Intervista a Sara Callegari a cura di Adele Mapelli
Ci parli di Engie e del suo legame con le attività in ambito di DE&I?
Engie in Italia è parte dell’omonima multinazionale francese. Lavoriamo nel settore dell’energia e dei servizi di efficientamento energetico e siamo presenti su tutta la filiera energetica, a partire dalla produzione di energia elettrica attraverso impianti di produzione da fonti convenzionali e impianti da fonti rinnovabili (nello specifico eolico e fotovoltaico); forniamo energia e servizi di efficientamento energetico a grandi clienti industriali e nei confronti della pubblica amministrazione (musei, università, enti culturali, strutture sanitarie e amministrazioni pubbliche in generale), supportandoli nell’utilizzo efficiente dei loro impianti, contribuendo alla riduzione delle emissioni e nel processo di decarbonizzazione.
Siamo presenti nel segmento retail attraverso la vendita di energia elettrica, gas e servizi di home service al cliente residenziale.
Rispetto al territorio gestiamo infrastrutture distribuite quali reti di teleriscaldamento e impianti di pubblica illuminazione.
In Italia è presente anche una piattaforma di trading di energia elettrica e gas (GEMS – Global Energy Management and sales) attraverso la quale viene massimizzato il valore dei nostri asset e ottimizzata la vendita e l’acquisto di energia elettrica e gas.
In Italia siamo circa 3.300 dipendenti. Il nostro headquarter principale è a Milano, ma abbiamo una sede molto importante anche a Roma e siamo presenti su tutto il territorio nazionale, isole comprese, con circa 60 uffici.
La metà dei nostri collaboratori sono prevalentemente operai e tutti uomini, anche in relazione al nostro settore di appartenenza. La presenza femminile è del 24%, sale però al 37%, escludendo gli operai.
Il Comitato Esecutivo di Engie in Italia, composto dalla prima linea dell’Amministratore Delegato, è composto per il 50% di donne e il 50% di uomini, quindi con assoluta parità di genere.
Il gender pay gap è praticamente inesistente.
Recentemente abbiamo ottenuto due certificazioni importanti in merito alla parità di genere: la Certificazione EDGE e la Certificazione ai sensi della norma UNI/PDR 125:2022.
Quando in Engie si è iniziato ad affrontare il tema della parità di genere? Da dove è nato questo bisogno? Cosa è stato fatto (principali progetti e iniziative) e con quali risultati?
Tanti studi ci dicono che l’inclusione porta vero valore anche in termini di business, produttività, capacità di reagire al cambiamento, innovazione e creatività. Quindi un ambiente eterogeneo, con contributi diversi, arricchisce. E siccome siamo fermamente convinti di questo, abbiamo iniziato a lavorare sulla diversity a 360°, integrando gradualmente questa convinzione nel nostro modo di lavorare.
Ogni anno cerchiamo di fare dei passi avanti, inserendo il tema “diversity” negli ambiti sui quali di volta in volta siamo maggiormente concentrati. Qualche esempio: lo scorso anno è stata lanciata una policy di gruppo – BeU@engie – dove U sta per YOU (perché ciascuno deve essere se stesso), Unique (ciascuno deve sentirsi libero di essere la versione migliore di se stesso al lavoro) e United (perché abbiamo tutti un obiettivo comune, portare a termine con successo la transizione energetica).
In Engie vogliamo che le persone possano esprimersi, possano essere loro stesse in un ambiente veramente inclusivo, affinché ogni persona conti e si senta libera di dare il meglio di sé.
Quali sono gli strumenti e i servizi presenti in azienda a favore della conciliazione e della diversity?
Lavoriamo su 5 dimensioni di diversity: gender, LGBTQ plus, abilità (non ci piace parlare di disabilità!), generazioni e nazionalità/culture.
Un target importante che abbiamo come Gruppo è aumentare la presenza di donne manager: al momento siamo intorno al 30%, ma stiamo crescendo, perché questo è quello su cui veramente vogliamo lavorare in termini di attraction.
Abbiamo ridefinito la policy di talent acquisition così da portare sempre obbligatoriamente in short-list, al termine di un processo di selezione, una parità di candidati in termini di genere. Proprio in questo ambito, abbiamo definito dei target che ci hanno aiutato peraltro a ottenere la certificazione di parità.
L’attenzione alla parità di genere è poi presente nella nostra policy in materia di salary review: in fase di definizione degli aumenti salariali, dei passaggi di livello/ruolo e delle promozioni, va tenuta in massima considerazione la parità in termini di genere.
Ci teniamo a utilizzare target misurabili con KPI specifici, che ci consentano così di monitorare costantemente i nostri progressi e le nostre aree di miglioramento.
E poi ci sono le iniziative di formazione trasversale, rivolte a tutti. Ad esempio, attraverso la nostra piattaforma di e-learning, è previsto un corso di formazione obbligatorio per tutti i manager sulla diversity in generale e su tutti i bias che ne possono derivare, dando la possibilità di confrontarsi su situazioni di vita quotidiana, che non siamo abituati a considerare.
Quali sono gli aspetti su cui dovete ancora lavorare?
Il rovescio della medaglia è la retention. Come altre aziende, anche Engie durante il Covid-19 ha sofferto un po’ del fenomeno della great resignation, anche se per numeri piccoli. Questo ci ha portati ad avere un turnover più alto rispetto agli anni pre-pandemia e a sperimentare un mercato del lavoro molto più “effervescente”. Concentrandoci sul tema della retention, abbiamo pensato di introdurre nuovi tool in ambito di salary review e di global value proposition, perché sappiamo che la retribuzione non è tutto, ma solo una delle componenti del pacchetto retributivo A questo si aggiunge la flessibilità dell’orario di lavoro, il rapporto con il capo e l’ambiente interno all’azienda: ambiti sui quali abbiamo cercato di lavorare per migliorare il nostro livello di retention.
Proprio in questi giorni stiamo analizzando l’andamento di quest’anno rispetto al precedente e stiamo registrando un miglioramento di tutti gli indicatori in termini di retention, di attraction e di numero di donne manager. Nella prima metà dell’anno, siamo saliti di 1 punto percentuale: il nostro obiettivo è di crescere di almeno 2 ogni anno. Abbiamo implementato anche specifiche iniziative strategiche su questi temi. Ad esempio, ogni anno avviamo il progetto “Engie Academy”, inserendo in azienda dei giovani a cui proponiamo un percorso in apprendistato con l’obiettivo di acquisire in 24-30 mesi posizioni di rilievo. A settembre di quest’anno lanceremo un’edizione “pink” per migliorare ancora di più nel raggiungimento dei nostri target. Stiamo lavorando anche con gli head hunter con cui gestiamo le selezioni, prestando un focus specifico sulle posizioni dove è più difficile portare in short list un numero di candidati paritario in termini di genere.
Accanto a tutto questo, visto che per attrarre e trattenere serve anche un ambiente caratterizzato da una cultura di un certo tipo, lavoriamo molto proprio sulla cultura: webinar, testimonial che ci aiutino a trasmettere determinati valori, policy specifiche anche sul sexual harassment.
Insomma, stiamo veramente cercando di mettere in atto tutto quello che è nelle nostre possibilità.
Quali sono i motivi per cui Engie ha deciso di ottenere la Certificazione?
Abbiamo ottenuto la certificazione grazie soprattutto ai nostri risultati. Ma abbiamo deciso di certificarci anche in ottica di attraction e retention. Devo dire che l’iter che ci ha portato alla certificazione ci ha fornito in qualche modo l’opportunità di “sistematizzare” quello che già avevamo: da tempo misuravamo una serie di indicatori, ma l’iter di certificazione ci ha reso evidente il valore e l’importanza di quello che facevamo e ci ha fornito spunti di miglioramento su cui concentrarci per migliorare ulteriormente.
Insomma, la certificazione ci ha portato innanzitutto ad un approccio molto più analitico: ora non solo parliamo con i numeri, ma li monitoriamo anche costantemente.
C’è da dire poi che questa certificazione per noi rappresenta un punto di partenza, proprio perché ci ha dato una serie di spunti su cui continuare a lavorare. Per esempio, in questo momento, stiamo definendo ulteriori KPI da implementare e poi monitorare. Questo ci dà tanto valore aggiunto anche solo quando ci invitano a parlare dell’esperienza della nostra azienda: parlare con i numeri è diverso che farlo a sensazione.
Cosa ti senti di dire alle aziende che vedono la certificazione come un’ulteriore forzatura per portare avanti un cambiamento che, secondo alcune persone, dovrebbe essere naturale e spontaneo?
Dal mio punto di vista, ben venga la forzatura, come le quote di genere, che possono non piacere, però hanno aiutato. Anche con lo smart working in pandemia è successo così. A parte alcune realtà particolarmente illuminate, le aziende sono state messe di fronte ad una scelta di “sopravvivenza” e si sono adeguate: tutti hanno capito che si poteva fare qualcosa che prima quasi ogni realtà guardava con sospetto.
Con la certificazione vale un po’ lo stesso.
Nel nostro caso è stato importante anche il messaggio comunicato e il commitment del vertice aziendale: lo facciamo non perché dobbiamo farlo, non è obbligatorio, ma perché è importante per noi, perché ci crediamo, perché crediamo che le competenze vadano valorizzate e allora quello che facciamo è “solo” dare le stesse possibilità.
Qual è la più grande soddisfazione personale che hai avuto in questi anni in questo ambito?
Essere arrivati ad avere un Comitato esecutivo composto in maniera paritaria da uomini e donne: è stato un traguardo incredibile. Avere finalmente, dopo parecchi anni, un amministratore delegato donna italiana, è epocale. Queste sono cose che veramente fino a pochi anni fa non riuscivi neanche ad immaginare. Sono queste, per me, le soddisfazioni vere.
Come anche raccontare alle ragazze, nei percorsi di mentoring interni, che non si tratta di una favola, ma di qualcosa che è possibile. Il nostro attuale Amministratore Delegato ha iniziato in azienda nell’ambito del customer service… E non è successo per miracolo, ma perché ha lavorato su se stessa, ci ha creduto, ma ha lavorato anche in un’azienda dove c’erano le condizioni per farlo. è quindi possibile!
C’è ancora qualcosa su cui lavorare per rendere tutto migliore?
Ho in mente almeno due punti.
Il primo punto è che, in Italia, prevale ancora una cultura nella quale purtroppo alcuni ambiti sono ancora considerati appannaggio più degli uomini che delle donne. Come azienda, facciamo fatica ancora adesso a trovare donne in ambito STEM, pur essendo una realtà ad alto contenuto tecnico. La nostra CEO, quando ci lamentavamo della difficoltà di trovare donne in questo ambito, ha fatto un conto rapido e ci ha detto: «Solo il 25% delle donne si laurea in ambito STEM? A voi ne servono 50 all’anno? Quindi questa percentuale c’è, le potete trovare». Questo significa avere visione. Se io mi concentro sulla difficoltà di trovarle, non le troverò mai. Se considero la difficoltà un obiettivo, trovo il modo di raggiungerlo… Per questo stiamo lavorando molto anche per contribuire a cambiare la cultura: ad esempio, partecipiamo come role model nelle scuole superiori portando la nostra testimonianza. E qualcosa, rispetto a qualche tempo fa, sta effettivamente cambiando. Insomma, ci stiamo arrivando, anche se piano piano.
Il secondo punto riguarda l’equilibrio vita professionale e vita privata. Anche qui abbiamo ancora tanta strada da fare, perché i manager devono imparare a gestire le persone a distanza, a lavorare per obiettivi, a dare feedback. In questo non siamo perfetti, siamo pronti, ma abbiamo ancora tanto da fare.
Cosa diresti a chi pensa che il tema della parità di genere sia un tema ormai superato?
Finché se ne parla vuol dire che non è superato. Quello che io desidero è che non se ne parli più, perché allora vorrà dire che sarà stato superato davvero. Se oggi ne parliamo ancora, è perché c’è bisogno di parlarne, anche se da noi in Engie la cultura è davvero cambiata rispetto al passato.
Se parlo con amiche e colleghe di altre aziende, sento che ci sono ancora grossi problemi. E non è una questione di linguaggio. Tante cose anche noi donne le abbiamo un po’ sdoganate, ma in alcuni contesti, per avere successo, devi avere determinate caratteristiche che sono “maschili” e i discorsi sulla leadership gentile sono ancora poca cosa. Pensiamo, per fare un parallelismo, al divieto di fumo negli uffici: adesso nessuno si lamenta, perché è diventato normale. Sono quelle cose che quando saranno normali non se ne parlerà più.
Quanto pensi che la tua presenza abbia agevolato tutto quello che adesso c’è in ENGIE? L’HR è un traghettatore di cultura inclusiva, secondo te?
Io penso che l’HR sia il facilitatore di questo processo, nel senso che deve essere l’olio nella macchina, deve portare, spingere, ma da solo non fa nulla. Se è solo l’HR che rema in una certa direzione, ma non ha terreno fertile, non ha un commitment dall’alto, non ha manager che lo seguono e che lavorano tutti i giorni con le persone, allora da solo non riuscirà ad ottenere nulla. È l’abilitatore, quello che deve portare le novità o, se le porta qualcun altro, le deve saper appoggiare e deve spiegare perché sono importanti, oltre che lavorare su un monitoraggio costante dell’andamento delle iniziative.
C’è proprio bisogno di lavorare tutti insieme per cambiare!