Dall’inizio della pandemia stiamo sperimentando un importante cambiamento sociale che influenza il lavoro di tutti e in particolar modo il dove e il come ci relazioniamo nel lavoro. Siamo diventati esperti delle molteplici piattaforme tecnologiche che supportano la nostra vita professionale ogni giorno. Abbiamo imparato a lavorare da remoto e ad apprezzare quando una testa di un bambino appare sullo schermo di una riunione. Stiamo arrivando alla consapevolezza che molti lavori non torneranno mai ad essere 100% in presenza e che il concetto di lavoro ibrido rimarrà con noi per qualche tempo (o forse per sempre).
Questo cambiamento, che probabilmente gli storici del prossimo secolo identificheranno come inizio di un cambio di paradigma, presenta chiaramente molti aspetti positivi e alcuni rischi da tenere in considerazione. Il presente quaderno propone degli spunti multi-disciplinari per affrontare le sfide che questo nuovo paradigma ci presenta. Mi è capitato di sperimentarlo in prima persona. Negli ultimi due anni mi sono trasferito due volte cambiando continente (dalla Polonia a Singapore e poi Inghilterra), ma anche cambiando ruolo e azienda. In ogni nuovo inizio ho dovuto costruire relazioni e rapporti di fiducia virtualmente. Seppur possibile e facilitato da molte soluzioni tecnologiche, mi sono accorto di come la gestione delle persone, soprattutto in team internazionali, tenda ad avere una deriva verso relazioni di tipo transazionale, con minori possibilità di relazioni profonde e senso di appartenenza.
Questo è un rischio significativo che bisogna approfondire e conoscere quando si costruiscono i nuovi modelli organizzativi necessari per il lavoro ibrido. Importante per mantenere i livelli di engagement dei dipendenti, ma anche il valore psicologico del lavoro in quanto attività in relazione. La famiglia, con le sue variegate relazioni, viene spesso considerata come la scuola per eccellenza della nostra capacità di relazionarci col prossimo, e quindi punto di partenza per lo sviluppo delle nostre capacità di costruire relazioni significative sul lavoro. Allo stesso tempo l’azienda è il luogo dove si entra in relazione con altre persone per realizzare un obiettivo più grande di noi, un obiettivo (purpose) che sarebbe irraggiungibile se ci provassimo da soli. Credo quindi che per imparare a identificare il giusto bilanciamento nella sfida del virtuale, sia importante avere la ricchezza delle relazioni familiari come punto di riferimento per l’azienda.
Questi temi sono stati proposti e rivisti sotto vari aspetti negli interventi che presentiamo in questo quaderno. Come per gli altri quaderni, la prima parte offre riflessioni multidisciplinari che coprono, in questo caso, la sfera aziendale, sociale e psicologica. Nella seconda parte invece raccogliamo alcune esperienze concrete di chi sta lavorando per rendere sostenibile il nuovo paradigma di cui abbiamo parlato.
Il primo tema delle Riflessioni, proposto da Teresina Torre, si inserisce nell’orizzonte organizzativo del lavoro che cambia. Non si tratta ovviamente solo della prospettiva dello smart working a cui ci siamo abituati, fraintendendone per un certo periodo anche il senso… Vengono sollecitati temi come quello del commitment da parte dell’azienda, della necessità di ri-pensare nuovi modelli organizzativi, di un nuovo concetto di leadership e di management skills e dell’importanza del dialogo con tutti gli stakeholders.
Daniele Malaguti, dalla prospettiva della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, mette a fuoco alcuni degli impatti possibili su persone e relazioni che il cambiamento del lavoro sta generando. A cambiare non è infatti solo il modo di lavorare e di organizzare il proprio lavoro all’interno delle organizzazioni, ma anche il senso di appartenenza (più transazionale) e la profondità delle relazioni (virtuali). Questo predispone ad un rischio di impoverimento, non solo dei contenuti del lavoro, ma nell’ambito di un isolamento dei lavoratori, con conseguenze sul benessere e sulla perdita delle funzioni psicologiche che il lavoro stesso porta con sé.
La prospettiva sociologica, proposta dalla riflessione di Rosangela Lodigiani, suggerisce di mantenere un punto di osservazione più ampio nell’orizzonte dei cambiamenti in atto, che non deve mai dimenticare una parola chiave: sostenibilità. Il concetto di sostenibilità deve essere applicato ovviamente al contesto sociale e delle comunità, ma aprirsi sempre di più ad una riflessione sui suoi tre macro assi – economico, ambientale, sociale – che rivelano l’importanza di ripensare “velocemente” ad una radice antropologica del lavoro.
La parte delle Esperienze ci presenta tre modi diversi di osservare il “lavoro che cambia”.
Il primo è offerto da Giovanni Scansani, un professionista dalle mille sfaccettature che si occupa da anni di questi temi e che ha la peculiarità di guardare il fenomeno dalla prospettiva accademica, consulenziale, organizzativa e anche di diffusione culturale. Scansani mette a fuoco il valore del lavoro, del welfare aziendale e della nuova leadership, scandagliando il lavoro agile nella necessità di porre sempre di più l’attenzione su un welfare aziendale pensato sempre nell’ottica di un win-win tra organizzazione e collaboratori.
Il secondo è presentato da Elinora Pisanti, Human Resources Executive Director Italia e ora UK e Irlanda di Bristol Myers Squibb, che da oltre 25 anni si occupa di gestione delle risorse umane nelle grandi e complesse organizzazioni di diversi settori, sia in Italia sia a livello internazionale. Pisanti ci invita a mettere davvero al centro le persone nel lavoro del futuro, e non secondo uno slogan più o meno blasonato, ma in base ad iniziative concrete che mostrano come sia possibile farlo anche in una grande multinazionale.
Il terzo è proposto da Riccardo Tosi, con una grande esperienza in Enel, e che si è trovato in questo ultimo periodo, come tanti, a gestire a distanza alcuni team di lavoro. Dalla sua esperienza emergono non solo vantaggi e svantaggi, rischi e opportunità incontrati, ma anche il tema della gestione di uomini e donne, quello della costruzione della fiducia da remoto e del monitoraggio delle risorse e il confronto tra lavoro e famiglia nella gestione delle relazioni, con un accenno sulla conciliazione famiglia-lavoro nell’ottica dei padri.
A conclusione di queste pagine, che è stato abbastanza complicato mettere insieme perché stiamo parlando di fenomeni non ancora conclusi e tuttora in trasformazione, ci resta una consapevolezza su tutte che risponde forse alla domanda provocatoria del titolo di questa Introduzione: sarebbe più facile sposare un avatar, ma di certo ci perderemmo il bello dell’umano, che è innanzitutto relazione, e questa consapevolezza dobbiamo poterla portare nel nostro contesto professionale.