 2021[1]) mentre venne successivamente registrata, proprio in quel periodo, la più bassa natalità dal 2003, con un valore di 1,24 figli per donna in media. Naturalmente non si possono attribuire alla pandemia tutte le colpe dei nostri attuali deficit sociali, come quello della scarsa natalità, ma si può certamente affermare che quel periodo non rappresentò un momento di slancio nella pianificazione familiare, dato che molte coppie percepirono il 2020, probabilmente a causa di una insicurezza anche ontologica prodottasi in quel frangente, addirittura come il momento meno opportuno per un progetto di procreazione. Senza dubbio anche le carenze del welfare nazionale contribuirono a scoraggiare la pianificazione della nascita di un figlio, perché ancora oggi in Italia la maternità è vista come uno svantaggio in termini occupazionali e reddituali. Ciò perché gli oneri di cura e assistenza familiare permangono fortemente a carico delle donne, e persiste l’immagine dell’uomo come produttore di reddito. Un recente studio demografico sulle differenze tra Paesi ad alto reddito in materia di nascite in epoca pandemica[2] ha infatti dimostrato che sono proprio i Paesi con minore supporto di welfare ad aver sofferto maggiormente di un calo della natalità che si configura ormai senza freni. Dunque, nemmeno la possibilità di lavorare in modalità agile ha potuto arginare questo fenomeno demografico, purtroppo smentendo le speranze iniziali che vedevano nell’inedita opportunità della pandemia la possibilità di una maggiore conciliazione tra oneri lavorativi, familiari e personali.

2. Il lavoro agile al tempo del Covid19

Quello che è accaduto tra le mura domestiche, in particolare nel corso del lockdown, spiega in buona parte perché le potenzialità di una modalità lavorativa innovativa – sebbene in realtà prevista per legge fin dal 2017[3] – possano oggi soddisfare solo in parte le aspettative di miglioramento della qualità della vita. Senza dubbio, la minor frequenza di spostamenti tra casa e lavoro ha determinato un vantaggio sia in termini di tempo sia di impatto sull’ambiente, nonché rispetto al consumo di risorse energetiche. Tuttavia, è doveroso evidenziare quanto emerso dagli studi condotti dal gruppo di ricerca Mutamenti Sociali, Valutazione e Metodi (MUSA) del Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali (CNR-IRPPS) nell’ambito dell’Osservatorio sui Mutamenti Sociali in Atto (MSA-COVID19)[4], ovvero che i riflessi dell’organizzazione casalinga in occasione della sperimentazione di questo particolare modus lavorativo sono stati diversi per uomini e donne. Queste ultime, infatti, si sono trovate alle prese con una organizzazione quotidiana addirittura più complessa del passato, soprattutto in presenza di figli in età scolare, in particolare in età d’infanzia e preadolescenza, anche per via della didattica a distanza, che è stata una modalità emergenziale di continuità della didattica scolastica che si è però svolta a lungo e in assenza di pianificazione. Sono inoltre molti i dati che dimostrano che queste divergenti tendenze di genere debbano essere imputate, tra gli altri aspetti, al fatto che durante il periodo del lockdown, proprio le donne hanno subito un aggravio di oneri di natura domestica e di cura dovuto all’assenza del supporto delle reti amicali e parentali[5].

I dati prodotti nel corso dei primi mesi della pandemia dall’Osservatorio MSA-COVID19[6] indicano che i primi ad aver avuto accesso ad una modalità di lavoro mista, agile e in presenza, e dunque ad abbandonare l’isolamento domestico, sono stati prevalentemente gli uomini. Ciò ha determinato un ulteriore aggravio delle incombenze familiari sulle donne, indotte in tal modo a proseguire con la modalità di lavoro a distanza e al contempo ad assolvere al disbrigo di ogni onere di cura della casa, dei figli, delle persone anziane e in stato di fragilità. Già nella seconda fase della pandemia, quando è stata realizzata la seconda indagine dell’Osservatorio, contestualmente ad un incremento del numero di donne che hanno lavorato da casa, sono infatti sensibilmente diminuiti gli uomini in lavoro agile.

Sempre secondo la prima indagine dell’Osservatorio MSA-COVID19, nonostante la quasi totalità degli impegni extra domestici siano venuti meno nel corso del lockdown, il 25% delle donne che hanno lavorato da casa ha avuto meno tempo libero a disposizione rispetto al passato, contro il 15,8% degli uomini in lavoro agile. Guardando alle donne e agli uomini che si sono recati nella propria sede lavorativa durante le stesse settimane, le percentuali di chi ha dichiarato di avere meno tempo libero del solito corrispondono rispettivamente al 15,5% delle lavoratrici e all’11,2% dei lavoratori. A sostegno della “teoria della regressività sociale” da Covid-19 formulata dal gruppo MUSA al termine del 2020, peraltro, tra la prima e la seconda indagine si è registrato addirittura un peggioramento della condizione delle lavoratrici agili. A distanza di poco più di un mese dall’inizio del lockdown di marzo 2020, la quota di quante hanno fruito di meno tempo libero del solito si è infatti attestata al 31,9%, contro il 16,9% degli uomini in lavoro agile, ed è possibile ipotizzare che se il lockdown si fosse ulteriormente protratto questa forbice si sarebbe ancor più allargata.

3. Regresso culturale e crisi economica

Quali sono le cause che hanno generato il rafforzamento degli stereotipi di genere e di conseguenza un ulteriore irrigidimento dell’idea dell’esistenza di ruoli sociali “naturali” maschili e femminili? La risposta a questa domanda, come sempre nel campo delle scienze sociali, non può che essere complessa, perché dipende dal tipo di socializzazione esperita, dall’ambiente e dalle interazioni, dalla cultura di cui si è portatori così come dal lavoro svolto. Per i non addetti ai lavori più che le cause sono evidenti gli effetti, nonostante questi siano ancora oggi ritenuti, appunto, “normali” per molte persone. E guardando agli effetti non si può negare che sul piano culturale la donna, nell’ambito della coppia, sia ancora la figura maggiormente deputata a svolgere le mansioni domestiche e il lavoro di cura. L’evoluzione positiva verso la parità di genere che si è innescata circa mezzo secolo fa e che è proseguita molto lentamente nel corso del tempo, ha avuto quindi, a partire da marzo 2020, ovvero dall’inizio della pandemia in Italia, una forte battuta di arresto.

Volendo puntare alla causa primaria di tutto questo, si deve far riferimento agli stereotipi di genere. Anche questi possono essere definiti un virus, che produce effetti tanto sintomatici quanto spesso invisibili per chi non ha maturato una riflessione critica in tal senso. Gli stereotipi sono in tutti i casi semplificazioni della realtà sociale, trappole cognitive che ci inducono in false generalizzazioni da cui si originano comportamenti deterministici e fortemente impermeabili alle disconferme sociali delle convinzioni maturate, e cioè delle informazioni di cui sono portatori gli stessi stereotipi. Agli stereotipi di genere aderiscono dunque ancora oggi tutti, con certamente una prevalenza degli uomini talvolta dettata da opportunismo, ma altre volte da cecità cognitiva. La persistenza di una cultura italiana che in particolare in ambito familiare produce una socializzazione diversificata per bambini e bambine si è fatta ancora più evidente nel corso del lockdown. Il confinamento domestico è equivalso al confinamento di donne e uomini in ruoli di genere cosiddetti tradizionali e tali da indurre ad assumere specifici comportamenti sulla base del sesso di appartenenza e di una presupposta subalternità delle donne agli uomini[7]. L’osservazione del contesto italiano è stata particolarmente interessante nel periodo del lockdown proprio per via dell’ancora elevata stereotipia di genere[8]. Gli stereotipi di genere sono emersi nelle indagini dell’osservatorio sotto forma di rafforzamento dell’idea che sia compito dell’uomo mantenere la famiglia e coltivare la carriera lavorativa, mentre alla donna spetterebbero le incombenze domestiche e gli oneri di cura e assistenza verso figli e parenti. Non dimentichiamo, peraltro, che sono proprio questi stereotipi a determinare in tanti casi la nascita di un vero e proprio pregiudizio nei confronti del ruolo sociale femminile, e spesso della violenza maschile nei confronti delle donne. In particolare, nel periodo critico del lockdown, è anche emersa la tendenza a ritenere l’uomo più degno di attenzioni. Così le donne hanno offerto ai propri partner maschi valvole di sfogo, come la possibilità di uscire al loro posto per sopperire a varie esigenze domestiche. Ma la cosa peggiore è stata l’idea che in quel momento è venuta alla ribalta, per la quale la donna, confinata in casa, potesse finalmente “riacquistare il suo ruolo naturale di madre e moglie”. Di questo orientamento in Italia furono 4 uomini su 10 e 3 donne su 10, e ciò testimoniò la forte, attuale e pressoché sessualmente indistinta, occulta pervasività degli stereotipi di genere.

Il rapido riaffiorare dello svantaggio femminile dato dal differenziale sociale tra donne e uomini nella divisione del lavoro domestico e di cura rischia dunque di dimostrare il fallimento di una rivoluzione culturale di genere che si riteneva essere giunta già a buon punto. Il ricorso al lavoro agile, spinto dall’esigenza di non frenare le attività economiche e lavorative anche durante il distanziamento forzato, ha certamente accelerato la transizione verso approcci produttivi nuovi e opportuni e su larga scala, ma a causa dell’“adolescenza culturale” italiana ha mostrato anche forti rischi nella pratica[9]. L’aver constatato, attraverso gli studi dell’Osservatorio MSA-COVID19, che già a fronte di pochi giorni di confinamento domestico le abitudini di genere stereotipate sono riaffiorate nella vita degli italiani, rigenerando un’evidente regressione di tendenza ad esempio nella distribuzione degli oneri domestici, è sintomatico dell’assenza di una maturità culturale strutturata sotto il profilo della parità di genere, che è stata infatti subito destabilizzata dall’incertezza e dall’intensificarsi di emozioni primarie negative[10].

4. Ripensare la società

L’ipotesi che la flessibilità di un lavoro agile deregolamentato, in un contesto pervaso dagli stereotipi di genere e in assenza di servizi a supporto della conciliazione tra vita privata e lavorativa, rischia di favorire la discriminazione e la segregazione delle donne, sia in casa sia nel mercato del lavoro, è dunque quanto mai concreta. Ed è venuta alla luce con maggiore evidenza proprio nel periodo di distanziamento forzato, che ha reso possibile e dimostrato di facile attuazione questo modus lavorativo.

Entrando nel merito degli effetti del lavoro agile in ambito lavorativo, sono esemplificativi i risultati di un’altra indagine recentemente condotta dal gruppo di ricerca MUSA del CNR-IRPPS su commissione del Comitato Unico di Garanzia del CNR, l‘indagine Obiettivo Benessere, che rappresenta i lavoratori e le lavoratrici della più grande comunità scientifica del Paese. Al fatto che molte donne, svolgendo da casa la propria professione, siano state sobbarcate da ulteriori oneri di cura e accudimento, si è aggiunta la constatazione che le donne con il lavoro agile hanno anche aumentato più degli uomini sia la quantità del lavoro sia la produttività (rispettivamente il 54% contro il 44% degli uomini e il 49% contro il 44% degli uomini). Con la pandemia, pertanto, l’oggettivo svantaggio femminile nel mercato del lavoro oltreché nella società è tornato ad emergere con vigore portando alla ribalta convincimenti condivisi da un’ampia fascia della popolazione. La parità di genere, promossa nel corso degli ultimi decenni sotto la spinta di un cambiamento culturale che ha avuto senza dubbio uno dei suoi motori principali nelle correzioni di rotta apportate dalla neutrale socializzazione scolastica, ha dunque fatto nel 2020 una sorta di passo del gambero.

L’incertezza, l’insicurezza e la paura che furono connesse al tempo sospeso del confinamento domestico furono erroneamente alleviate dall’idea di potersi rifugiare in una condizione collaudata e latente, in quanto socializzata, che ha identificato nell’adesione incondizionata agli stereotipi il ritrovamento di un ambiente familiare rassicurante, semplice, geometricamente delimitato dai binari sociali maschili e femminili[11]. Lo sforzo collettivo di uscire fuori da schemi preconcetti che continuano a infierire sulle reali possibilità di emancipazione femminile è stato così in pochi giorni messo a dura prova, dimostrando quanto fosse ancora labile lo stato di parità di genere che ci si illudeva di aver in gran parte raggiunto.

Vero è anche che la pandemia è stata una formidabile occasione per ripensare alle dinamiche sociali, sopite dall’apparentemente immutabile andamento della vita quotidiana. Il repentino cambiamento negli stili di vita, pur non dimenticando gli aspetti negativi che ha comportato, ha anche offerto la possibilità di ripensare, non solo teoricamente, quanto la sorte possa accumunare talvolta tutti gli individui, e dunque l’importanza del raggiungimento di pari dignità nel tessuto sociale, indipendentemente dal proprio status, così come dal genere. Superata la pandemia, e il suo shock post-traumatico, si dovrebbe dunque quanto mai riflettere sull’opportunità di iniziare concretamene a ritenere gli individui neutrali dal punto di vista del genere, contrastando in modo più incisivo l’idea dell’esistenza di ruoli sociali pre-confezionati. Mentre gli studiosi di scienze sociali continueranno a ripetere questo mantra all’infinito, smascherando i condizionamenti che creano le opinioni e che spingono all’azione, l’auspicio è che si produca quanto prima un allineamento di interessi tra mondo della politica, del lavoro e società civile per il superamento delle discriminazioni. Il lavoro agile è un’occasione ormai concreta per andare in questa direzione, ma affinché non si traduca in un ulteriore elemento di rischio segregativo per la popolazione femminile, si profila una impellente necessità di crescita e di maturità culturale, finora evidentemente mai raggiunta.

Note

[1] https://ilbolive.unipd.it/it/news/pandemia-calo-nascite-piu-marcato-dove-welfare.

[2] A. Aassve, N. Cavalli, L. Mencarini, S. Plach, S. Sanders, Early assessment of the relationship between the COVID-19 pandemic and births in high-income countries, in «PNAS», 2021 118 (36) e2105709118, DOI: 10.1073/pnas.2105709118.

[3] Legge 22 maggio 2017, n. 81 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

[4] Nell’ambito dell’Osservatorio, il gruppo di ricerca Mutamenti Sociali, Valutazione e Metodi (MUSA) del CNR-IRPPS ha condotto due indagini a livello nazionale: la prima è stata effettuata a cavallo tra marzo e aprile 2020, raccogliendo 140.656 interviste, mentre le seconda – che è stata effettuata al fine di disporre di un set comparativo di dati rispetto alla prima indagine – tra aprile e maggio 2020, totalizzando 4.523 rispondenti; http://www.irpps.cnr.it/osservatorio-msa-covid19.

[5] Cfr. T. Lyttelton, E. Zang, K. Musick, Gender differences in Telecommuting and Implications for Inequality at Home and Work, 2020, Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=3645561 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3645561; L. Farré, Y. Fawaz, L. González, J. Gaves, How the COVID-19 Lockdown Affected Gender Inequality in Paid and Unpaid Work in Spain, in «IZA», 2020, Discussion Paper No. 13434; V. Galasso, COVID: Not a Great Equalizer, in «Cesifo Economic Studies», 2020, ifaa019, https://doi.org/10.1093/cesifo/ifaa019; UN Women, Policy Brief: The Impact of COVID-19 on Women, 9 April 2020.

[6] A. Tintori, L. Cerbara, G. Ciancimino, Gli effetti del lavoro agile nel corso del lockdown del 2020 in Italia. Tra opportunità e alienazione, in «Analysis», Patron Editore 1 (2021), pp. 33-43, ISSN 1591-0695.

[7] A.H. Eagly, S.J. Karau, Role congruity theory of prejudice toward female leaders, in «Psychol Rev», 109 (2002), pp. 573-598; S.D. Witt, Parental influence on children’s socialization to gender roles, «Adolescence»; 32 (1997), pp. 253-259; A. Tintori, G. Ciancimino, A. Oksay, S. Senal, G. Bulgan, D. Büyüker, L. Cerbara, Comparing the influence of gender stereotypes on well-being in Italy and Turkey during the COVID-19 lockdown, in «European Review for Medical and Pharmacological Sciences», 24 (24) (2020), pp. 13037-13043 [DOI: 10.26355/eurrev_202012_24209].

[8] L.K.C. Manzo, A. Minello, Mothers, childcare duties, and remote working under COVID-19 lockdown in Italy: Cultivating communities of care, in «Dialogues in Human Geography», 10(2) (2020), pp. 120–123 https://doi.org/10.1177/2043820620934268; P. Brunori, M.L. Maitino, L. Ravagli, N. Sciclone, Distant and Unequal. Lockdown and Inequalities in Italy, «Working Papers – Economics wp2020»,_13.rdf, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa, 2020.

[9] A. Tintori, L. Cerbara, G. Ciancimino, R. Palomba, The spread of gender stereotypes in Italy during the COVID-19, in 4th International Conference on Gender Research ICGR 2021, Academic Conferences International. Doi: 10.34190/IGR.21.019.

[10] L. Cerbara, G. Ciancimino, M. Crescimbene, F. La Longa, M.R. Parsi, A. Tintori, R. Palomba, A nation-wide survey on emotional and psychological impacts of COVID-19 social distancing, in «European Review for Medical and Pharmacological Sciences», 24 (12) (2020), pp. 7155-7163, DOI: 10.26355/eurrev_202006_21711.

[11] Cfr. nota 9.

Bibliografia

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Autore

  • Sociologo, dottore di ricerca in geografia economica, referente del gruppo di ricerca Mutamenti Sociali, Valutazione e Metodi (MUSA) del CNR-Irpps, già docente di metodologia delle scienze sociali presso l’Università La Sapienza di Roma e presidente del Comitato Unico di Garanzia del CNR. Svolge attività di ricerca scientifica in campo psicosociale studiando atteggiamenti e comportamenti di gruppi di popolazione, con particolare riferimento ai giovani e al genere rispetto a interazione e integrazione, devianza e condizionamenti sociali. Si occupa di divulgazione scientifica ed è autore di libri e di numerose pubblicazioni scientifiche.

  • Statistica, ricercatrice CNR e membro del gruppo di ricerca Mutamenti Sociali, Valutazione e Metodi (MUSA) del CNR-Irpps, già docente di Statistica SECS01 per l’Università La Sapienza di Roma e membro SISTAN settore Popolazione e famiglia, condizioni di vita e partecipazione sociale. Membro del GdL per la stesura del Bilancio e Piano di Genere del CNR e del GdL per la stesura del Codice di comportamento contro le molestie sessuali e morali del CNR. Svolge ricerca in ambito demografico e sociale attraverso l’uso di metodologie statistiche per la produzione e l’analisi dei dati. È autrice di diverse pubblicazioni scientifiche in volumi e articoli di riviste.

  • Laureata in Economics for Development all’Università La Sapienza di Roma, collabora in qualità di assegnista di ricerca alle attività del gruppo di ricerca Mutamenti Sociali, Valutazione e Metodi (MUSA) del CNR-Irpps. Attualmente membro dell’Osservatorio sulle Tendenze Giovanili e dell’Osservatorio sui Mutamenti sociali in Atto Covid-19, autrice di pubblicazioni su riviste internazionali, ha collaborato a volumi e partecipato a convegni e seminari in materia di comportamenti e atteggiamenti della popolazione, in particolare di bambini e adolescenti.