La crescente attenzione emersa nel corso degli ultimi decenni nel dibattito pubblico, così come negli studi organizzativi nei confronti della “conciliazione vita-lavoro”, può essere letta anche alla luce delle rilevanti trasformazioni che hanno caratterizzato sia il mercato del lavoro più in generale, che le esperienze soggettive e familiari degli individui e delle donne in particolare.
Sul primo fronte possiamo richiamare la progressiva differenziazione dei soggetti presenti all’interno del mercato del lavoro e delle organizzazioni, e in particolare l’aumento della presenza femminile, che si intreccia con i crescenti processi di flessibilizzazione e digitalizzazione del lavoro. Sul piano, invece, dei cambiamenti che hanno caratterizzato i vissuti individuali e gli ambiti relazionali, vanno ricordati il progressivo invecchiamento della popolazione (e la conseguente affermazione di nuovi bisogni di cura), la ridefinizione nella divisione dei ruoli all’interno delle famiglie, il restringimento delle reti familiari di supporto, fino all’imporsi di percorsi e traiettorie biografiche sempre più connotate dalla dimensione dell’incertezza. Tutti questi processi hanno contribuito a rendere più fluide le transizioni tra differenti ambiti vitali, rendendo urgente la ricerca di un’effettiva sostenibilità dell’intreccio tra i diversi domini vitali (Poggio 2022). È in questo scenario che si colloca lo sviluppo di una serie di strumenti e dispositivi mirati a promuovere un equilibrio più sostenibile tra l’impegno lavorativo extra-domestico e altri spazi e carichi di vita, tra cui in primis quelli legati alla cura.
In questo contributo vorrei in particolare evidenziare come strategie e pratiche di conciliazione possano dimostrarsi efficaci solo se capaci di adattarsi alle diverse esigenze e caratteristiche dei soggetti che operano all’interno delle organizzazioni, tenendo conto delle loro specificità, in relazione ai vari assi della diversità (genere, età, situazione familiare, appartenenza etnica, condizione contrattuale, ecc.), così come alle differenti fasi dei corsi di vita. Ciò significa sviluppare strumenti capaci di rispondere a diverse esigenze e contesti, evitando il rischio di un’eccessiva standardizzazione. È in tal senso utile ricordare che la tendenza a destinare questo tipo di politiche esclusivamente a specifici target, in particolare alle donne con figli, può avere conseguenze problematiche in termini di riproduzione di quegli stereotipi e squilibri che si vorrebbero superare. Al contempo cercherò di argomentare come l’adozione di politiche di conciliazione possa avere implicazioni positive anche in termini di valorizzazione e promozione delle diversità, nella misura in cui le politiche consentono di sostenere in particolare soggetti e categorie a maggior rischio di vulnerabilità.
1. Una gestione diversificata della conciliazione vita-lavoro
Il successo delle politiche di conciliazione tra vita personale e professionale è legato in modo imprescindibile sia alle particolari caratteristiche dei gruppi sociali a cui sono rivolte, sia alle esigenze relative alle traiettorie personali e professionali dei singoli individui che ne usufruiscono, esigenze che cambiano nel tempo, a seconda delle diverse fasi del ciclo di vita. Ciò significa che le strategie di conciliazione possono risultare efficaci solo se in grado di tener conto di tale variabilità (Santoni e Crespi 2022).
Risulta in particolare necessario rivolgere attenzione alle due principali articolazioni della diversità: quella orizzontale (relativa alla pluralità di differenze presenti nei contesti lavorativi) e quella verticale (relativa alla dimensione longitudinale dell’esperienza biografica).
Sul primo versante, possiamo osservare come, nei contesti sociali, le differenze di genere, generazionali, di classe, di provenienza e cultura, di abilità, di orientamento sessuale o identità di genere abbiano rilevanti conseguenze sul piano delle aspettative e dei comportamenti relativi sia alla partecipazione al mercato del lavoro, sia all’impegno domestico e di cura. Soggetti appartenenti a diversi gruppi e categorie sociali possono infatti avere diverse strategie di adattamento e differenti modelli culturali che influiscono sull’intreccio tra lavoro e vita privata (Beauregard et al. 2020). Tutto ciò ha a sua volta implicazioni rispetto al tipo di equilibrio atteso tra le varie sfere vitali e nell’attribuzione delle diverse responsabilità. Tenerne conto può consentire di modellare politiche e interventi individualizzati, in grado di ridurre l’eventuale rischio di inasprire squilibri e diseguaglianze esistenti.
Appare dunque necessario che le iniziative di conciliazione tengano conto della pluralità di differenze e appartenenze che attraversano la società e il mondo del lavoro in particolare, in una prospettiva comprendente, inclusiva e intersezionale, mirata a favorire una piena opportunità di partecipazione a tutti gli individui, limitando i rischi di esclusione e discriminazione (Syed 2015).
A ciò si aggiunge la consapevolezza che un approccio alla conciliazione rivolto in via esclusiva ad alcune categorie (in particolare le donne, limitatamente alla fase in cui hanno figli piccoli) presenta numerose criticità, tra cui soprattutto il rischio di riprodurre quegli stessi stereotipi che stanno alla base delle rilevanti diseguaglianze di genere ancora presenti nel mercato del lavoro. È il caso della cosiddetta mommy track (Benshop e Dooreward 1998) ovvero della definizione di una specifica traiettoria per le madri lavoratrici che, in cambio della possibilità di conciliare lavoro e cura dei figli, prevede la rinuncia ad ogni chance di avanzamento professionale: un fenomeno che in Italia si è affermato soprattutto all’interno del settore pubblico, ambito che ha visto un rilevante processo di femminilizzazione, legato anche alle maggiori opportunità di conciliazione, al costo tuttavia di un’elevata segregazione verticale. Può essere letta attraverso questa lente anche l’ampia diffusione dei contratti a tempo parziale tra le lavoratrici madri, con le relative implicazioni critiche sia in termini di divario salariale che previdenziale, che ancora di limitazione delle prospettive professionali.
Per quanto riguarda invece il secondo versante, possiamo invece ricordare come, lungo il percorso biografico, le persone si trovino ad affrontare bisogni differenti in relazione alle diverse fasi della vita: dai vari impegni di cura, ad altri tipi di necessità, opportunità o criticità che possono emergere nel corso di vita. Si pensi ad esempio alle situazioni legate ai diversi cicli di vita familiare: la gravidanza e l’accudimento di figli in età prescolare o adolescenziale; la cura di genitori anziani o di familiari non auto-sufficienti; le difficoltà legate alla gestione di crisi familiari, come una separazione, un divorzio oppure un lutto. O ancora all’esigenza di completare un ciclo di studi o di seguire dei percorsi formativi, oppure alla necessità di affrontare cambiamenti professionali od organizzativi (legati ad esempio alle trasformazioni tecnologiche), piuttosto che di gestire esperienze di sofferenza o malattie croniche.
Strategie e pratiche di conciliazione devono necessariamente tenere conto di queste diverse articolazioni di vissuti ed esperienze, evitando il rischio sotteso a logiche di standardizzazione degli interventi. L’illusione che i dispositivi di conciliazione possano essere applicati in modo indifferenziato e siano ugualmente utili per tutti i soggetti è in effetti uno dei principali limiti nell’implementazione di questo tipo di interventi. Possiamo ad esempio riferirci all’utilizzo di strumenti come lo smart-working, che ‒ come abbiamo visto anche durante la pandemia di Covid19 ‒ ha avuto conseguenze diverse in relazione alle diverse caratteristiche e condizioni delle persone che lo hanno utilizzato, o anche alla più generale esigenza di evitare possibili conflitti tra sfere di vita concorrenti che non sono standardizzabili per ogni individuo, ma richiedono modalità di applicazione e gestione flessibili e ritagliate in base agli specifici bisogni ed esperienze di coloro che ne usufruiscono (Santoni e Crespi 2022).
È in questa prospettiva che alcuni autori, come ad esempio Ponzellini e Riva (2014), invitano a valorizzare maggiormente la logica organizzativa alla base dell’intreccio tra politiche di conciliazione e di Diversity Management, andando oltre la sola dimensione della giustizia sociale e del riconoscimento di diritti, in modo da riconoscere anche le ricadute positive sul piano della produttività e della convenienza economica, e di promuovere il cambiamento e l’innovazione organizzativa.
2. Se la conciliazione incentiva la diversità
Dopo aver cercato di evidenziare in che modo l’attenzione alle diversità rappresenti una condizione imprescindibile delle politiche di conciliazione, vorrei ora condividere alcune considerazioni su come l’impegno organizzativo, volto a favorire la conciliazione tra sfera personale e impegno lavorativo, possa rappresentare una dimensione cruciale per promuovere e valorizzare le diversità.
Alcune ricerche hanno infatti messo in luce come l’adozione di dispositivi e politiche di conciliazione abbia implicazioni positive non solo sul fronte del benessere organizzativo, ma anche in termini di valorizzazione e promozione delle diversità, nella misura in cui può consentire di sostenere in particolare soggetti e categorie a maggior rischio di vulnerabilità. Ad esempio, da una rassegna condotta da Kalev e Dobbin (2022) negli Stati Uniti, che ha considerato oltre 800 aziende nel corso di 30 anni, è emerso che, nei casi in cui le aziende avevano adottato politiche di conciliazione, le percentuali di manager donne bianche così come di manager neri, ispanici e asiatici americani ‒ sia uomini che donne ‒ erano aumentate in modo significativo. Secondo i due studiosi la spiegazione sarebbe legata al fatto che tali gruppi sociali si trovano ad affrontare esigenze più complesse e impegnative rispetto alla gestione dell’equilibrio tra lavoro e vita privata. Ad esempio, le donne di colore presentano maggiori probabilità di essere genitori single rispetto agli uomini bianchi: sono infatti single le madri a capo del 41% delle famiglie nere e del 25% di quelle ispaniche rispetto al 13% di quelle bianche. Va inoltre ricordato come negli Stati Uniti le persone di colore dispongano di minori risorse e svolgano più spesso lavori scarsamente retribuiti, con maggiori rischi di povertà. Tutto questo fa sì che abbiano minori possibilità di accedere a servizi di assistenza all’infanzia affidabili, in modo da poter mantenere il proprio lavoro e sviluppare l’esperienza necessaria per poter crescere professionalmente. La presenza di strumenti di conciliazione a supporto della cura dei figli rappresenta dunque per questi gruppi sociali un fattore cruciale per poter mantenere un lavoro o raggiungere posizioni di maggiore prestigio. Secondo gli autori il sostegno alla conciliazione ha dunque un duplice effetto positivo sulla diversità: da un lato, se offerto in modo universalistico, migliora le condizioni di lavoro di tutti, ma soprattutto di coloro che si trovano in situazioni meno favorevoli (come spesso avviene per i gruppi sociali meno privilegiati), dall’altro favorisce la diversità manageriale, aumentando la possibilità per le donne e per i gruppi meno privilegiati, di accedere a percorsi di carriera. Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte in relazione ad altri assi della diversità, a partire dalla consapevolezza che esistono gruppi o individui (come, ad esempio, le generazioni più giovani, più spesso caratterizzate da condizioni contrattuali precarie, oppure donne di coorti più avanzate con familiari non autosufficienti a carico) che, pur avendo responsabilità di cura rilevanti, tendono ad essere esclusi dall’accesso a strumenti e benefit di conciliazione.
3. Conclusioni
In questo contributo si è cercato di sottolineare il profondo intreccio esistente tra politiche di conciliazione e interventi organizzativi mirati alla promozione delle diversità, evidenziandone le diverse direzioni. Adottare una prospettiva capace di porre in dialogo attenzione alla conciliazione e valorizzazione delle diversità, ha tuttavia alcune implicazioni di metodo che credo sia utile richiamare.
In primo luogo, si pone la necessità di approfondire la conoscenza dei diversi significati e delle diverse articolazioni che la conciliazione tra sfera privata e lavorativa può avere per gruppi sociali e individui diversi, che passa anche per la conduzione di attività di ricerca volte alla mappatura e all’analisi dei bisogni. A ciò, devono fare seguito processi di progettazione e di intervento, il più possibile partecipati, volti alla promozione di azioni e strumenti in grado di tenere conto della pluralità di appartenenze e vissuti presenti all’interno dei contesti lavorativi, sia in un’ottica orizzontale che verticale. In tal modo è possibile evitare i rischi di standardizzazione e omogeneizzazione dei modelli di conciliazione, valorizzando quando possibile una prospettiva intersezionale. Infine, si sottolinea l’esigenza di un accurato e continuo monitoraggio di azioni e processi, finalizzato a verificarne l’efficacia, ma soprattutto ad assicurarsi che le ricadute degli interventi non rischino di accrescere le asimmetrie esistenti, escludendo proprio soggetti e gruppi caratterizzati da minori risorse e da maggiore vulnerabilità.
Bibliografia
Beauregard, A., Adamson, M., Kunter, A., Miles, L. e Roper, I.
2020 Diversity in the work-life interface: Introduction to the Special Issue, in «Equality, Diversity and Inclusion: An International Journal», 39 (5), pp. 465-478.
Benshop, I., Dooreward, H.
1998 Covered by Equality, The Gender Subtext of Organizations, in «Organization Studies», 19(5), pp. 787-805.
Kalev, A., Dobbin, F.
2022 The surprising benefits of work/life support, in «Harward Business Review», September-October.
Ponzellini, A.M., Riva, E.
2014 Work-life balance e performance aziendale nella prospettiva del Diversity Management, in «Sociologia del lavoro», 34, pp. 84-102.
Poggio, B.
2022 Né equilibriste, né concilianti. Alla ricerca di lenti interpretative per intrecci complessi e confini permeabili, in L. Malfer, M. Dorigatti (a cura di), Politiche familiari, coesione sociale e benessere, ViTrenD, Trento, pp. 139-152.
Santoni, C., Crespi, I.
2022 Conciliazione famiglia e lavoro tra smart-working e diversity management. Una riflessione su pratiche e nuove semantiche, in «Autonomie locali», 1, pp. 45-66.
Syed, J.
2015 Work-life Balance, in J. Syed e M. Ozbilgin (a cura di), Managing Diversity and Inclusion: An International perspective, Sage, London, pp. 291-314.