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Nuove tecnologie e lavoro: sfide, rischi e opportunità

1. Introduzione

Stiamo assistendo in questo periodo storico a profondi cambiamenti nel mondo del lavoro che, per certi versi, la pandemia può sicuramente aver accelerato, ma che erano indubbiamente presenti da prima.

Nel mio intervento, in cui propongo una lettura delle modifiche del lavoro e delle richieste ai lavoratori da un punto di vista psicologico e psicosociale, considererò, secondo una visione a più livelli e di sistema, i fattori macroeconomici, tecnologici e organizzativi e il loro impatto sul lavoro e sulle persone che lavorano.

2. Un mondo senza più confini di spazio e di tempo

Uno dei primi elementi, a livello macroeconomico, è la globalizzazione. Sebbene quest’ultima venga considerata un fenomeno generale e unico, tuttavia non è così, soprattutto se lo affrontiamo secondo una visione produttiva che tenga conto della tecnologia e del suo impatto sul lavoro, come ha ben sottolineato Baldwin [1]. Se consideriamo la globalizzazione dal punto di vista dello sviluppo delle tecnologie, l’autore osserva che essa può essere scomposta in tre diverse fasi.

Prima fase: iniziata con la scoperta della tecnologia del vapore e l’industrializzazione. Questa prima fase ha cambiato non solo i sistemi di produzione, ma, con l’avvento dei battelli a vapore e delle ferrovie, ha anche favorito lo spostamento delle merci.

Seconda fase: lo sviluppo delle tecnologie. Tale sviluppo ha ulteriormente ridotto gli spostamenti e abbassato i costi di trasporto, cosa che ha aumentato gli scambi da un lato e ha reso ancor più efficienti dall’altro le modalità di produzione. Questa seconda fase di espansione ha subito uno stop durante le due guerre mondiali, per poi riprendere successivamente. Negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso si è inoltre assistito a uno spostamento da parte delle industrie delle proprie unità produttive in paesi con costo del lavoro minore, cosa che ha prodotto il fenomeno della delocalizzazione della produzione. La stessa catena di valore si è modificata, con un abbassamento significativo dei costi di produzione, mentre rimanevano, e rimangono tuttora, più alti i costi di progettazione da un lato e quelli di distribuzione puntuale e assistenza al cliente dall’altro.

Terza fase: che possiamo identificare con l’esplodere della Information and Communication Technology (ICT) e con l’avvento dei personal computer, Internet e la comunicazione mediata dal computer, a partire dagli anni Duemila. L’ICT sempre più avanzata comporta infatti non più un semplice spostamento delle merci o della produzione, ma anche, e soprattutto dei servizi. L’utilizzo di strumenti come i programmi per videoconferenza, le applicazioni per la comunicazione e l’instant messaging, permettono ora come ora di accedere a servizi ovunque nel mondo, senza confini fisici.

Intesa in questo modo la globalizzazione si è spostata via via da una riduzione di distanze e dalla delocalizzazione delle produzioni alla delocalizzazione dei servizi e della conoscenza.

Si sono sviluppati quelli che Baldwin[2] definisce i telemigranti, ovvero figure professionali che, pur posizionate nel proprio paese di origine e senza bisogno di spostarsi, forniscono prestazioni lavorative in altri paesi: dal manutentore di un determinato macchinario che, grazie anche all’utilizzo di occhiali a realtà aumentata, guida un operaio nella riparazione del macchinario posizionato a migliaia di chilometri di distanza da lui, ai docenti che forniscono formazione a distanza ad alunni anch’essi posizionati in altri continenti.

3. La caduta delle piramidi organizzative

Un altro aspetto su cui vorrei portare l’attenzione, strettamente legato al precedente, è lo sviluppo di forme di produzione diverse dal passato.

Le nuove tecnologie non solo ci hanno liberato per certi versi dal lavoro fisico, ma hanno prodotto anche nuove forme di organizzazione.

Si è passati dalle organizzazioni in linea altamente gerarchizzate, proprie della seconda rivoluzione industriale e legate alle modalità di produzione a catena di montaggio (fordismo), a forme organizzative sempre meno piramidali.

La lean production, che si basa da un lato sul bisogno del cliente e dall’altro sulla partecipazione delle persone al miglioramento dei processi produttivi, ha permesso la costruzione di organizzazioni sempre meno gerarchizzate.

Il lavoro di gruppo è divenuto sempre più indispensabile, al tempo stesso, la perdita di gerarchia ha portato sì coinvolgimento, ma anche sempre più responsabilità, e non solo autonomia, sui singoli individui.

La lean production ha subìto, a seconda dei diversi tipi di prodotto, modifiche via via maggiori, pur mantenendo i principi di base (orientamento al cliente, attenzione alla qualità del lavoro e riduzione degli sprechi); si sono così introdotti, tra gli altri, il management by objectives, le organizzazioni a matrice e lo sviluppo delle task forces. Tutti strumenti di flessibilità, ma anche di estremo appiattimento della piramide gerarchica, ulteriormente semplificata dalla riduzione delle strutture organizzative attraverso operazioni di downsizing e conseguente outsourcing.

4. Cosa significa lavorare

Il lavoro spesso è considerato nella sua caratteristica fondamentale e di base, ovvero lo scambio tra una prestazione e un compenso, identificato nel salario. Lavorare significa essere chiamati a rispondere a richieste, ad attuare comportamenti definiti, per lo più imposti dall’esterno, per i quali si viene valutati e grazie ai quali si percepisce un compenso.

Tuttavia, sotto l’aspetto psicologico esistono altre funzioni che il lavoro assolve oltre allo scambio. Lavorare significa sentirsi competenti nel produrre qualcosa di importante per sé e per gli altri e al tempo stesso aumentare il proprio senso di autoefficacia.

Lavorare permette di definire aspetti della propria identità personale, derivanti dall’appartenere a un certo gruppo e a una certa organizzazione e, di conseguenza, sviluppare, proprio in funzione di tale appartenenza, una propria identità sociale. Lavorare significa ottenere riconoscimenti per il proprio contributo.

Lavorare significa essere un membro attivo nella società e legittimare il proprio status al suo interno. Questi sono aspetti del lavoro che attengono sia a dimensioni identitarie sia a dimensioni sociali; in quanto nel lavoro costruisco relazioni.

Blustein[3] ha identificato tre significati del lavoro che ben riassumono quanto appena detto:

1. Il lavoro come mezzo di sostentamento e di acquisizione di prestigio sociale e status;

2. Il lavoro come mezzo per costruire relazioni sociali e interconnessioni significative,

3. Il lavoro come strumento di autodeterminazione, ovvero in grado di permettere di essere autonomi, sentirsi efficaci e, di conseguenza, aumentare la propria autostima.

Gli stessi aspetti sono presenti nella definizione del lavoro dignitoso (decent work). L’International Labour Organization (ILO) negli anni ha messo in evidenza come il lavoro dignitoso non possa essere ridotto ai soli aspetti economici e di salario, ma debba tenere presente dimensioni soggettive che riguardano lo sviluppo di skills dei lavoratori e delle lavoratrici da un lato e, dall’altro, elementi relativi all’equità organizzativa e alla sicurezza del lavoro, principalmente di carattere fisico, ma anche di carattere psicosociale, nell’ottica di un lavoro centrato sulle persone. Per esempio, nelle recenti analisi da parte dell’osservatorio, si è constatato che la pandemia ha prodotto a livello lavorativo un notevole aumento delle disuguaglianze, non solo nei salari, ma anche, e in questo ambito direi soprattutto, a livello delle tecnologie (digital divide) per quanto riguarda categorie di lavoratori più anziani (che le conoscono meno), oltre a una diminuzione delle ore di lavoro remunerato e a un impegno di lavoro domestico che è rimasto in carico alle donne, aumentando ulteriormente le diseguaglianze di genere[4].

5. La relazione individuo-organizzazione

Un ulteriore aspetto che considero importante nell’ambito del lavoro è la relazione individuo-organizzazione e il suo sviluppo nel tempo.

Da questo punto di vista, la relazione lavoratore e lavoratrice con l’organizzazione può svilupparsi su tre dimensioni[5]:

1. Relazione di scambio, in questo caso il focus è l’aspetto economico e il legame salario-prestazione.

2. Relazione di appartenenza, riguarda il fatto di sentirsi parte dell’organizzazione, con tutto quello che ne comporta nella definizione di se stessi in termini di identità sociale. Per esempio, appartenere a una organizzazione prestigiosa comporta una definizione positiva della propria identità, in quanto membro della medesima, mentre appartenere a una organizzazione con problemi di affidabilità e con una reputazione negativa mette in discussione la propria identità positiva.

3. Relazione tecnico-fattuale, in cui l’attenzione è relativa alle competenze e alla prestazione lavorativa in senso stretto.

A seconda di come si organizzano queste tre dimensioni si sviluppano relazioni differenti individuo-organizzazione, legate anche a ruoli e figure professionali altrettanto differenti. Per esempio, un libero professionista di esperienza, che viene momentaneamente incaricato di una consulenza, avrà una relazione che si caratterizza per un alto livello di scambio, un basso livello di appartenenza e sarà principalmente di tipo tecnico-fattuale in quanto viene remunerata la propia competenza. In modo analogo, un tirocinante o apprendista sarà per lo più interessato alle dimensioni tecnico fattuali (imparare un mestiere) ed eventualmente di appartenenza, e meno a quelle economiche di scambio.

Tali dimensioni rientrano anche nella definizione di “contratto psicologico”[6], ovvero un insieme di aspettative reciproche tra individuo e organizzazione, non meno vincolanti del contratto formale, riguardanti aspetti come la fiducia, la correttezza e giustizia organizzativa e la buona fede. In questo caso sono dimensioni implicite, che vanno, per esempio, dal fatto che l’immagine dell’organizzazione va tutelata dal dipendente da un lato e che l’organizzazione stessa dall’altro si preoccupa di essere coerente e corretta nelle relazioni con il dipendente, per esempio per quanto riguarda i premi e gli avanzamenti di carriera (giustizia organizzativa).

Il contratto psicologico può essere collocato all’interno di un continuum, i cui due poli sono rappresentati da un lato dal contratto di tipo transazionale, in cui è presente unicamente la dimensione dello scambio economico (salario-prestazione), il polo opposto lo si definisce relazionale e riguarda principalmente dimensioni di fiducia, fedeltà, appartenenza e commitment tra individuo e organizzazione, più profondo, ma che richiede più tempo per essere costruito.

In altre parole, il primo polo ha a che fare con aspetti meramente economici e di scambio, il secondo con aspetti principalmente affettivi e identitari, ovvero legati all’appartenenza.

6. Leggere le trasformazioni alla luce della psicologia

La globalizzazione, le nuove tecnologie e le richieste derivanti dalla pandemia hanno portato profondi cambiamenti su tutti i punti appena considerati e nelle richieste a chi lavora. Lo stesso smart working, fino a 3 anni orsono, veniva considerato come uno strumento motivazionale per la soddisfazione dei bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori e per la conciliazione vita privata-lavoro[7]; nella pandemia si è trasformato in uno strumento indispensabile per la continuità e sopravvivenza delle organizzazioni stesse, divenendo così uno strumento per la soddisfazione dei bisogni delle organizzazioni.

La diffusione successiva delle modalità a distanza, grazie alle nuove tecnologie, ha tuttavia condotto a nuove richieste e nuovi modi di concepire il lavoro stesso. In particolare, possiamo considerare i seguenti effetti:

1. sviluppo di modalità di lavoro che richiedono conoscenze di progettazione e sempre più orientate agli obiettivi;

2. sviluppo di organizzazioni sempre meno verticistiche e sempre più a matrice con flussi di lavoro per progetti (management by objectives);

3. maggiore responsabilità sui lavoratori nello svolgimento del proprio lavoro;

4. maggiore necessità di lavorare in gruppo mettendo insieme conoscenze complesse;

5. maggiore frammentazione dei processi di lavoro e sviluppo della dicotomia tra lavori poveri di contenuti e lavori ricchi di contenuti e competenze;

6. sviluppo di lavoro a distanza con la possibilità di controllo da parte delle nuove tecnologie;

7. aumento delle disuguaglianze tra lavori ricchi (cognitivamente ed economicamente) e lavori poveri di contenuti e ripetitivi;

8. sviluppo di lavori di prossimità, gli unici che non entrano in concorrenza con lCT, ovvero tutti quei lavori che necessitano di competenze relazionali, intelligenza emotiva e cognitiva. In altre parole, lavori in cui l’umanità è un fattore portante.

Sembra inoltre risultare profondamente mutata la relazione individuo-organizzazione, sia da un punto di vista di appartenenza e identità, con uno spostamento verso contratti psicologici per lo più transazionali e sempre meno relazionali, sia da un punto di vista delle dimensioni psicosociali sempre meno sviluppate in presenza e sempre più mediate dal computer, con il conseguente impoverimento delle relazioni, il diluirsi del sentimento di appartenenza all’organizzazione stessa e la relativa perdita di aspetti dell’identità sociale a questa legata. In questo caso si assiste alla perdita delle funzioni psicosociali del lavoro.

Se non si considereranno in futuro questi cambiamenti e la loro portata sulle dimensioni relazionali e di crescita e sviluppo delle competenze, non solo tecniche, ma anche, e forse soprattutto, trasversali (soft skills), a mio avviso si rischia un forte impoverimento dei contenuti del lavoro e un altrettanto forte isolamento dei lavoratori con conseguenze davvero impattanti sul benessere e sulla perdita delle funzioni psicologiche del lavoro, fondamentali per la crescita personale e sociale di ognuno di noi.

D’altro canto, i cambiamenti comportano anche opportunità. Da questo punto di vista la globalizzazione e le nuove tecnologie non possono essere certo contrastate: il numero di operazioni che un computer produce in un secondo non sono nemmeno immaginabili per una persona e, al tempo stesso, l’Intelligenza Artificiale permette di gestire enormi quantità di dati (Big Data) in contemporanea nemmeno avvicinabili alle migliori capacità umane.

Tuttavia, queste tecnologie hanno fatto emergere l’importanza e l’insostituibilità di alcune fondamentali qualità umane ‒ già segnalate più sopra quando si è fatto riferimento alle soft skills ‒ e riassumibili nella capacità dell’essere umano di costruire relazioni e vicinanza. Per esempio, posso fare diagnosi con una macchina e grazie a una macchina, ma non posso farmi sostituire nella relazione con il paziente e nel suo accudimento; posso certo organizzare una riunione online con molte persone, ma la qualità delle informazioni e la creatività di un gruppo in presenza sono difficilmente raggiungibili dalle cosiddette “call”[8]. La comunicazione empatica, l’autoconsapevolezza, la relazione interpersonale, la fiducia e gli aspetti profondi della comunicazione non verbale sono alcune tra le qualità e opportunità a cui questo cambiamento ci pone di fronte. Un cambiamento che richiederà sempre di più di attingere alla nostra umanità e che pertanto per realizzarsi non potrà che essere locale; ovvero in presenza e in relazione.

Note

[1] R. Baldwin (2016), The Great Convergence, Cambridge, Mass., The Belknap Press of Harvard University Press; trad. it. La grande convergenza, Il Mulino, Bologna 2018.

[2] R. Baldwin, Il futuro della globalizzazione, in «il Mulino», 1, gennaio-febbraio 2019, pp. 135-137.

[3] D.M. Blustein (2006), The Psychology of Working, Mahwah, N.J., Erlbaum; trad. it. Una nuova psicologia del lavoro, Hoepli, Milano 2009.

[4] ILO, World Employment and Social Outlook: Trends 2022, International Labour Office, Geneva 2022.

[5] G. Sarchielli, Divenire lavoratore: nuove esigenze identitarie e di socializzazione, in «Enaip Formazione & Lavoro», 1, 2009, pp. 109-121.

[6] M.D. Rousseau, Psychological and Implied Contracts in Organizations, in «Employee Responsibilities and Rights Journal», 2, 2, 1989, pp. 122-139.

[7] F. Toscano, S. Zappalà, Smart working in Italia: origine, diffusione e possibili esiti, in «Psicologia sociale, Social Psychology Theory & Research», 2, 2020, pp. 203-223.

[8] D. Malaguti, Riuniti a distanza, in «il Mulino», 2020, https://www.rivistailmulino.it/a/riuniti-a-distanza.

Bibliografia

Baldwin, R.
2016 The Great Convergence, Cambridge, Mass., The Belknap Press of Harvard University Press; trad. it. La grande convergenza, Bologna, Il Mulino, 2018. 2019 Il futuro della globalizzazione, in «il Mulino», 1, gennaio-febbraio, pp. 134-143.

Blustein, D.M.
2006 The Psychology of Working, Mahwah, N.J., Erlbaum; trad. it. Una nuova psicologia del lavoro, Milano, Hoepli, 2009.

ILO
2022 World Employment and Social Outlook: Trends 2022, Geneva, International Labour Office.

Malaguti, D.
2020 Riuniti a distanza, in «il Mulino», https://www.rivistailmulino.it/a/riuniti-a-distanza.

Rousseau, M.D.
1989 Psychological and Implied Contracts in Organizations, in «Employee Responsibilities and Rights Journal», 2, 2, pp. 122-139.

Sarchielli, G.
2009 Divenire lavoratore: nuove esigenze identitarie e di socializzazione, in «Enaip Formazione & Lavoro», 1, pp. 109-121.

Toscano, F., Zappalà, S.
2020 Smart working in Italia: origine, diffusione e possibili esiti, in «Psicologia sociale, Social Psychology Theory & Research», 2, pp. 203-223

Autore

  • È psicologo del lavoro e delle organizzazioni, psicoterapeuta e formatore e ha insegnato Psicologia del lavoro e delle organizzazioni nell’Università di Bologna. È professore a contratto con titolarità di cattedra nel Dipartimento di Sociologia dell’Università di Trento, dove insegna Psicologia clinica e del lavoro. In ambito organizzativo si occupa di competenze trasversali e manageriali, sviluppo e consulenza di carriera, team building, leadership, gestione dei conflitti, comunicazione interpersonale e analisi della cultura organizzativa. Ha lavorato, tra l’altro, con istituzioni accademiche come le Università di Trento e di Bologna, con i Servizi del Sistema Sanitario Nazionale e si occupa di consulenza organizzativa e formazione per organizzazioni cooperative nell’ambito del no profit.