1. Premessa
All’interno della ricca analisi sul caregiving in Italia presentata da questo numero della rivista della Fondazione Marco Vigorelli, ci sembra utile aggiungere il punto di vista di chi ha una parte molto importante nella vita dei caregiver: le organizzazioni presso cui lavorano. Siamo convinti che l’atteggiamento dei datori di lavoro nei confronti dei bisogni fisici e psicologici dei caregiver, sia un fattore imprescindibile da considerare per capire la situazione in cui questi prestano la loro opera di cura e, come recita il titolo della rivista, cercare di “conciliare”.
Da anni ormai le aziende si stanno facendo carico delle manchevolezze di un sistema di welfare pubblico sempre più in difficoltà. è un trend che riguarda tutte le forme di supporto ai dipendenti, tra cui anche quelle a favore dei caregiver.
Vedremo qual è la situazione oggi e le iniziative che le aziende stanno portando avanti e cercheremo di interpretare un importante cambiamento di prospettiva che sembra delinearsi all’orizzonte. Useremo l’esperienza che negli anni l’Osservatorio Senior ha maturato sul tema grazie sia al contributo dei suoi sponsor, tra cui ci sono aziende e società di consulenza, sia per una specifica iniziativa voluta e portata avanti per qualche anno con alcune importanti realtà aziendali: il “Silver Value”, un audit auto-somministrato su una serie di parametri che descrivono il modo in cui le organizzazioni trattano il personale over 55 che, come vedremo, rappresenta la parte preponderante dei caregiver. Per raccogliere dati e opinioni abbiamo poi intervistato responsabili aziendali e consulenti che si occupano di welfare e D&I.
L’articolo si sviluppa in quattro parti: la situazione oggi in Italia; le iniziative delle aziende; una prospettiva che sta cambiando; considerazioni finali.
2. La situazione oggi in Italia
La figura del caregiver familiare (letteralmente “prestatore di cura”) identifica la persona, in genere un famigliare, responsabile di un altro soggetto dipendente di cui si prende cura in un ambito domestico. Si distingue dal caregiver professionale (o badante), un assistente familiare retribuito che accudisce la persona non autosufficiente sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare.
Quanti sono i caregiver familiari in Italia distinguendoli da quelli professionali? I dati pubblicati non sempre distinguono tra le due categorie, ma incrociando le informazioni possiamo fare delle ipotesi realistiche.
Il Corriere salute dell’11 Dicembre 2023, citando il rapporto Istat 2021 «Le condizioni di salute della popolazione anziana in Italia», riporta che gli anziani non autosuffcienti in Italia sono 3,8 milioni, l’81% di tutti gli individui non autosufficienti. Le proiezioni dicono che nel 2030 saranno 4,4 milioni e, nel 2050, 5,4.
Gli anziani assistiti da badanti o in una RSA sono circa 1.850.000 (Il Sole 24 Ore – Info Data, 13 luglio 2023). Possiamo ipotizzare quindi, che circa 2.000.000 di anziani non autosufficienti vengano assistiti direttamente in famiglia, a cui si aggiungono circa 800.000 individui non autosufficienti non anziani.
Sempre il Corriere salute nell’articolo citato, riporta che al crescere dell’età aumenta progressivamente la quota di anziani con severe limitazioni funzionali: tra i 65-74enni è al 14,6%, raddoppia al 32,5% tra gli anziani di 75-84 anni e quadruplica tra gli ultra ottantacinquenni (63,8%). Il che significa che una parte importante di questi 2.000.000 di anziani curati in famiglia sono seguiti da famigliari progressivamente a loro volta più anziani ma spesso ancora lavoranti.
L’impatto della cura di individui non autosufficienti sui lavoratori maturi, che già oggi è importante, progressivamente aumenterà data la curva demografica italiana. A questo proposito scrive Alessandro Rosina docente di demografia all’Università Cattolica di Milano in una scheda a commento del Report Silver Value dell’aprile 2022 sulla evoluzione dell’occupazione matura: «A parità di occupazione maggiore è la crescita in valore assoluto dei lavoratori maturi, dato il maggior sbilanciamento demografico italiano non solo nella popolazione in generale ma anche della forza lavoro, verso le età più mature».
Una conferma empirica l’hanno fornita i nostri intervistati che alla domanda su chi in prevalenza frequenta le attività proposte per i caregiver, in grande maggioranza hanno risposto “Praticamente tutti anziani”.
Ad accrescere la problematicità della situazione per i datori di lavoro c’è che il personale anziano spesso è anche più esperto, con tutte le difficoltà che possono derivare dall’avere personale importante per il buon funzionamento operativo “distratto” e fisicamente e psicologicamente affaticato (Secondo una ricerca di D.A.L.I.A. e CNA Emilia Romagna i caregiver interpellati denunciano stanchezza all’80% e insonnia al 50%).
3. Le iniziative delle aziende
Nella quasi totalità delle aziende, i programmi rivolti ai caregiver rientrano nella voce “Welfare per i dipendenti” che si articola in genere in quattro grandi aree: Sanità, Previdenza, Politiche sociali, Istruzioni. Una ricerca presentata nel febbraio di quest’anno da ELITE-Gruppo Euronext dal titolo “Il valore dei programmi di employee benefits per la talent retention” riporta alcuni dati sugli investimenti in welfare.
‒ Nel post-pandemia gli impegni economici sono aumentati anno su anno, sia da parte delle aziende sia delle famiglie. Per esempio nel 2022 l’investimento medio per dipendente in un progetto di welfare è stato maggiore del 10,6% rispetto al 2021.
‒ Il rapporto tra le spese in welfare dello stato, delle famiglie e delle aziende è il seguente:

‒ Tra tutte le componenti del welfare, i benefit relativi all’assistenza di famigliari non autosufficienti, anziani e non, è richiesta dal 18% dei lavoratori.
Nella citata ricerca di D.A.L.I.A. e CNA Emilia Romagna i caregiver ritengono che la conciliazione lavoro/cura possa essere favorita da: – Contributi spese di cura 22% – Assistenza familiare 21% – Flessibilità orari di lavoro 21% – Servizi di sollievo 12% – Part time 4% – Congedi lunghi 3% – Telelavoro 2% – Disbrigo pratiche 1%.
Ma quali sono i programmi a favore dei caregiver realizzati dalle aziende? Per rispondere a questa domanda abbiamo incrociato i dati di una tavola rotonda del 2021 sul caregiving organizzata dall’Osservatorio Senior a cui hanno partecipato una decina di aziende di grandi dimensioni, con le interviste realizzate appositamente per questo articolo.
Innanzitutto va rilevato che le aziende non sanno quanti sono i dipendenti caregiver perché la loro condizione, come specificato nella norma, è auto-dichiarata a meno che non rientri nelle casistiche specificate dalla legge 104. Questo significa che le direzioni del personale o si fidano delle auto-dichiarazioni dei lavoratori o non possono quantificare il numero dei caregiver presenti in Azienda.
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Elisa Rando Managing Consultant di MIDA esperta di D&I
In generale, le aziende spesso realizzano iniziative rivolte a tutti i dipendenti che hanno un impatto molto elevato sui budget disponibili. D’altra parte come si fa ad intervenire in modo mirato se non si conoscono i numeri e i bisogni? Spesso i caregiver non sono considerati una categoria di diversità a sé stante come il Gender, i Disabili, gli Extracomunitari, le Generazioni. A volte nemmeno le persone sanno di essere caregiver!
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Alessandra Miata CSR Head Italy di Capgemini
Ad oggi, oltre garantire le condizioni per l’accesso alla 104 non abbiamo iniziative di welfare specificamente rivolte ai caregiver proprio per la difficoltà ad identificarli. Abbiamo tuttavia una iniziativa per la raccolta di accomodamenti ragionevoli, rivolta a dipendenti con disabilità, che in prospettiva potrebbe essere aperta ai caregiver. In effetti credo che il tema sia proprio quello di comprendere se esistano esigenze specifiche, soprattutto in termini organizzativi, che richiedano interventi addizionali rispetto alle opportunità di lavoro flessibile offerte già a tutti i dipendenti.
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Donatella de Vita Global Head of Welfare, Engagement and DE&I Programmes di Pirelli
Dal 2022 tutto il personale ha a disposizione 8 gg/mese di lavoro in remoto, chi si dichiara caregiver ne ha 2 in più. Abbiamo scelto di considerare in modo uguale genitori di figli piccoli e caregiver in senso stretto, dando ad entrambi le stesse facilitazioni.
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Le iniziative che le aziende offrono ai caregiver possono essere catalogate in quattro grandi aree:
‒ Informazione. Dove il focus è informare sulle iniziative dell’azienda ma soprattutto togliere lo stigma che ancora è sentito da chi non è a suo agio nel dichiararsi caregiver. Pirelli, ad esempio, è dal 2018 che, tutti gli anni, invita i dipendenti a partecipare ad un webinar informativo.
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Donatella de Vita Global Head of Welfare, Engagement and DE&I Programmes di Pirelli
Forse da quest’anno non lo faremo più perché i partecipanti nel tempo si sono molto ridotti. Ma all’inizio è stato molto utile per preparare il terreno ai programmi avviati successivamente.
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‒ Formazione. Probabilmente, come spesso accade in tema di diversity, è l’area di intervento principale perché di sicuro effetto, controllabile e relativamente poco onerosa.
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Elisa Rando Managing Consultant di MIDA, esperta di D&I
Al solito si pensa che la formazione sia la panacea per tutto. La formazione ha soprattutto lo scopo di aiutare i caregiver a confrontarsi efficacemente con la difficile situazione in cui si trovano, sia dal punto di vista pratico/organizzativo sia psicologico e relazionale. In qualche caso è pensata per aiutarli a prendere coscienza che questo “secondo lavoro”, come spesso lo definiscono, è portatore di competenze che possono essere utili anche sul lavoro e nella vita in genere.
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Alessandra Miata CSR Head Italy di Capgemini
Abbiamo iniziato qualche anno fa un percorso formativo per i giovani genitori che poi abbiamo esteso a tutti i caregiver. Una sorta di master per coloro che fanno esperienza di cura. Le competenze di cui si parla non sono formalmente riconosciute dall’azienda per la crescita interna, ma il solo fatto di rendersi conto che ci sono e di razionalizzarle è un efficace leva di sviluppo e self-empowerment per le persone.
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‒ Supporto psicologico. In quest’area si collocano varie forme di ascolto individuale a largo spettro, tecnico-sanitario-psicologico, on-line o in presenza. In gran parte si tratta di iniziative rivolte a tutto il personale e non solo ai caregiver. Diverse organizzazioni hanno attivato iniziative di ascolto protetto: l’azienda mette a disposizione un certo numero di incontri a persona, in genere da 1 a 3 e una lista di professionisti, psicologi ed esperti, a cui chi lo desidera può accedere liberamente in modo anonimo.
‒ Supporto pratico e organizzativo. In quest’area rientrano gli aiuti economici e di supporto famigliare ed organizzativo. In particolare la flessibilità lavorativa, intesa sia come possibilità di lavorare in remoto sia di mobilità sui turni, ha avuto un significativo incremento dopo la pandemia.
4. Una prospettiva che sta cambiando
Nell’ultimo decennio, grazie alla pressione del tema “Sostenibilità”, è iniziato un cambiamento di prospettiva sull’importanza del benessere dei lavoratori, cambiamento che la pandemia ha accelerato in modo drammatico.
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Donatella de Vita Global Head of Welfare, Engagement and DE&I Programmes di Pirelli
Il nostro piano non si chiama più Welfare ma Wellbeing. E non è un mero nominalismo. Solo pochi anni fa pensavo che il welfare contenesse il wellbeing, ora sono convinta che sia il contrario: il primo è una componente del secondo.
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Enrico Gambi Managing Consultant di MIDA, esperto di wellbeing
Sostenibilità e Covid hanno costretto le aziende ad interrogarsi sull’adeguatezza delle strategie di welfare a perseguire il benessere dei lavoratori. Il fatto è che il welfare si concentra essenzialmente sul prima e sul dopo l’esperienza di lavoro: i trasporti, i supporti tecnico organizzativi, gli equilibri vita-lavoro, la salute… tutte cose fondamentali naturalmente, ma che lasciano fuori un elemento chiave: il lavoro in sé. Il wellbeing invece si interroga anche sulla qualità del lavoro stesso. Per esempio: autonomia, pieno impiego dei talenti e delle attitudini personali, relazioni generative e non tossiche (e qui il ruolo dei responsabili è fondamentale), il senso del proprio ruolo all’interno della strategia aziendale e, idealmente, di una visione sociale ancora più ampia.
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Nell’articolo “Wellbeing, una via HR per la sostenibilità” (Harvard Business Review Italia 2024), E. Corbetta – E. Gambi – M. Poggi scrivono: «Che il benessere sia collegato alla performance è qualcosa di noto. Anche senza ricerche e percentuali, facendo riferimento all’esperienza personale, possiamo testimoniare che quando stiamo bene e siamo felici abbiamo una marcia in più e se ci fosse bisogno di altre conferme non mancano le ricerche … Favorire il wellbeing dei propri dipendenti ha una motivazione razionale e concreta, legata alla possibilità di avere prestazioni migliori e una probabilità più alta di successo. Occuparsi del benessere delle persone al lavoro, quindi, significa occuparsi del benessere delle aziende e della loro prosperità».
Il punto chiave di questa nuova prospettiva è che l’energia necessaria al “doppio lavoro” dei caregiver, la “marcia in più” che è loro necessaria, non deriva solo dall’alleviare le fatiche del prima e del dopo, ma può anche provenire da un lavoro gratificante e di valore. Il lavoro può dare energia e motivazione per affrontare le fatiche dei caregiver.
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Donatella de Vita Global Head of Welfare, Engagement and DE&I Programmes di Pirelli
Il Covid ha dimostrato che favorire l’autonomia e l’auto organizzazione paga. L’incredibile e composta reazione alla difficile situazione determinata dalla pandemia ha messo in evidenza che le persone sono responsabili e mature e capaci di autoregolarsi. La fiducia è al centro della nostra strategia di wellbeing.
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Solo se c’è fiducia sulla volontà e la capacità delle persone di valutare le conseguenze delle loro scelte per sé e per l’azienda, aggiungiamo noi, è possibile lasciare autonomia ai lavoratori.
5. Considerazioni finali
Cosa significa tutto questo per i caregiver?
Abbiamo capito che la grande maggioranza è costituita da lavoratori in età matura, esperti e responsabili. Abbiamo visto che le iniziative delle aziende oggi si concentrano sull’informazione, la formazione, il supporto individuale e l’aiuto pratico. I caregiver tradizionalmente hanno chiesto questo ed è qui che le aziende hanno investito, aumentando progressivamente le risorse impiegate.
La pandemia ha dato una scossa agli equilibri consolidati tra autonomia e controllo nella gestione delle persone che lavorano. Lo smart working ne è un chiaro esempio. Scrive l’Osservatorio Digital Innovation del Politecnico di Milano in un rapporto del Novembre 2023, “Smart Working in Italia: aumentano i lavoratori da remoto”: «Lo Smart Working in Italia si consolida e torna a crescere. Dopo i picchi della pandemia e una graduale riduzione negli ultimi due anni, nel 2023 i lavoratori da remoto nel nostro paese si assestano a 3,585 milioni, in leggera crescita rispetto ai 3,570 milioni del 2022, ma ben il 541% in più rispetto al pre-Covid. Nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni gli smart worker in Italia». E poi aggiunge: «Non sempre però il lavoro da remoto porta a modelli realmente “smart”. Sono solo i “veri” smart worker, ossia quelli che oltre a lavorare da remoto hanno flessibilità di orari e operano per obiettivi, a presentare livelli di benessere ed engagement più alti dei lavoratori tradizionali in presenza».
Il punto è esattamente questo: è l’auto organizzazione che fa la differenza non (solo) il lavoro da remoto in sé spalmato su tutti anche su chi, per esempio, vede nella possibilità di allontanarsi da casa per andare al lavoro un importante momento di stacco e socializzazione.
Le aziende devono fare un passo avanti ma anche i lavoratori devono essere disponibili a rivedere gli assetti di vita. Le routine sono sempre pericolose anche quando le situazioni sono complicate anzi, forse ancora di più. Per persone già affaticate l’idea di ripensare equilibri che più o meno reggono è sicuramente fonte di stress. Questo è un punto su cui le aziende possono essere di aiuto offrendo formazione mirata, cosa che peraltro fanno normalmente quando cambia l’organizzazione del lavoro, si forma sulle nuove responsabilità e le attività collegate, perché non farlo per ottimizzare l’autonomia?
È da qui che passano le nuove possibilità centrate sulla qualità del lavoro come fonte di energia e di motivazione per le fatiche del caregiving. Una rivoluzione copernicana che non riguarda solo i caregiver, naturalmente, ma che per loro in particolare può aprire nuove prospettive capaci di portarli fuori da un apparentemente inevitabile destino di ripiegamento e di rinuncia.
* Le testimonianze presenti nel testo sono tratte da interviste realizzate dall’autore tra marzo e aprile 2024.