1. Introduzione: la rilevanza crescente del fenomeno
I caregiver informali sono quei lavoratori che provvedono alla cura informale (ossia non pagata) nei confronti di persone della sfera familiare o affettiva, mentre al contempo sono sottoposti alle responsabilità previste dalla loro attività lavorativa (Lam et al. 2022). In particolare, mentre gli studi organizzativi si sono per lo più occupati delle responsabilità di cura nei confronti dei figli o della famiglia nel suo complesso, questo contributo intende focalizzarsi su quelle attività di cura informale legate specificamente alle persone anziane (Calvano 2013).
Tale tematica assume crescente rilevanza nel tempo a causa delle tendenze demografiche degli ultimi decenni. La crescita dell’aspettativa di vita, seppur con significative differenze tra diverse aree territoriali, ha portato a un generale innalzamento della percentuale di popolazione anziana. Si stima che per il 2050 circa il 17% della popolazione mondiale avrà un’età superiore ai 65 anni; tale percentuale si alza al 25% se nel calcolo non si considerano i paesi africani (Burch et al. 2019). Se a ciò si aggiunge che i tassi di natalità sono in generale e costante diminuzione, è possibile prevedere che ci sarà sempre più bisogno di provvedere ad attività di cura nei confronti degli anziani (Clancy et al. 2020). Inoltre, molte donne tendono ad avere figli in età più avanzata rispetto al passato, generando un effetto “sandwich” per il quale la stessa persona deve provvedere in contemporanea alla cura verso i figli e a quella verso gli anziani. Per gli scopi di questo contributo, il caregiving può essere definito come un’attività di cura informale, non pagata e a lungo termine, rivolta a soddisfare bisogni fisici, cognitivi o emotivi di adulti anziani; ad esempio, lavare e vestire la persona anziana, provvedere alla pulizia della casa, alla preparazione del cibo, all’assistenza per il trasporto, servizi medici e altre attività di aiuto e supporto quotidiano (Clancy et al. 2020).
La cura verso gli anziani è caratterizzata da maggiore complessità rispetto ad altre forme di cura. Ad esempio, le persone anziane possono incorrere in problematiche multiple e cronicizzate, e possono spesso richiedere interventi imprevisti (Calvano 2013). La cura verso i bambini, al contrario, consente di programmare tempestivamente le attività necessarie, tende a diminuire di intensità nel corso del tempo all’aumentare dell’autonomia che questi acquisiscono con la crescita (Kossek et al. 2001). Nel complesso, la cura verso gli anziani è caratterizzata da gradi di incertezza elevati, che rendono difficoltose le attività di previsione e programmazione.
È possibile tracciare un quadro che descrive, in modo sintetico, il complesso e articolato problema del caregiving. A tale scopo si possono distinguere: 1) le condizioni di contesto, in particolare il contesto familiare e le specificità individuali: 2) le risorse potenzialmente a disposizione dei caregiver; 3) gli impatti sui caregiver delle esperienze di cura (Burch et al. 2019). Nei prossimi paragrafi vedremo gli aspetti essenziali di ciascuno.
2. Le condizioni di contesto e le risorse
Tra le condizioni di contesto, vanno considerate varie caratteristiche della situazione individuale dell’anziano, del caregiver e del loro rapporto. Lo stato di salute dell’anziano e, più in generale, le specifiche tipologie dei bisogni di cura, costituiscono l’aspetto più ovvio ed influente. Vi sono tuttavia altri fattori contestuali rilevanti: lo stato di convivenza (o meno) del caregiver con l’anziano può condizionare in modo significativo gli aspetti logistici della cura; la rilevanza emotiva del rapporto tra anziano e caregiver, nonché il tipo di relazione familiare, possono influenzare gli impatti psicologici dell’esperienza di cura del caregiver. Vi sono inoltre fattori individuali, tra cui il genere del caregiver (le donne tipicamente si trovano in situazioni di maggiore pressione e responsabilità di caregiving), la sua radice culturale, la sua situazione economica. È evidente, ad esempio, che un più alto reddito può consentire ai caregiver di assumere assistenza retribuita o di ridurre la preoccupazione per l’impatto economico delle spese associate all’assistenza agli anziani.
In secondo luogo, vanno considerate le risorse da cui i caregiver possono attingere per svolgere le attività di cura. Si possono distinguere quattro tipologie generali di risorse. Da un lato, una più estesa rete familiare e sociale del caregiver può certamente ridurre la pressione materiale e psicologica. Inoltre, possono esservi risorse utili nel contesto della comunità locale, ad esempio gruppi di supporto di varia origine (sociale o religiosa, per esempio), programmi pubblici di formazione e supporto, e servizi di vario tipo forniti da soggetti privati. Ancora, non vanno sottovalutate le risorse personali, di natura psicologica e/o cognitiva, che il caregiver può mobilitare. Ad esempio, il fatto di aver avuto esperienze pregresse, di possedere conoscenze utili, il senso di gratificazione e motivazione che può essere ricavato dalla stessa esperienza di cura. Anche taluni tratti della personalità, come ad esempio l’autostima e l’autoefficacia, possono consentire ai caregiver informali di affrontare meglio la tensione tra responsabilità di cura e lavoro. Allo stesso modo, lo stato di salute fisica e mentale, nonché il benessere individuale del caregiver, possono essere considerate risorse rilevanti.
Infine, vi sono risorse che il caregiver può attingere dal contesto lavorativo. Nonostante la maggior parte di coloro che prestano cure informali verso gli anziani siano anche lavoratori, tale tema è entrato solo di recente nell’agenda delle organizzazioni. Tuttora, molte organizzazioni non prevedono specifiche politiche o programmi di supporto rivolti ai propri dipendenti che si trovano a svolgere anche il ruolo di caregiver informali (Swanberg et al. 2006).
Gli studi disponibili, tuttavia, mostrano che la rilevanza del contesto organizzativo, laddove siano presenti iniziative specifiche, è molto significativa. Ad esempio, il supporto dei superiori risulta essere di grande aiuto, in quanto può agire sulla riduzione dello stress lavorativo (Kossek et al. 2019). Più in generale, il supporto organizzativo produce conseguenze positive rilevanti sulla soddisfazione, sull’impegno e sulla riduzione dello stress lavorativo dei caregiver (Zacher e Schulz 2014; Zacher e Winter, 2011). Tra le forme di supporto più efficaci vi è la possibilità per i dipendenti di pianificare in modo flessibile i propri orari di lavoro. Questo può ridurre la probabilità di arrivare in ritardo al lavoro, di essere interrotti, di dover anticipare l’uscita dal lavoro o persino di prendere in considerazione l’idea di lasciare il lavoro (Shoptaugh et al. 2004). In generale, il controllo e l’autonomia sul proprio lavoro hanno una relazione positiva con la soddisfazione lavorativa e l’impegno organizzativo.
Altra forma di supporto organizzativo utile è quella legata ai programmi di assistenza agli anziani sponsorizzati dal datore di lavoro, come ad esempio servizi di consulenza, assistenza finanziaria, servizi di cura giornalieri; questi, in generale, tendono a ridurre le assenze dal lavoro e ad aumentare la produttività dei caregiver informali (Dembe et al. 2011). In generale, un clima organizzativo caratterizzato da condivisione, comprensione e supporto per i caregiver informali può avere un impatto positivo sul conflitto tra i ruoli, e di conseguenza sul benessere dei lavoratori e sulle loro prestazioni (Kossek et al. 2001).
3. Gli impatti sui caregiver
Viste le condizioni di contesto e le risorse potenzialmente disponibili, consideriamo ora gli impatti possibili dell’esperienza di cura sui caregiver. Si tratta di impatti assai significativi, spesso con connotazioni negative. Si possono distinguere quattro differenti tipi di impatto (Clancy et al. 2020): sociale (ad esempio, in termini di disponibilità a offrire lavoro, interruzioni di carriera, rischio di disoccupazione); lavorativo (ad esempio, in termini di discriminazione, minore performance lavorativa, stress collegato la lavoro, assenteismo, etc.), familiare (qualità delle relazioni affettive, benessere del beneficiario delle attività di cura), e individuale (benessere psicologico, benessere fisico, tensioni finanziarie).
In particolare, i caregiver informali soffrono generalmente di un più elevato tasso di conflitto percepito tra lavoro e famiglia (in entrambe le direzioni: la percezione del caregiver che la necessità di cura interferisca negativamente con le responsabilità lavorative, ma anche che il lavoro interferisca negativamente con la responsabilità di cura), di ambiguità di ruolo, e di conseguenze negative sulla salute e sul benessere. In generale, si riscontra una relazione negativa tra l’attività di cura verso gli anziani e le performance lavorative (Lam et al. 2022). Tale relazione negativa è caratterizzata non solo da effetti maggiormente manifesti ed evidenti quali assenze prolungate o ritardi, ma anche da conseguenze meno visibili quali interruzioni, distrazioni, e in generale un minore impegno, che nel complesso impattano negativamente sulle prestazioni dei lavoratori (Hepburn e Barling 1996).
Si nota, dunque, che gli impatti negativi non riguardano solo i caregiver, ma anche le organizzazioni nelle quali sono impiegati, sia in modo esplicito e misurabile, sia in modo meno ovvio e non misurabile, ma non per questo meno importante. È dunque un problema rispetto al quale appare necessario uno sforzo di ideazione e applicazione di risposte concrete, nell’interesse di tutti gli attori in gioco (individuali e organizzativi), la cui ragion d’essere non si limita a valutazioni di tipo etico e morale, pur fondamentali, ma anche a logiche di tipo economico in termini, per esempio, di maggiore produttività, efficienza e migliore utilizzo delle competenze disponibili. È plausibile, peraltro, che a fronte di politiche aziendali di gestione delle persone e di organizzazione del lavoro supportive per i caregiver, si producano conseguenze positive (per gli individui, e per le organizzazioni) che possono andare oltre la mera neutralizzazione degli effetti negativi sopra citati. Ad esempio, la letteratura disponibile suggerisce che una maggiore responsabilizzazione dei lavoratori sulla definizione autonoma delle mansioni (che è un esempio di politica supportiva per i caregiver, anche se ancora scarsamente analizzata) tende a produrre, in termini generali, una varietà di effetti desiderabili sia per il lavoratore (benessere, soddisfazione, identificazione con l’organizzazione, crescita personale e sviluppo delle competenze, etc.) sia per l’organizzazione (produttività, creatività, fidelizzazione, etc.) (Berdicchia e Masino 2023).
4. Conclusione: la necessità di percorsi di studio e sperimentazione
Nel complesso, la problematica dei caregiver informali è socialmente ed economicamente rilevante, in rapida diffusione, impattante per tutti i soggetti coinvolti e assai articolata. Richiede competenze interdisciplinari, studi ulteriori e iniziative di sensibilizzazione nei confronti delle organizzazioni. Servono, soprattutto, percorsi di sperimentazione e di applicazione. La letteratura, pur non ancora sufficientemente sviluppata, suggerisce già alcune strade possibili. Come abbiamo già accennato, la flessibilizzazione dell’organizzazione del lavoro (gestione dei tempi di lavoro, mansioni e responsabilità) è una soluzione che può produrre effetti positivi diretti e indiretti, non solo nel breve periodo. Iniziative formative e conoscitive specificamente indirizzate ai caregiver possono produrre grandi benefici con sforzi organizzativi relativamente limitati. Investimenti tangibili specifici (per esempio, servizi per i caregiver sponsorizzati dall’azienda, o aiuti finanziari diretti) possono non solo fornire sollievo materiale ai caregiver, ma anche acquisire una valenza simbolica importante che può ridurre la sofferenza psicologica che tipicamente si produce nelle esperienze di cura più problematiche. Infine, un percorso di sensibilizzazione della cultura organizzativa al problema può certamente riflettersi positivamente nel rapporto tra i caregiver e i rispettivi leader e supervisori, facilitando, quindi, la personalizzazione delle soluzioni di supporto. Va considerato, infatti, che ogni singola esperienza di cura è, per almeno alcuni aspetti, unica e fortemente contestuale, e richiede quindi una efficace capacità di attenzione e di ascolto individuale, da parte dell’organizzazione, e quindi di personalizzazione delle risposte. È plausibile che persino politiche generali finalizzate al supporto dei caregiver, in assenza di una significativa capacità di personalizzazione, rischiano di essere meno efficaci di quanto sarebbe auspicabile e possibile.
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