Negli ultimi anni è vistosamente cresciuto l’interesse – da parte degli studiosi delle diverse discipline, così come del legislatore – nei confronti dei caregiver. Già da uno sguardo di massima si comprende tuttavia come tale interesse sconti la difficoltà di individuare con chiarezza il fenomeno a cui ci si riferisce, intrinseca nella sua complessità e nella varietà dei casi, e dunque di farne oggetto di analisi puntuali e di interventi efficaci.
Il polimorifismo risulta evidente solo che si consideri il carattere del tutto diversificato del fenomeno a seconda, ad esempio, che la cura sia prestata in modo professionale o in modo informale; che il destinatario sia un bambino, o un adulto non autosufficiente o un anziano; a seconda delle competenze e del tempo richiesto, in ragione del grado di disabilità, di malattia o di mancanza di autonomia in cui la persona da “curare” si trovi, e così via.
Tale complessità ha indotto a restringere il campo di indagine degli Autori del Quaderno, dedicato al caregiving informale della persona adulta o anziana non autonoma, il quale, ancora attivo nel mondo del lavoro, debba conciliare il compito di cura con quello di lavoratore e magari anche di madre, di padre, ecc.
Senza anticipare i numerosissimi spunti di riflessioni restituiti dai contributi, desidero introdurne la lettura limitandomi ad una suggestione. La stessa, peraltro, che ha dato avvio alla ricerca PRIN PNRR 2022 dal titolo Legal protection and promotion of caregiver’s well-being. Legislative innovations and good practices, e di cui questo Quaderno raccoglie i primi esiti.
Quando ci si occupa di caregiver – cioè di colui o più spesso colei che fornisce la cura – si guarda, da un diverso angolo di visuale, il tema, senz’altro molto più battuto, della “fragilità”. Vi è cura perché vi è l’esigenza di colmare il bisogno proprio di chi la riceve di vedere appagati bisogni che la persona non può soddisfare in via autonoma. La cura è dunque la risposta alla liberazione dal bisogno, correlato al principio di uguaglianza, in particolare sostanziale, sancito dall’art. 3, comma 2, Cost., costituendo precondizione affinché la persona possa realizzare pienamente se stessa, esercitare i propri diritti di libertà e partecipare attivamente alla vita sociale del Paese.
La cura, tuttavia, non si esaurisce in attività di tipo materiale; almeno non dal punto di vista di chi la riceve. È evidente, infatti, come oltre che all’assistenza materiale la persona “fragile” e non autonoma è portatrice di una domanda di relazioni interpersonali – difficilmente scindibile da quella relativa al soddisfacimento di bisogni materiali – e dunque di supporto psicologico, affettivo, morale. In altri termini, nel concetto di cura ed assistenza sono necessariamente ricomprese anche attività dirette a soddisfare esigenze di carattere esistenziale della persona, così da proteggerne e svilupparne la personalità, in una visione di soddisfazione globale della molteplicità di interessi di cui è portatrice.
L’inscindibile connubio tra aspetti materiali e morali dell’assistenza risulta lampante con riguardo al minore, al quale la nostra cultura – sociale, prima ancora che giuridica – riconosce il diritto a ricevere cura dai propri genitori non solo in senso strettamente materiale, ma ancor più relazionale ed affettivo; il che implica in primis il coinvolgimento personale del genitore in un rapporto interpersonale con il figlio tale da consentirne un armonico sviluppo psico-fisico mediante l’appagamento di tutte le esigenze a ciò funzionali.
La medesima istanza di soddisfazione globale e complessiva di bisogni materiali e morali – connaturata all’uomo in quanto uomo – è propria anche della persona adulta “fragile” e dell’anziano, nella misura in cui, legato alla debolezza si palesa sovente il rischio di una emarginazione, fonte di ulteriore disagio, che richiede una specifica risposta in termini personali e relazionali.
Se, in definitiva, la soddisfazione delle esigenze materiali costituisce solo una parte delle istanze globali della persona, dare cura altro non significa se non cooperare al superamento degli ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione dell’uomo, sotto il duplice profilo della liberazione dal bisogno – mediante la prestazione di servizi – e del sostegno morale, affettivo, psicologico.
Di qui il carattere infungibile dell’assistenza; essa, infatti, non coincide con prestazioni misurabili in termini meramente oggettivi – di diligenza, efficienza, professionalità –, colorandosi invece di profili morali, affettivi, esistenziali e psicologici, tanto eterei quanto intrisi della personalità sia di chi li presta sia di chi li riceve. Di guisa che pare inammissibile ritenere che, nella percezione del destinatario, sia indifferentemente sostituibile il soggetto erogatore dell’attività di cura ed assistenza.
Se così è, l’attività di cura prestata dal caregiver familiare, in via informale a favore della persona “fragile” acquista una posizione di apicalità, in quanto da preferirsi in termini qualitativi rispetto (alternativamente ovvero in affiancamento della cura professionale) a quella prestata da terzi estranei. La soddisfazione del bisogno di cura, anzi richiama in sé la relazione familiare, che «manifesta la sua qualità tipica nella “cura alla persona”; si tratta di un compito che identifica ed accomuna i membri e le generazioni della famiglia, tutti coinvolti nella comune responsabilità di dare e ricevere cura» [F. D’Agostino, Una filosofia della famiglia, II ed., Milano, 2003, p. 92]. Il che trova una diretta corrispondenza nell’affermazione del ruolo della famiglia – nell’ambito di una società complessa come quella attuale – di luogo in cui si realizza l’inclusione sociale della persona.
Di qui l’esigenza di trattare, in chiave interdisciplinare, le problematiche che interessano il caregiver familiare specie allorché egli sia ancora attivo nel mondo del lavoro, nella convinzione che se la sua funzione è apicale e infungibile, è allora necessario individuare gli strumenti più efficaci per sostenere, promuovere e proteggere il benessere del “caregiver che concilia”.