Intervista a Riccardo Tosi a cura di Tiziana De Marino
Il modo di lavorare negli ultimi anni è cambiato molto velocemente. Quali sono i cambiamenti maggiori che vedi nella realtà del virtuale?
Lo smart working, ed il lavoro virtuale in generale, hanno messo in discussione vari aspetti del complesso mondo del lavoro in ufficio, fino a toccarne alcuni profili sociali e antropologici; ne cito solo alcuni a titolo esemplificativo:
- ritualità e liturgia tipiche del lavoro in ufficio scompaiono o vengono rielaborate;
- sfuma il confine tra il “me” attore nel contesto dell’ufficio e il “me” nel contesto familiare, affettivo e sociale in generale;
- il quotidiano irrompe spesso nella vita lavorativa, a volte incontrollabilmente.
Soprattutto per noi lavoratori “latini” il complesso sistema di relazioni con un significativo portato di corporeità si fa più labile per essere ‒ quando non sostituito ‒ fortemente complementato da una relazione frontale ‒ nel migliore dei casi tramite un video ‒ che riduce una serie di indicatori para-verbali, e in prima istanza focalizza la relazione sui contenuti.
Questo porta con sé il venir meno ‒ o comunque l’affievolirsi ‒ di alcune leve tradizionali di gestione delle persone sul “luogo” di lavoro, con molti aspetti sani e benefici, molte sfide in termini di ripensamento di ruoli e relazioni, ma anche numerose aree di attenzione e rischi potenziali in termini di benessere, crescita e sviluppo delle persone e dei contesti lavorativi in generale.
In che modo cambia la gestione dei team di lavoro, in presenza e a distanza?
Il lavoro virtuale porta senza dubbio alcuni fattori di significativo miglioramento; tra i vari, ne cito un paio che ho rilevato come gestore di team internazionali, e che sono tipici di contesti “corporate” (certamente esperienze su team più radicati in realtà territoriali sono profondamente diverse, quindi quanto condivido non è certo esaustivo né condivisibile in assoluto).
Il primo è un buon efficientamento della giornata lavorativa: l’organizzazione delle giornate e settimane lavorative diventa più cogente, le riunioni sono mediamente più efficaci e più brevi; in generale c’è meno la dispersività che era un po’ connaturata a realtà meno operative e più di governance. Il secondo è una migliore equiparazione nella gestione dei team degli altri paesi appartenenti al Gruppo internazionale rispetto ai team italiani: nell’allontanarci dai gruppi italiani ci siamo avvicinati a quelli esteri, in virtù di un training forzato negli strumenti di relazione a distanza, che erano sempre stati considerati come meno efficaci e secondari.
D’altra parte, il lavoro in presenza comporta contatti interpersonali più frequenti e spontanei, mentre nel lavoro virtuale le interazioni richiedono una maggiore programmazione (se si eccettua la relazione tramite chat aziendali, che però mi pare siano solo un surrogato).
Quali sono gli impatti positivi del lavoro da remoto che hai osservato? Quali quelli negativi?
Parlando della prospettiva della lavoratrice o del lavoratore, non c’è dubbio che il lavoro a distanza abbia dischiuso possibilità prima quasi inconcepibili; la giornata si flessibilizza, si abbattono barriere nella gestione dei tempi familiari e dei figli in particolare (pensiamo solo a semplici incombenze come prendere i bambini a scuola o accompagnarli nelle attività pomeridiane: pur in un equilibrio funambolico ‒ soprattutto nelle grandi città ‒ i genitori hanno sicuramente potuto incrementare il presidio).
Anche la localizzazione geografica è divenuta meno penalizzante per tutte quelle persone che, pur gravitando sull’headquarter delle Corporate, avevano continuato a vivere nelle cittadine di provincia di cui erano tipicamente originari, con ingenti sforzi e sacrifici di una vita di commuting, spesso lontano dalle famiglie.
Parlando invece di aspetti negativi, il valore aggiunto portato dal lavoro di gruppo in presenza non può essere replicato con il lavoro a distanza, quantomeno non con lo stesso livello di efficacia e soddisfazione: lavorando insieme (in presenza intendo) le persone raggiungono infatti un livello superiore di coesione, si scambiano idee senza diaframmi digitali, fanno decisamente più leva sulla componente creativa.
Sono solo un paio di esempi, che poi ci portano quasi inevitabilmente a pensare ad un sistema di lavoro misto.
Secondo te, c’è differenza tra uomini e donne nel modo di lavorare a distanza? La tua gestione all’interno dei team cambia di fronte a questa differenza?
Penso in generale che la gestione delle persone sia incentrata sulle differenze, da quelle di genere e culturali a quelle più strettamente emotive e personali.
Non penso in base alla mia esperienza di poter legare al genere in modo statisticamente significativo maggiori o minori fragilità o difficoltà a gestire l’attività da remoto.
Di certo si impone ‒ date le possibilità offerte dalla tecnologia ‒ la massima disponibilità di un gestore alle esigenze di cura, in particolare dei figli o delle persone fragili fra i legami del collaboratore. Se questi aspetti in una famiglia fossero più demandati ad esempio alla madre, sarebbe inevitabile che di ciò si debba tenere la più grande considerazione.
Come dare centralità alle relazioni, in azienda, di fronte alla sfida del virtuale? Come vedi evolvere la profondità delle relazioni tra persone nell’ambiente lavorativo? In particolare sul tema di costruire fiducia sul lavoro nel medio termine?
Questo è un tema cruciale, che investe la società intera, e rispetto al quale la riflessione merita di essere ben più approfondita delle considerazioni piuttosto circoscritte e parziali che posso fare nel mio piccolo di gestore di persone. Alcuni elementi tuttavia meritano attenzione, ad esempio:
a) la gestione virtuale del lavoro favorisce una maggiore “democratizzazione” delle relazioni in azienda, sfumando alcuni caratteri burocratici e direi in alcuni casi feudali dei contesti lavorativi;
b) essa privilegia la relazione 1 a 1 rispetto alla relazione 1 a molti, il che aiuta a mitigare certe forme di narcisismo tipiche dei responsabili, richiedendo che ci si metta in gioco reciprocamente in misura maggiore;
c) la mitigazione della sfera di influenza del “luogo ufficio” aiuta a bilanciare work-life balance e possibili soggezioni rispetto a stili e modi di agire mainstream.
Sono, in via assolutamente non esaustiva, possibili punti di partenza per fare passi avanti, o in altri termini, ancoraggi rispetto ai molti rischi di disgregazione relazionale che possono annidarsi in approcci al lavoro virtualizzati.
Anche il tema della fiducia è macroscopico, perché investe un aspetto intrinsecamente duplice del lavoro: da un lato forza creativa che può contribuire a definirci come persone e a nobilitarci (pensiamo all’articolo 1 della Costituzione), dall’altro strumento di controllo finalizzato al profitto delle Corporate. Lo spazio della fiducia è un alveo tra questi due aspetti in cui incanalare il potenziale umano, e condividere le proprie energie su principi di trasparenza, guardando al beneficio più ampio degli stakeholder e della comunità. Se penso alla mia industry ad esempio vedo questo spazio nel contributo alla transizione energetica e allo sviluppo sostenibile.
Come monitorare la crescita delle proprie risorse nella gestione del lavoro a distanza?
Per quanto detto sopra, sotto alcuni aspetti, l’attività di osservazione e valutazione di performance e sviluppo professionale acquisisce in un contesto virtuale una maggiore oggettività e focus sui contenuti, ed in quanto tale possibilmente è meno affetta da biases.
Non va trascurata però l’importanza di imporsi una disciplina nel fare regolarmente incontri dedicati allo sviluppo delle persone con cui si collabora: l’agenda può diventare tirannica, e bisogna evitare che tali momenti di confronto passino in secondo piano. Poi, sarà una banalità, bisogna ascoltare chi si ha di fronte.
In generale, le persone richiedono cura. Una delle maggiori sfide è mantenere un decente livello di attenzione a ciascuno, cogliendo da segnali deboli eventuali fragilità, esigenze di indirizzare il percorso, lavorare su un orizzonte di senso che tende a sgretolarsi con facilità.
Che iniziative ha messo in campo in Enel a supporto della gestione dei team a distanza?
In Enel c’è una larga condivisione su elementi di cultura aziendale quali la fiducia, la delega, l’empowerment dei team di lavoro; da queste premesse, abbiamo colto i vantaggi in termini di flessibilità e work-life balance portati dal lavoro smart e virtuale; allo stesso tempo c’è la consapevolezza che alcuni snodi critici dell’attività lavorativa quali le fasi di start-up e sviluppo di progetti complessi, l’onboarding di neoassunti, e più in generale le attività ad alto contenuto relazionale richiedono anche una presenza fisica in ufficio. Per questo il Gruppo si è mosso verso un modello ibrido, che prevede un equilibrio tra lavoro virtuale e lavoro in ufficio, con un’ampia flessibilità per i team di lavoro di auto-organizzare le proprie settimane. È un modello che spinge fortemente al lavoro per obiettivi, alla responsabilizzazione e alla proattività, con una idea di leadership rinnovata, per la quale il responsabile deve sempre più cambiare paradigma manageriale, da supervisore a coach.
Gestione della relazione virtuale al lavoro e in famiglia: quali similitudini possibili riconosci?
Ripensando al primo lockdown in Italia, e alla barriera che impose tra i singoli nuclei famigliari ed il resto del mondo, non c’è dubbio che la virtualizzazione delle comunicazioni ci abbia messo in condizione di mantenere un rapporto a distanza con i nostri cari. Oggi abbiamo quindi le leve per coltivare legami importanti anche quando le nostre storie ci allontanano fisicamente. Nel 2020 molti di noi fecero leva sulla forza di quelle relazioni affettive per superare difficoltà sconosciute ai più; allo stesso modo, le relazioni lavorative maturate e consolidate in anni di attività “spalla a spalla” furono le fondamenta su cui si costruì buona parte del successo di questa nuova “way of working”.
Le relazioni, anche quelle più consolidate, hanno però bisogno di “manutenzione”; una relazione lavorativa, poi, che inizi in forma solo virtuale ‒ penso ai tanti giovani che si sono affacciati sul mondo del lavoro in versione full smart working ‒ ha inevitabilmente delle lacune che devono essere colmate e complementate da una conoscenza diretta.
Curare la crescita ed il consolidamento di quelle relazioni è cruciale, pena un inevitabile affievolimento che non solo danneggerebbe la realizzazione personale, ma inciderebbe negativamente anche sulla capacità delle aziende di generare nuovo valore: resterebbe sì la piattaforma, ma sarebbe vuota.
Lavoro a distanza e conciliazione famiglia-lavoro: la tua esperienza di marito e padre in questo nuovo modo di lavorare?
Sotto l’aspetto pratico, abbiamo beneficiato del new way of working: pur essendo il mio un contributo marginale rispetto agli sforzi titanici di mia moglie, la possibilità di portare e riprendere i bambini, o di essere fisicamente presente qualora nasca una criticità domestica, hanno ormai un discreto valore (avendo quattro figli, a volte solo fare “il palo” in casa controllando magari la più piccola che dorme, nel turbinio delle attività quotidiane, è qualcosa su cui non si poteva contare solo fino a tre anni fa!).
Aumentano inoltre i piccoli momenti ‒ come quelli prima di iniziare la giornata lavorativa, o la pausa pranzo ‒ che per anni erano di fatto preclusi alle relazioni famigliari e che ora diventano occasioni di nutrimento della vita affettiva. I bambini poi, con la loro incontenibile e rumorosa necessità di attenzione, invadono spesso lo spazio del lavoro da casa: sono “disconnessioni” che mi aiutano a relativizzare e decontestualizzare la realtà lavorativa; chissà che questo non aiuti anche a trarne una lettura più lucida.