Intervista a Gigi De Palo a cura di Nicola Speranza
La Fondazione per la Natalità ha una storia recente. Perché abbiamo bisogno di una realtà che supporti la natalità? Che cosa vi siete proposti di fare concretamente?
La Fondazione per la Natalità è nata dalla constatazione che da troppo tempo stiamo assistendo passivamente al crollo delle nascite. Ci eravamo stufati di commentare semplicemente i dati Istat di ogni anno e quindi abbiamo pensato che potesse essere importante creare un’occasione di riflessione per il Sistema Paese. Anche per questo abbiamo invitato “mondi diversi” – banche, imprese, sport, spettacolo, istituzioni – a confrontarsi in un contesto in cui “fare squadra”, passare dall’analisi alla sintesi. Il desiderio è quello di continuare ogni anno, finché non si riuscirà ad invertire il trend.
Le sue battaglie a sostegno della natalità sono molto conosciute. Qual è quella che sente di aver vinto e quella sulla quale ha la percezione di dover lavorare ancora un bel po’?
La battaglia sulla natalità durerà venti-trent’anni, anzi, se vogliamo, è una guerra perché alcune battaglie le vinci, alcune le perdi, ma l’importane è vincere la guerra. Questo però suppone una strategia molto chiara.
Intanto una battaglia importante vinta è quella di aver fatto prendere consapevolezza al Paese che si tratta di qualcosa di estremamente grave e soprattutto di aver fatto capire che si tratta di qualcosa che accomuna tutti: destra, sinistra, centro, bianchi, rossi, verdi, progressisti, conservatori, cattolici, non cattolici. Questa è già una battaglia vinta.
Per il resto ci saranno battaglie perse, ci saranno altre battaglie vinte, l’importante è riuscire a vincere la guerra, ma questo lo sapremo, anzi lo scopriranno i nostri figli, se giocare questa partita ha portato frutto.
Da qualche anno si sta occupando di leadership etica: come mai ha scelto questo ambito e che legame c’è con i percorsi che porta avanti a sostegno della natalità?
Il tema della leadership etica riguarda la natalità, ma anche tutto l’associazionismo. Quello di cui mi rendo conto è che dobbiamo riscoprire il fatto che ciascuno di noi ha una leadership che va vissuta da leader. Ciò significa che ogni persona ha un ruolo che deve provare a vivere in pienezza in base ai temi e ai contesti. Se ci pensiamo, anche per quanto riguarda la natalità, quello che manca è proprio una leadership chiara che prenda questo tema e lo trasformi in qualcosa di trainante per l’intero Paese. Di fatto noi assistiamo solamente ad analisi e non c’è nessuno che riesce a fare sintesi. Serve una leadership politica che possa fare questo o serve, come stiamo cercando di fare noi attraverso la Fondazione per Natalità, una leadership etica.
L’aspetto etico collegato alla leadership è determinante perché oggi come oggi in giro per il mondo è pieno di leader che non mettono l’etica al centro, che non guardano ai valori, che non concepiscono l’altro inteso come il fine e non come il mezzo. Credo che sia importante riscoprire questa parola, che tante volte da noi non viene apprezzata soprattutto nel mondo cattolico. Anche la collegialità e la sinodalità sono possibili solo attraverso delle leadership, attraverso persone che danno la vita. Alla fine essere un leader vuol dire questo: dare la vita!
La conciliazione famiglia-lavoro riguarda le madri, ma anche i padri. Che cosa ne pensa? Qual è la sua esperienza personale in merito? Quali proposte concrete si possono portare avanti su questo fronte?
Il tema della conciliazione famiglia-lavoro, o “armonizzazione” come ormai si definisce, riguarda sia le madri, che i padri. È anche vero che non mi sembra che la soluzione possa trovarsi semplicemente nel congedo parentale. Mi spiego meglio: in un paese come l’Italia, dove la maggior parte dei giovani padri non ha un contratto di lavoro dipendente, ma partita iva, insistere tanto sul congedo parentale vuol dire non rispondere concretamente alle reali esigenze di tutti i professionisti. Ecco perché è fondamentale insistere il più possibile sullo strumento dell’assegno unico, che aiuterebbe la conciliazione famiglia-lavoro, permettendo ad esempio di avvalersi di babysitter o altro…
D’altra parte, come abbiamo cercato di far emergere durante gli Stati Generali della Natalità, anche le aziende possono fare molto, possono creare servizi che aiutino le famiglie. Qualche tempo fa abbiamo organizzato un convegno, sulle buone pratiche nelle aziende: alcune di queste, nel supportare le madri, avevano messo loro a disposizione politiche di conciliazione molto pratiche e concrete, come il pagamento delle bollette o il fare la spesa, che consentivano loro, al rientro dal lavoro, di avere molto più tempo da trascorrere con i propri figli. Lo stesso potrebbe accadere con i papà. È chiaro che il congedo parentale è importante, ma noi dobbiamo prima costruire la casa, il congedo parentale potrebbe invece essere paragonato agli infissi della casa… Se la casa non c’è, è difficile mettere gli infissi.
Quando un’azienda supporta le famiglie, anche i dipendenti sono disposti a lavorare di più, a dare di più, a produrre di più; non è vero che una mamma o un papà che lavorano producono di meno, anzi, al contrario, proprio perché sentono di dover ringraziare l’azienda dell’attenzione che viene loro riservata.
La famiglia è un tesoro di tutti, ma parlare di famiglia può talvolta risultare problematico. Come costruire un linguaggio comune che unisca tutti e che si distanzi da ogni ideologia? Quali leve utilizzare?
La sfida di questi anni come presidente del Forum delle Famiglie è stata proprio quella di raccontare la famiglia come qualcosa di bello, interessante, complicato e, per questo, anche molto attraente. Per troppi anni abbiamo parlato della famiglia come qualcosa di triste, angosciante, noioso, asfittico, ammuffito. La famiglia non è questo e spesso e volentieri siamo stati proprio noi a raccontarla male. L’Amoris Laetitia in questo senso è importante, è una nuova narrazione della famiglia, con un linguaggio più accogliente che mette in luce le situazioni divertenti della famiglia, la gioia e il desiderio di paternità e maternità.
Agli Stati Generali, la prima domanda che abbiamo posto a tutti – leader politici, direttori di aziende, attori, cantanti – è stata: “Raccontaci quanto è bello essere padre, raccontaci quanto è bello essere madre”. Questo è determinante. Solo attraverso questo approccio si supera l’ideologia. L’ideologia tante volte nasce quando non ci si ritrova in una narrazione condivisa, quando ci si sofferma su parole, che pur giuste, non portano da nessuna parte. Nessuno delle persone che conosco si è mai sposato o ha mai fatto figli perché gli è stato detto “sposati perché il matrimonio è la cellula fondamentale della società”. Ci si sposa perché è bello, perché si ama una persona, perché si vuole dare la vita per quella persona. Questa è la narrazione che dev’essere utilizzata e questa è la narrazione che accomuna tutti. Partire dal racconto di quello che tu vivi mi fa avvicinare a te, perché cambiano i nomi e i luoghi, ma le storie e le dinamiche sono tutte molto simili.
La seconda edizione degli Stati generali della Natalità si è conclusa poche settimane fa. Qual è il risultato più grande ottenuto e qual è il prossimo passo che vi aspetta?
Il risultato più grande è stato il fatto che per due giorni in televisione, alla radio, sui giornali si è parlato di natalità, che è un tema ostico e per nulla attraente, perché parliamo di numeri, cifre, demografia. La sfida è stata quella di trasformare la demografia, il tema natalità, in una narrazione concreta, in un racconto personale, in un ragionamento culturale più ampio, dei dirigenti di banca, degli imprenditori, di tutti.
Un altro passo importante è stato quello di darci un obiettivo molto concreto da raggiungere entro i prossimi 10 anni: la quota di cinquecentomila nati ogni anno, che per noi significa andare dritti contro un muro, ma con l’airbag, avendo tempo di rallentare, frenare, modificare la marcia.
Un’altra cosa che è emersa, interessante a mio modo di vedere, è che il mondo della politica è tutto compatto su questo tema: il nostro non è un tema divisivo, controverso, dove ci si spacca ideologicamente. E anche in tal senso parliamo di cose concrete: è stato interessante, ad esempio, verificare che c’è il desiderio di modificare l’Isee, che al momento è un’ingiustizia, perché non restituisce la fotografia reale di quello che vivono le famiglie italiane, ma solo una fotografia parziale, che non dà ai figli il giusto peso con cui dovrebbero essere considerati.