Nella mia professione di maestra elementare ho sperimentato che la scuola è un luogo interiore ed esteriore in cui la conciliazione trova il suo spazio vivente, sia per i maestri che per i bambini e può veramente diventare una delle prime “palestre” in cui iniziare ad allenare la capacità di conciliare.
Conciliare che per me significa accogliere tutta la complessità che sentiamo, sia interiormente che nelle relazioni, e saperla costantemente trasformare in qualcosa di vitale, di nuovo e di creativo che solo le differenze sono in grado di generare. Partendo da me e dal mio ruolo di maestra, che vivo all’interno del contesto delle scuole Waldorf, il primo ambito della conciliazione e su cui costantemente lavoro è sicuramente quello interiore, considerando che l’educazione è imprescindibile da una costante autoeducazione.
Il primo lavoro che ho imparato a fare è quello su di me per sapermi preparare e predisporre interiormente ad affrontare il mio lavoro di maestra. So, infatti, che non devo mai entrare in classe portando il mio ego, in cui possono abitare paure, giudizi, pregiudizi, tensioni ed intemperanze; è la verità del mio io che deve entrare in contatto con i bambini, un io spontaneo ma non reattivo, un io maturo, preparato interiormente, un io che sceglie e sente ogni giorno la missione e la vocazione della maestra. Ogni educazione ha, quindi, come base un grande lavoro di autoeducazione in cui è fondamentale trovare il proprio centro e ritrovarlo ogni giorno nel momento in cui si varca la porta della classe. Questo significa anche incontrare i propri dubbi e le proprie inadeguatezze per lavorarle e saperle trasformare in modo costruttivo, sempre convinti che si poteva fare meglio, ma sicuri di aver fatto sempre quello che si sentiva autenticamente vero. E cosi la prima conciliazione è quella dentro sé stessi, tra il proprio ego ed il proprio io autentico, nella permanente ricerca di una solida centratura che i bambini avvertono in modo istintivo ed immediato. Avvertono la sincerità delle intenzioni e dei sentimenti, avvertono i pensieri, si lasciano avvolgere dall’entusiasmo, ma solo se autentico.
Solo dopo un profondo e sincero lavoro su e con sé stessi è possibile l’incontro con la classe nel suo insieme, con il suo colore e le sue peculiari caratteristiche e l’incontro con ogni bambino, nella sua specificità e la sua unicità.
È il terreno in cui conciliare significa combinare insieme l’obiettivo della crescita e dell’apprendimento con tutte quelle spinte che nei bambini a volte resistono a questo, o meglio richiedono di stimolare l’apprendimento in modo coerente con i loro tempi, predisposizioni, temperamenti.
Ogni bambino, infatti, è portatore di particolarità e differenze ed il lavoro non è volto direttamente alla conquista di capacità e competenze standardizzate, ma all’armonizzazione del proprio temperamento, alla scoperta graduale del proprio sé. Nella nostra formazione di maestri dedichiamo un grande approfondimento allo studio dei 4 temperamenti che differenziano i bambini tra di loro proprio perché educare per noi è prima di tutto comprendere le necessità e le qualità di ogni bambino per poi svilupparlo nella propria individualità. E cosi tra le prime cose cerchiamo subito di comprendere se ci troviamo di fronte bambini melanconici, collerici, flemmatici o sanguinici. E nel mio lavoro cerco costantemente di trasformare queste differenze in forze positive di apprendimento sia didattico che comportamentale. Tutto nella giornata è pensato per favorire questo apprendimento.
Quando i bambini arrivano e nell’attesa che tutta la classe sia completa ognuno di loro si dedica con responsabilità ed autonomia al suo specifico lavoro manuale, un lavoro che gli viene affidato individualmente per imparare a sviluppare le forze più pratiche e più concrete, predisponendosi cosi a tutto il valore concreto che gli porterà l’apprendimento della giornata.
Al suono del gong, la nostra “delicata” campanella, quando la classe è completa, c’è un prezioso momento di concentrazione in cui tutti insieme ci si raccoglie per radunare le proprie forze interiori e predisporsi con intenzione e con volontà alla giornata da vivere insieme.
Arriva poi il momento di attivare il corpo e, seguendo un movimento ritmico, si recita una poesia, si legge una storia oppure una filastrocca in cui diventano protagonisti i diversi temperamenti ed ogni bambino ha la possibilità di riconoscersi in un personaggio che riesce a dar voce alla sua interiorità.
Con i rossi cappuccetti,
se ne vanno giù i nanetti,
presto, presto, ogni mattina
con piccozza e lanternina.
Verde veste, barba bianca,
grossa pancia, mano stanca
pure noi nanetti siamo, ma dormire preferiamo.
La miniera buia e scura,
sempre mette a noi paura
com’è triste scender giù,
torna indietro nano blu!
Viva, viva, il sole splende
e il nanetto giallo scende
ben felice nel profondo:
gioia e tesori dona il mondo.
Inizio poi con la didattica e, mentre svolgo l’insegnamento ed interagisco con i bambini, si realizza l’intreccio delle loro piccole anime, i loro temperamenti si incontrano e spesso si scontrano.
Ed il mio lavoro è far emergere le loro differenze, renderli consapevoli di quanto siano diversi ed insegnare loro a trovare armonie che non siano facili compromessi, ma difficili e solide conquiste, comprendendo la particolarità ed il valore di cui ognuno di loro è portatore.
Ho avuto ad esempio in classe due bambini collerici ed ho deciso di metterli vicino proprio perché, così come accade quando ci si guarda allo specchio, riuscissero a vedere l’uno nell’altro i pregi ed anche i limiti del proprio modo di essere e questa consapevolezza diventasse lo stimolo per migliorarsi e diventare più capaci di interagire con tutti. Un lavoro difficile, che mi ha richiesto molta pazienza. Non ho cercato la strada più semplice e neanche la soddisfazione che avrei potuto più semplicemente provare cercando di combinare un bambino collerico con uno più calmo e flemmatico. Il mio vero lavoro è cercare di sviluppare nei bambini la forza di sapersi conciliare con gli altri, riuscendo a modulare il proprio comportamento, sapendo ascoltare l’altro e predisponendosi cosi a con-vivere ed a collaborare in modo maturo.
E cosi anche per il bambino la capacità di conciliare diventa un processo anche interiore prima ancora che relazionale, conciliare i propri impulsi con le regole, le proprie reazioni con quelle degli altri, i propri bisogni con i bambini che hanno gli stessi bisogni o ne hanno di opposti. Ho imparato che per insegnare questo devo anche saper aspettare, non risolvere sempre le cose nel momento in cui accadono, ma saper creare anche a volte uno “spazio sospeso” in cui far accadere eventi anche problematici, perché il loro compimento sia anche l’evidenza che è necessario un cambiamento. Ma solo così i bambini crescono veramente, scoprendo che la con-vivenza è un’arte complessa che occorre imparare. Però ognuno lo impara con i tempi ed i modi che gli sono necessari, anche qui non c’è nulla di standardizzato. L’insegnamento è un’arte, non ci sono metodi o strategie preconfezionate e per questo sono così importanti l’autoeducazione, la capacità di saper ascoltare e l’Amore, quello che ti permette di avere anche l’intuizione giusta per la situazione specifica. Solo con un io centrato ed un animo ben predisposto si possono governare le situazioni che si presentano, prendendo la decisione giusta per quella specifica situazione. Ma questo non significa che si può improvvisare, c’è uno studio profondo dell’essenza vera dell’essere umano nel suo complesso e dell’essere umano in divenire.
E poi c’è il meraviglioso mondo in cui sperimentare l’insegnamento di quelle che vengono chiamate materie, ma che noi definiamo “forze”.
La forza della gratitudine e della comprensione del senso delle cose che la storia sviluppa, la forza della spazialità che la geografia favorisce, le forze del sentire legate tutte le arti, la forza del ritmo legata alla matematica e per ognuna di queste ci sono tanti modi diversi di insegnamento che dobbiamo conciliare perché ogni bambino si senta motivato e coinvolto nell’apprendimento. Ed il rispetto e la considerazione delle loro differenze deve sempre caratterizzare sia il mio metodo di insegnamento che i miei contenuti.
Tempi più serrati per i collerici, tanti collegamenti di fantasia e di immagini per i sanguinici, pause di riflessione per i flemmatici e tanti dettagli concreti e razionali per i melanconici, lasciando anche che ognuno di loro “colori” gli argomenti con i propri caratteri.
Poi tutto l’insegnamento è accompagnato e sostenuto dall’arte in ogni sua forma perché a questa età il bambino deve vivere in un mondo bello. Ma questo, oggi, significa anche lavorare ad un’altra forma di conciliazione: come dice Calvino: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Voglio dire che il maestro ha il compito e la responsabilità di nutrire l’anima dei bambini con la bellezza, tipica dell’arte e della natura ed in un modo come quello odierno queste due vanno ricercate con costanza dato che non sono fruibili facilmente. Ed una volta trovate vanno “curate”, nel senso che bisogna prendersene cura per, appunto “farle durare e dargli spazio”.
Quindi anche l’alternanza dell’arte con la cultura, dei lavori artigianali e manuali con quelli più teorici, dei momenti a contatto con la natura con i giochi, arricchisce l’anima dei bambini e dà spazio a tante sfumature interiori che poi facilitano la loro capacità di accogliere e conciliare le complessità e le differenze.
L’ultimo aspetto della conciliazione è anche quello tra teoria e pratica, in cui può rientrare tutto quanto fin qui esposto, e la vita reale. Perché poi quando avviene l’incontro tra il maestro e il bambino nella sua essenza, accade sempre qualcosa d’imprevisto ed imprevedibile come solo l’essere umano sa essere. Quindi quest’ultimo punto si ricollega al primo e al lavoro da fare prima dell’ingresso in classe, su di sé, per creare le condizioni affinché avvenga magicamente qualcosa di inaspettato e sorprendente. E tutto quello che si è studiato e preparato è solo uno strumento per porre le condizioni, come quando coltivi un campo: il nostro lavoro non è solo mettere i semi, quanto piuttosto arare ed annaffiare il campo affinché il seme giusto poi sbocci da sé.
Così cerco di far sì che l’apprendimento sia il loro sviluppo, la scoperta ed il rafforzamento del proprio io, la capacità di svelarsi a sé stessi, senza nutrirsi dell’emulazione degli altri, piuttosto del rispetto della propria ed altrui diversità. Sono certa che questo diventa la base per poi saper continuare a fare della conciliazione delle tante diversità una ricchezza interiore che sa generare realtà nuove con infiniti colori.
Ci sono momenti in cui i principi pedagogici su cui è fondata l’arte dell’educazione vengono estesi ad un contesto sociale più ampio dell’aula scolastica, sono gli appuntamenti con le feste dell’anno. Durante questi eventi le porte della scuola si aprono alle famiglie e al quartiere e lo spazio protetto della classe si confronta con lo spazio più ampio della comunità. È un’occasione importante per i bambini e i ragazzi che gestiscono, con l’aiuto dell’insegnante, dei piccoli laboratori per la realizzazione di manufatti, diventando a loro volta “maestri per un giorno”. Per loro, abituati ad apprendere in un contesto che ha rispetto e venerazione per ogni individualità, è assolutamente naturale avvicinarsi al prossimo con altrettanta devozione. Quando accompagnano nel lavoro i bambini che vengono da fuori o i loro compagni delle classi più piccole, si pongono nello stesso atteggiamento che il maestro ha nei loro confronti durante la scuola: un ascolto totale e sincero che li porta ad un incontro reale con l’altro. Questi bambini, che a scuola si sentono accolti ed ascoltati, quando per gioco si trovano dall’altra parte, dimostrano un’empatia ed un rispetto del prossimo che sorprendono l’adulto che non è abituato ad un certo tipo di insegnamento.
Possiamo quindi credere che il lavoro che facciamo come insegnanti con i nostri bambini, non dà i suoi frutti solo nel loro futuro, ma li aiuta a divenire individui che a loro volta sapranno portare nel mondo la possibilità di conciliazione, intesa proprio come incontro tra le parti e superamento del conflitto attraverso il riconoscimento delle diversità.